Testamento biologico: 'assassine' le chiese tedesche?

Il cardinale Karl Lehmann per la Conferenza episcopale cattolica e il pastore Manfred Kock per il Consiglio delle Chiese evangeliche hanno elaborato nel 2003 un documento dove i problemi del "fine vita" e della volontà dell'interessato sono trattati in modo sideralmente diverso da quello della chiesa italiana

L’intervento di Maurizio Benetti e la testimonianza personalissima di Rino Caviglioli mi hanno stimolato a segnalare un documento adottato in comune dalle Chiese cattolica ed evangeliche di Germania, indicativo di uno stile di approccio che merita qualche attenzione. Di questo si era già fatto cenno nella rubrica di Corrado Augias su Repubblica qualche settimana fa (6 febbraio), per merito di una lettera che si rifaceva a una segnalazione della storica Emma Fattorini. Nel frattempo ho recuperato il documento originale, elaborato nel 2003 e firmato dagli allora presidenti delle due principali istituzioni religiose della Germania, il cardinale Karl Lehmann per la Conferenza episcopale cattolica e il pastore Manfred Kock per il Consiglio delle Chiese evangeliche.

 

Il dibattito in Germania sul problema delle cure da prestare o da togliere ai malati in condizioni disperate è stato fortemente condizionato dagli esempi di due paesi confinanti, il Belgio e l’Olanda, che hanno ammesso in certe condizioni l’eutanasia. A quanto mi risulta, questo dibattito non è ancora giunto a conclusioni legislative. Cionondimeno le Chiese tedesche, pur rigorosamente contrarie all’eutanasia, non si sono tratte indietro dall’affrontare il problema della eventuale interruzione o non applicazione di interventi terapeutici volti a prolungare artificialmente la vita anche quando non vi siano più speranze di recupero. Hanno anzi cercato di elaborare di comune accordo un proprio modello di “testamento biologico”, che i tedeschi nominano più sobriamente “disposizioni del paziente”, ritenendo esplicitamente inappropriata la parola “testamento” e ignorando del tutto l’aggettivo “biologico”. Comunque, al di là delle parole, il fatto è che le due Chiese hanno cercato di trovare risposte umanamente ragionevoli, legalmente accettabili e non contraddittorie con l’etica cristiana.

 

Risale al 1999 la prima formulazione del modello di “disposizioni del paziente”, ripresa poi in mano e aggiornata nel 2003, alla luce degli ulteriori progressi della scienza medica. L’ampio documento che ho in mano accompagna la formulazione del modello (anzi di tre modelli) con una introduzione di carattere teologico-pastorale e una dettagliata serie di chiarimenti sui vari aspetti della problematica. Al modello di “disposizioni del paziente” sono associati altri due, uno per la nomina di una persona autorizzata a decidere in propria vece nel caso di perdita della facoltà di esprimere la propria volontà, l’altro relativo a disposizioni circa il tipo di assistenza desiderato. Qui mi limito al primo, che corrisponde a quello che noi chiamiamo “testamento biologico”.

Leggiamone il testo:

 

“Nel caso che io non sia più in grado di esprimere o di manifestare la mia volontà, dispongo quanto segue.

Non mi devono essere applicate misure per prolungare la vita una volta che sia accertato, sulla base della migliore conoscenza e coscienza medica, che ogni intervento volto a conservare la vita non potrà produrre miglioramento e servirà solo a prolungare la mia morte.

L’assistenza e il trattamento medici, così come l’assistenza premurosa, debbono in questo caso essere diretti a ridurre le sofferenze, come i dolori, l’affanno, le difficoltà respiratorie o la nausea, anche se il necessario trattamento antidolorifico comportasse il rischio di un abbreviamento della vita.

Io vorrei poter morire in pace e dignità, possibilmente nella vicinanza e nel contatto con i miei parenti, con le persone che mi sono vicine e nell’ambiente che mi è familiare.

Chiedo la presenza di una assistenza spirituale.

La mia appartenenza confessionale è...”

 

Di grande interesse sono i chiarimenti, dai quali mi limito ad accennare a due punti, che più da vicino toccano i problemi sollevati dal caso Englaro.

Il primo riguarda le “misure” che legittimamente – sul piano sia etico (coerente con l’etica cristiana, data la fonte del documento) che legale (secondo il diritto vigente in Germania) – possono essere escluse per non prolungare artificialmente la vita. Seguendo i criteri deontologici dettati in materia dall’Ordine dei medici tedeschi, deve essere in ogni caso garantita – qualunque sia la volontà espressa dal paziente – una “assistenza di base”, nella quale rientrano, tra le altre cose, “un trattamento umanamente dignitoso, la cura del corpo, la sedazione del dolore, dell’affanno respiratorio e della nausea, come pure il calmare la fame e la sete”. (corsivo mio)

Così è scritto nelle istruzioni che accompagnano la formula. Ma si aggiunge dell’altro, a proposito di questa “assistenza di base” da garantire comunque: “Se la nutrizione artificiale mediante una sonda attraverso la bocca, il naso, o la parete addominale (la cosiddetta sonda PEG) o l’iniezione endovenosa di liquidi nel momento terminale della vita, rientrino nella assistenza di base, deve essere deciso caso per caso.” (corsivo mio)

In altre parole: non è detto che la nutrizione artificiale rientri nel minimo obbligatorio di cure da prestare, non c’è norma che lo imponga. La responsabilità della decisione è nelle mani degli attori direttamente interessati.

 

Il secondo punto tocca l’obbligo dei medici di assecondare la volontà del paziente. Per agevolare l’ottemperanza a questo obbligo, le Chiese tedesche propongono appunto il modello di espressione anticipata della volontà, riportato sopra, da sottoscrivere e magari da riconfermare periodicamente. Ma questo non sarà sempre né per tutti possibile; come ricavarla allora, questa volontà, se non è stata esplicitata in modo inequivoco e documentabile? Nel documento troviamo al proposito poche righe, ma interessanti. Assodato che “la volontà del paziente è la base per ogni trattamento”, quando l’espressione di questa volontà è limitata o impossibile, “precedenti conversazioni, informazioni dei parenti o anche una qualche disposizione del paziente possono contribuire a che il medico apprenda la volontà del paziente stesso”.

Anche in questo caso, molto è rimesso alla responsabile valutazione delle persone coinvolte.

 

Ai lettori l’onere di un confronto con i toni e i contenuti delle polemiche di casa nostra. Bastano queste scarne citazioni – ma altre ne potremmo aggiungere – a destare perlomeno il sospetto che nella Chiesa stessa altri approcci, più competenti e umani (più cristiani?), sarebbero stati possibili senza travolgere gli steccati dell’ortodossia cattolica. Sorprende semmai che l’informazione più accorta, diciamo “laica”, non si sia data pena di far conoscere meglio delle posizioni, come quelle di Pio XII citate da Benetti e questo documento delle Chiese tedesche, espressione di organismi ai massimi livelli di autorevolezza e non opinione di qualche marginale teologo ribelle.

 
Comunque, al di là del merito di questo documento, sul quale sicuramente si può discutere, colpisce il grado di competenza e di civiltà, di rispetto e di umanità con cui le Chiese di Germania si misurano con il momento estremo della nostra vita e con il dolore delle persone. Per fortuna dei cattolici, la loro Chiesa non è (ancora?) riducibile alla povera leadership vaticana e tanto meno alle improvvide campagne della Conferenza episcopale italiana.

Sabato, 28. Febbraio 2009
 

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