Un leader per la sfida a Berlusconi

La candidatura di Rosy Bindi alla guida del centro-sinistra è uno di quei fattori che potrebbero sparigliare le carte, mettendo d’accordo anche gli altri partitti della coalizione. “Qualcosa di nuovo”, con un indiscutibile fondamento politico

La candidatura di Rosy Bindi a leader del centro-sinistra, lanciata da Nichi Vendola e subito appoggiata da Romano Prodi, è uno di quei fattori che potrebbero sparigliare le carte. Nonostante che la campagna acquisti (nel senso proprio del termine) di Berlusconi stia rafforzando i numeri della maggioranza parlamentare, la fine prossima della legislatura rimane quantomeno probabile. Proviamo a ragionare “come se” questo evento si fosse verificato e ci trovassimo dunque avviati verso il voto a breve scadenza.

 

Tra le forze che si oppongono all’attuale maggioranza regna una notevole confusione, sia sul problema delle alleanze con cui affrontare la prova elettorale sia su quello della leadership della coalizione. Eppure i più recenti sondaggi, anche di centri di ricerca diversi (Ipsos, Swg, ecc.), mostrano risultati sorprendentemente simili. Un eventuale polo centrista (Udc, Fli, Mpa) che si presentasse unito e da solo, raccoglierebbe un numero di consensi nettamente superiore a quelli ottenuti in passato dai singoli partiti e viene accreditato di una forza tra il 15 e il 20%. Un polo progressista con Pd, Sel, Idv e altri minori di sinistra arriverebbe al 40-45%. Togliendo la parte di voti dispersi tra le formazioni minori, la destra resterebbe sotto il 40 (il che comporta che alla Camera il premio di maggioranza andrebbe ai progressisti). Se invece si facesse la grande coalizione anti-berlusconiana, prevarrebbe ancora su Pdl-Lega, ma non di molto: presumibilmente un cospicuo numero di elettori ben disposti verso il polo centrista rifluirebbero a destra se questo si presentasse non da solo, ma alleato con i progressisti. Su tutto poi pesa l’ipoteca degli astensionisti-incerti-indecisi, che i medesimi sondaggi collocano oggi sopra il 40% dell’elettorato: ma è ragionevole supporre che anche qui ci sia una forte componente che voterebbe i centristi soltanto se si presentassero da soli. Certo, i sondaggi non hanno un valore assoluto, ma le indicazioni di tendenza sono univoche e diverse rispetto a un paio di mesi fa.

 

In tutto ciò la questione della leadership, anch’essa esplorata dai sondaggi, è tutt’altro che indifferente: il risultato migliore lo ottiene Bersani, mentre con Vendola a capo della coalizione si registra un netto ridimensionamento del polo progressista che in qualche caso risulta al di sotto della destra. Vendola, che tra i leader progressisti si sta dimostrando il più responsabile, ne ha prontamente preso atto: di qui la sua candidatura della Bindi.

 

In circostanze normali il problema del leader della coalizione progressista non dovrebbe nemmeno porsi: dovrebbe essere naturalmente il segretario del partito più importante (e non di poco), ossia Pier Luigi Bersani. E questa apparirebbe a tutt’oggi la soluzione più ragionevole, se non fosse che tanto i potenziali alleati, quanto alcune delle figure di riferimento all’interno dello stesso Pd, la danno tutt’altro che per scontata. Non a caso Vendola fino a ieri dichiarava di voler sfidare Bersani alle primarie, ritenendo tutt’altro che impossibile bissare il successo avuto in Puglia contro il candidato sostenuto dal Pd e ripetutosi poi alle primarie per il sindaco di Milano dove ha prevalso Giuliano Pisapia.

 

Apriamo qui una parentesi sulle primarie. Che sono certamente un importante strumento di democrazia partecipativa e di selezione dal basso della classe politica, ma in Italia devono ancora essere messe a punto, altrimenti si rischiano pasticci, come in qualche caso è successo. Per di più, in una situazione come l’attuale, di grande incertezza sui tempi delle prossime elezioni, che potrebbero essere brevissimi, non sembra il caso di imbarcarsi in un processo non breve e di esito incerto. Dovrebbe essere interesse di tutti la scelta più rapida possibile di un leader dietro cui marciare compatti.

