Tettamanzi, Stigliz e la terapia per la crisi

E' singolare che sulla diagnosi concordino personaggi anche molto diversi. Il governo annaspa e ribatte alle critiche affermando che nessuno ha proposte alternative. Non è vero: ne facciamo qui una breve rassegna

La maggioranza, alle critiche dell'opposizione per quanto concerne le scelte (o le non scelte) del governo di fronte alla crisi economica, replica che la minoranza non offre indicazioni alternative né per quanto concerne la diagnosi né le terapie da applicare. Ciò è inesatto. Il PD ha presentato alle Camere - nel silenzio tombale dei media - proposte articolate; altre indicazioni significative sono state delineate su questa rivista (Lettieri, 23/12/2008; Rossi, 19/01/2009).

 

E' singolare il fatto che sulla diagnosi della crisi - che condiziona, com'è intuitivo, la terapia - concordino il Cardinale Tettamanzi, il Nobel Stiglitz e l'economista obamiano Paul Krugman. Essi ritengono che le cause profonde di questa crisi risiedano in un forte squilibrio nella distribuzione dei redditi, che la finanza facile ha offuscato, accentuandolo fino alle più estreme conseguenze.

 

Può essere comunque utile tentare di individuare, a livello esplorativo - non avendo il supporto tecnico dei centri studi della banca centrale e (speriamo.....) del governo - alcune linee strategiche di intervento. Anche perché la nostra classe dirigente sembra impegnata in una fuga dalla realtà: si occupa infatti di una riforma federale da attuare in sette anni; del Ponte di Messina realizzabile nel 2016; di piani nucleari entro il prossimo decennio e, più recentemente, della costruzione di "new towns" intorno a centri di provincia...; e un piano carceri per detenzioni "soft" (una precauzione per il futuro?).

 

Per la verità il governo sta attuando alcune manovre, per lo più consistenti nel riallocare risorse già stanziate (16 miliardi del Cipe; 8 miliardi in due anni tratti dai fondi per le aree sottosviluppate, etc.). A nessuno dei corifei del regime è venuto in mente di attirare l'attenzione sulla differenza fra stanziamento (operazione puramente contabile), impegno (individuazione dei beneficiari) ed erogazione, e cioè spesa effettiva, che presuppone una disponibilità di cassa, e quindi la copertura del relativo fabbisogno. Non è stato del pari evidenziato il problema dei costi-opportunità, e cioè del costo delle alternative alle quali si rinuncia per le nuove priorità.

 

L'efficacia di un modello anticongiunturale è collegata alle seguenti caratteristiche: a) dimensioni; b) tempestività; c) settore di intervento; d) programmazione organica della manovra; e) modalità di copertura del fabbisogno.

 

Delle dimensioni dell'intervento e in particolare del fenomeno dei "minimi quanti", avevamo fatto cenno in una nostra nota precedente. Ad esempio, Paul Krugman ritiene che per impedire alla disoccupazione di superare quel 5% che nel mercato americano (molto fluido) viene ritenuto normale - mentre quella tendenziale marcia verso il 9% - occorre un intervento minimo di 800 miliardi di dollari. Uno di 500 miliardi risulterebbe inutile.

   

Nel caso italiano l'ordine di grandezza è evidentemente ben diverso (anche se la disoccupazione tendenziale si muove verso l'8,2%). Un calo del 2% del Pil (ma alcuni esperti dell'Unicredito correggono al 2,7%) non richiede necessariamente una manovra delle stesse dimensioni. Può essere maggiore o minore a seconda dell'efficacia e, quindi, delle altre caratteristiche qualitative della manovra stessa. Ma l'ordine di grandezza ragionevole dovrebbe aggirarsi intorno ai 30 miliardi l'anno di risorse fresche. Ciò incide sul rapporto deficit/Pil, ma implica anche l'uso, accanto ai Bot, della leva fiscale. Purtroppo il governo ha già sperperato quasi 9 miliardi fra Alitalia e Ici. D'altronde è vero - come osserva Lettieri - che quando il Pil scende, anche il gettito tende a diminuire; ma è altrettanto vero che, come rileva Rossi, la situazione peggiora quando si facilita l'evasione con provvedimenti ad hoc, come l'Iva per cassa e la revisione degli studi di settore. Il pagamento dell'Iva al momento dell'incasso della fattura, infatti, può favorire il ricorso alle bare fiscali, e cioè ad aziende di comodo alle quali si fatturano importi destinati a non essere mai pagati. L'alternativa alla leva fiscale è il ricorso all'indebitamento sul mercato, creando "surrogati della moneta" (quella legale è creata solo dalla Bce). Ciò potrebbe provocare una ripresa dell'inflazione. Paradossalmente può sembrare una soluzione abbastanza indolore, anche perché avvantaggia i debitori (in questo momento, banche, imprese e privati). Ma annacquando un cocktail mal fatto il gusto non migliora. Abbiamo dunque anticipato alcune indicazioni sulla copertura del fabbisogno.

