Quanti buchi nella riforma del lavoro

Ha pesato la mancanza di proposte comuni da parte dei sindacati. Nè è uscito un esito che non risolve molti dei problemi sul tappeto (ammortizzatori, precari, soprattutto settore pubblico), ne aggrava alcuni e dà vita a un nugolo di strutture bilaterali

Trovo convincenti le considerazioni di Antonio Lettieri non solo riguardo all’articolo 18, ma anche a proposito di governo, politica, ruolo delle parti sociali e dintorni. Il risvolto più grave della vicenda sta nel fatto che i sindacati non sono stati nelle condizioni e nella volontà di presentarsi al negoziato con loro proposte. Si è quindi ripetuto il film sulle pensioni con l’attenuante, in quel caso, che si trattò di un contropiede.

La ragione principale sta nel fatto che tra le confederazioni e perfino al loro interno non sussistono condizioni minime di fiducia reciproca e di volontà che permettano ciò che è considerato comportamento normale di qualsiasi trattativa: presentarsi con proprie proposte. Fatto sta che l’attenzione continua ad essere quasi tutta rivolta all’art. 18 e rischia che passi in cavalleria tutto il resto dell’impianto che è di una rilevanza perfino maggiore.

Da una storia che ha permesso indennità di mobilità fino a 48 mesi si passa a uno standard di 12 mesi (18 per gli ultra55enni) come definito per la nuova istituzione chiamata Aspi. Questo dopo che la riforma del sistema pensionistico ha allontanato l’asticella della possibilità di pensionamento fino ad avvicinarsi ai 70 anni.

Si può rispondere che il punto 10 tratta di “Politiche attive e servizi per l’impiego”.
Tutti sanno che è stato riacchiappato nel finale parlando con le Regioni che erano state escluse dal negoziato ed è congegnato con la ripetizione delle vecchie litanie salvo la novità di proclamare l’intenzione di “definire il diritto di ogni persona all’apprendimento permanente”.

A proposito di contratti a tempo determinato si enfatizzano la maggiorazione contributiva e l’aumento del periodo di intervallo tra un contratto e l’altro quali freni all’abuso e si conferma che al superamento dei 36 mesi si passa a tempo indeterminato. Sono prevalentemente complicazioni per evitare la vera misura di freno all’abuso: il diritto di precedenza del soggetto nella reiterazione dei contratti a termine. Senza restaurare questa soluzione per l’azienda sarà sempre un gioco facile organizzare rotazioni che non permettano ad alcuno di superare i 36 mesi. Ma di questo non si parla.

Si tenta di “stringere” un po’ la gestione dei Co.Co.Pro.; di fatto li si sospingerà verso la soluzione “partita Iva”; per tutti si arriverà al 33% di contributi previdenziali con ulteriori ingiustizie e incongruenze che vengono denunciate dalle organizzazioni di questi soggetti sui quali le imprese avranno buon gioco nello scaricare i maggiori oneri. Non si affronta il tema della loro remunerazione.

Per quanto rozza era molto più efficace un’altra ipotesi che era stata avanzata: sei monocommittente? Il tuo reddito è sotto certe soglie (per esempio 30mila euro l’anno)? Allora sei dipendente. Se stai sopra allora vuol dire che sei un vero professionista autonomo. Su queste problematiche è esauriente Andrea Dili.

Sembra che avremo un boom di nuove strutture bilaterali che “avranno validità erga omnes”. Sicché si potrà avere la tipologia dell’azienda non obbligata ad applicare il contratto di lavoro, ma che dovrà obbligatoriamente stare al gioco del Fondo bilaterale. Saranno promossi sia come strumenti sostitutivi della integrazione salariale e sia come tentativo di copertura, per i lavoratori anziani, del periodo vuoto tra perdita del lavoro e pensionamento. La sostanza è che le categorie con disponibilità di risorse daranno vita a forme efficaci di protezione, per le altre ci si arrangerà come si può dal momento che “L’istituzione dei Fondi deve essere obbligatoria per tutti i settori”. Se si ripete l’esperienza dei Fondi interprofessionali per la formazione continua, della previdenza complementare e – ancora di più – dei Fondi sanitari integrativi avremo un ricco proliferare di istituzioni come esaltazione massima del “fai da te” corporativo e l’archiviazione di ogni tendenza alle soluzioni generali e solidaristiche.

In coda al tutto è spuntata la questione dei pubblici dipendenti. Siamo al massimo della mistificazione. E’ una balla che non possano essere trasferiti o perfino licenziati qualora ne sussistano i motivi. Esattamente come tutti gli altri seppure con norme e procedure differenti.

Ma chi fosse stato mosso dalla intenzione di affrontare la questione precariato con la intenzione di fare pulizia di rapporti truffaldini doveva partire proprio dal pubblico impiego.
Ma perché nessuno sembra intenzionato ad affrontare anche questo mondo? Ho il sospetto che ci sia il timore di dover arrivare anche ai professori quando è noto che sono una categoria intoccabile, propensi sempre a fare prediche per Cipputi, ma assolutamente indisponibili a dare esempi.

(Aldo Amoretti è Presidente dell’Associazione XX maggio)

Domenica, 15. Aprile 2012
 

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