 

Bersani è forse destinato a pagare lo scotto proprio per quello che in qualsiasi altro paese renderebbe scontata la sua designazione: per il fatto, cioè, di essere il leader del partito maggiore. Tra i potenziali alleati – ma è soprattutto Vendola a sentire questo problema – può apparire indigesta l’idea di essere percepiti come semplici gregari, mentre se si concordasse un leader diverso verrebbe loro conferito un maggior rilievo, se non altro formale. La proposta di Rosy Bindi appare, bisogna dirlo, un’idea con un indiscutibile fondamento politico. Non c’è bisogno di spendere parole sull’esperienza politica e amministrativa (come si ricorderà, è stata anche ministro) della presidente del partito, né sulle sue solide basi culturali (era assistente universitaria del giurista Vittorio Bachelet, assassinato dai terroristi rossi). Il fatto che sia una donna non è un suo merito ma, in questo momento, è certo un motivo in più per marcare la differenza rispetto all’altro schieramento. Viene dalla Dc e non dal Pci (come Prodi, del resto), cosa che toglie ulteriori armi alla miserabile propaganda avversaria. E’ cattolica, ma di quel cattolicesimo laico che sa distinguere tra prescrizioni delle gerarchie ecclesiastiche e leggi dello Stato. Neanche i segugi del premier riuscirebbero a trovare del fango da gettarle addosso. Fanno parte della sua cultura valori cari alla tradizione socialdemocratica come a quella del cattolicesimo sociale, come la difesa del welfare. Insomma può ben rappresentare la guida di uno schieramento progressista non ancorato a ideologie superate, ma che non dimentica e non rinnega il meglio della sua tradizione.

 

All’interno del Pd le prime reazioni sono state per lo più di frenata o di malcelato fastidio, da D’Alema (anche se Nicola Latorre, a lui vicino, ha dichiarato di apprezzare l’ipotesi) a Fioroni a Veltroni. Ma gli umori del gruppo che fa capo a quest’ultimo sono stati espressi più chiaramente da Giovanna Melandri: "Per una grande alleanza vedo bene Mario Monti. Bindi non può federare un'alleanza da Vendola al Terzo polo". Una dichiarazione del genere, certo in sintonia con quanto pensa il capo-corrente, la dice lunga sulla totale confusione che si è ormai da tempo impadronita del veltroniani. Mario Monti leader dello schieramento progressista? Monti, come tutti sanno, è un personaggio di altissima levatura, integerrimo, di grandi capacità, di prestigio internazionale. C’è un solo problema: proporlo alla guida della sinistra è come proporre Berlusconi alla presidenza dell’Arcigay. Monti è il tipico rappresentante della destra che vorremmo, quella seria, rigorosa, onesta, con cui una sinistra riformista potrebbe confrontarsi seriamente. Ma è, appunto, di un’altra galassia. Leader dei progressisti? Almeno Calearo era solo un deputato. Quanto alla “grande alleanza”, abbiamo già detto: a parte che i centristi la rifiutano, nemmeno i sondaggi la premiano.

 

Proponendo Rosy Bindi Vendola ha fatto un passo indietro rispetto alle sue ambizioni. Sarebbe bene che tutti gli altri “eminenti personaggi” del Pd di passi indietro ne facessero almeno tre: dovrebbero accontentarsi delle tante sconfitte che hanno già guadagnato. Naturalmente per una investitura della Bindi è necessario l’accordo degli altri partiti della coalizione, ma l’Idv non ha chiuso la porta e le formazioni a sinistra del Pd (scontato il consenso di Sel) non sembrano contrarie. Se la convergenza su Rosy Bindi è in grado di mettere d’accordo lo schieramento si può verificarlo rapidamente e di certo gli darebbe subito una forza che oggi ancora non ha. Se invece l’accordo su quel nome non si trovasse, l’unico possibile leader dello schieramento sarebbe Bersani. Non sarebbe un ripiego: tutti i sondaggi, come si è visto, lo danno vincente.

Venerdì, 18. Febbraio 2011
 

SOCIAL

 

CONTATTI