 

La tempestività è correlata ai settori di intervento. E' un fattore determinante. L'attuale crisi sembra propagarsi a boule de neige o, se volete un po' di “latino rum”, motus in fine velocior. Vi sono interventi la cui efficacia è immediata: sgravi fiscali sulle classi medio-basse, cassa integrazione, restituzione del fiscal drag ai pensionati (vedi anche Lettieri e Paladini). La politica delle infrastrutture, invece, ha effetti differiti. Anche se si riuscisse a superare i ritardi burocratici, i pagamenti avvengono pur sempre a stadio di avanzamento lavori. I plauditores del governo ci hanno narrato, con toni entusiastici, che sono iniziati i lavori per il rigassificatore di Porto Empedocle. Peccato che la realizzazione avverrà nell'arco di 40 mesi.

 

Qui si potrebbe formulare una proposta, certamente poco gradita a qualunque esponente di governo, perché ha un modestissimo impatto mediatico. Passare dall'economia degli interventi "nuovi" alla "economia della manutenzione". Si tratta di una miriade di interventi, ognuno di piccola entità, realizzabili con minore intensità di capitale e maggiore intensità di manodopera e con coefficienti temporali molto brevi. Parliamo della manutenzione di strade, edifici, rete ferroviaria, parco mobile delle aziende pubbliche, rete idrica, sistema fognario, messa a norma degli impianti delle scuole e della rete ospedaliera. Questo paese del taglio dei nastri ha un enorme arretrato di domanda di manutenzione insoddisfatta. Tutti i dati sono già in possesso delle amministrazioni locali.

   

Naturalmente questo non può essere l'unico settore di intervento. Occorre "predisporsi al futuro". Accanto all'economia della manutenzione puntare all'economia dell'innovazione. I settori di intervento sono dunque tre: sostegno della domanda e delle aziende in crisi, manutenzione delle reti, innovazione. Nel medio-lungo periodo verrebbe rinviata la politica delle infrastrutture nuove.

 

Una realtà complessa richiede soluzioni complesse e, quindi, modelli altrettanto complessi. La lama di Alessandro che recide il nodo di Gordio non è una soluzione, come insegnano le guerre palestinesi. Questa realtà dunque non si governa senza una programmazione organica se non si vuole vestire l'economia italiana con i panni di Arlecchino. Essa dovrà realizzare le necessarie sinergie fra sostegno della domanda, rafforzamento del sistema bancario, aiuti ai settori in difficoltà e interventi innovativi.

 

Rimane - certo - il grave problema della copertura del fabbisogno, di cui alcune soluzioni sono state in parte anticipate. Il ricorso all'indebitamento non può superare certi limiti, sia formali che sostanziali. Si profila dunque l'uso della leva fiscale, notoriamente poco gradita. Ma, se l'individuazione dei motivi di fondo dello squilibrio economico mondiale fatta da Tettamanzi, Stiglitz, Krugman e altri è corretta, tale leva, azionata sia in alto (tassazione di redditi elevati, di rendite parassitarie e di patrimoni concentrati) che in basso (sgravi fiscali a famiglie e imprese) consentirebbe anche di perseguire quelle finalità perequative da essi indicate. A chi obiettasse la non conformità di questa politica fiscale rispetto ad una fase congiunturale calante, si può rispondere con i dati sulla crescente concentrazione della ricchezza (molto maggiore di quella dei redditi), sulla persistente dinamica dei consumi di lusso, nonché segnalando le emblematiche puntate dell'uomo più ricco di Italia nei negozi di lusso della capitale.

 

Una necessariamente massiccia politica di interventi richiede la compartecipazione del settore privato accanto a quello pubblico, che manterrebbe però, nella fase attuale, un ruolo trainante. Si potrebbe immaginare ad esempio che al primo venissero riservati gli interventi nel campo dell'innovazione tecnologica e delle trasformazioni produttive, con forti incentivi fiscali (detassazione per periodi anche lunghi di Ires, Irap, Iva); mentre il settore pubblico agirebbe nel campo del sostegno della domanda e in quello delle infrastrutture, anteponendo l'economia di manutenzione o comunque tutti gli interventi efficaci a breve a quelli ad efficacia più differita.

 

Ma occorrono soprattutto alcune doti proprie dei governi responsabili: capacità previsionali, corretta valutazione dei fenomeni, chiarezza e sincerità dell'informazione, tempestività e organicità nella guida degli interventi, scelta delle priorità con criteri obiettivi. Quando la classe politica non riesce a padroneggiare una grande crisi, una grande crisi può travolgere una classe politica.

Mercoledì, 28. Gennaio 2009
 

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