Le piccole imprese di Berlusconi

La pretestuosa campagna sulla libertà d’impresa prefigura soluzioni già viste in passato e rivelatesi disastrose. Assodato che la Costituzione non ostacola alcunché, due sono i problemi principali: la dimensione delle aziende e i costi della burocrazia. Ma il governo fa tutt’altro col rischio di favorire l’economia criminale

Non si può non concordare con Carniti (vedi il suo articolo) che la campagna a favore della libertà di impresa è una cortina fumogena e viene condotta con argomentazioni così deboli da far dubitare delle capacità mediatiche dei promotori. Tre delle tesi dello stesso Carniti appaiono decisive: a) il numero di imprese per abitante, che in Italia è il triplo di quello della Germania; b) il tasso di natalità di nuove imprese, che è altrettanto elevato (ma, osserviamo noi, anche quello di mortalità); c) che la vera difficoltà per l'impresa italiana non è quella di nascere, ma di crescere o sopravvivere.

 

Se il nodo fosse quello del costo della burocrazia, desterebbe meraviglia il fatto che una maggioranza capeggiata da un imprenditore in sette lunghi anni non vi abbia posto rimedio. Noi vorremmo approfondire questa tematica da un triplice punto di vista: 1) del rapporto tra mercato, regole e libertà di impresa; 2) della revisione critica della mitologia stantia del piccolo è bello; 3) dell'ipotesi, che ci auguriamo avventata, che in carenza di un'armonica programmazione di politica industriale si profili controluce una tessitura di fatto favorevole all'economia criminale.

 

In primo luogo occorre ribadire la pretestuosità dell'affermazione apodittica secondo la quale l'art. 41, ritenuto frutto di un compromesso cattocomunista, possa confliggere con i principi dell'economia di mercato e della libertà d'impresa. I due commi successivi al primo (l'iniziativa economica privata è libera) appaiono perfettamente in linea con la concezione di mercato prevalsa in Occidente da circa mille anni. Come molti sanno e qualcun altro no, il mercato nacque - o, più correttamente, rinacque - intorno all'anno Mille, con il passaggio dall'economia curtense a quella degli scambi. Esso consisteva in un insieme di regole e di vincoli atti a garantire la correttezza dei comportamenti dei protagonisti. Per molto tempo infatti i confini fra commercio e pirateria furono labili e le carovane di mercanti che si recavano alle fiere dell'Europa del Nord erano scortate da armigeri. Talché in una prima fase il termine "mercato" definiva l'area entro la quale le norme ben precise erano assicurate dalla presenza degli arcieri del Re.

 

Ed in effetti ancor oggi a nessuno verrebbe in mente che l'iniziativa privata possa svolgersi in contrasto con la sicurezza, la libertà, la dignità umana: tutti indicatori di utilità sociale, escludendo dunque le ipotesi di terrorismo, pirateria e riduzione in schiavitù. I controlli affidati al legislatore (terzo comma) sono coerenti proprio con l'impostazione dei modelli neo-liberisti, da Walras a Pareto, che ipotizzano, in libera concorrenza, la coincidenza del massimo edonistico individuale con quello collettivo.

 

Escludendo dunque questo aspetto falsamente ideologico, è più ragionevole ritornare alla comune constatazione dei costi della burocrazia. A ciò si vorrebbe porre rimedio, dopo un lungo sonno di sette anni (come quelli della Bella Addormentata) con l'autocertificazione controllata ex-post. Questa procedura fu introdotta trent'anni fa dal governo Craxi, a conferma della vocazione ai viaggi a ritroso nel tempo di questa maggioranza, fra maestri unici, grembiulini e contratti di lavoro alla Germinal di Emile Zola (vedi anche l’articolo di Recanatesi). E' stata applicata in due principali campi, quello dei ticket sanitari e quello delle rette universitarie, dando luogo a truffe di dimensioni inimmaginabili, periodicamente scoperte.

 

Nel caso specifico delle imprese, il controllo di centinaia di migliaia di autocertificazioni in tempi brevi non è realistico. Si aprirebbe dunque il campo alla creazione di imprese-farfalla, con vita brevissima, nel corso della quale potrebbero attivare una concorrenza spietata nei confronti di quelle esistenti, vendendo prodotti sotto costo per poi fallire. Conosciamo una di queste categorie di imprese: si chiamano cartiere, gradite agli evasori e temute dagli imprenditori per bene. Che ne pensano davvero di questa eventualità la Confcommercio, la Confesercenti, la Confartigianato e, nel caso il provvedimento si estendesse alle professioni, i tassisti, i farmacisti e gli avvocati?

 

A chi obiettasse che proposta analoga è già stata presentata da Pier Luigi Bersani come emendamento all'attuale manovra, è bene precisare che l'autocertificazione prevista dovrebbe essere accompagnata da una perizia tecnica firmata da professionista abilitato, attestante i requisiti richiesti dalla disciplina vigente. E scusate se è poca la differenza....

 

La soluzione seria al problema esiste e funziona in alcune zone del paese: è il cosiddetto sportello unico. Potenziarlo ed estenderlo sarebbe compito di un modo di amministrare non estemporaneo, ma metodico e paziente.

 

Esiste un altro problema colto da Carniti e indirettamente presente anche nello scritto di Recanatesi: quello delle dimensioni aziendali. Da molti decenni viene ripetuto il mantra del "piccolo è bello". Il popolo delle piccole imprese è numerosissimo in Italia, ma le proprietà salvifiche che gli vengono attribuite (elasticità produttiva e capacità di autofinanziamento) sono più immaginarie che reali. Bisognerebbe anzitutto scremare il totale, togliendovi quelle partite Iva che mascherano un lavoro dipendente, privo di contributi a carico del datore di lavoro, che, insieme ai parasubordinati e ai co.co.co, rappresenta i cosiddetti "nuovi schiavi".

 

Occorre inoltre, come abbiamo fatto in altri scritti, sgombrare il campo dallo stesso concetto di piccola impresa. Esiste l'impresa ottimale rispetto al proprio mercato: se fosse più piccola, potrebbe essere o "nascente" (in fase di start-up) o "declinante" (con un piede nella fossa). Questa seconda categoria sopravvive solo in un ambiente di evasione fiscale e contributiva; donde la difficoltà di realizzare i cosiddetti programmi di emersione.

 

Su di un punto, però, molti concordano. Il lento declino del nostro apparato industriale è legato alla carenza di innovazioni di prodotto, particolarmente difficili per imprese di piccola scala, anche se temporaneamente ottimali in mercati protetti.

 

Si innesta dunque un ciclo infernale: le imprese "mediocri" affrontano la concorrenza premendo sul costo del lavoro, deprimendo consumi e mercato interno. Si crea un sistema bicefalo, con una testa brillante e tecnologicamente intelligente all'estero ed una ottusa e ciondolante in patria, in un clima di sottoccupazione permanente e mercato asfittico.

 

Se questo paese avesse avuto una politica industriale con articolata programmazione degli interventi nei molti anni di governo di questa maggioranza, vi sarebbero stati gli strumenti per contrastare il nanismo produttivo, con una politica fiscale appropriata. Sembra invece che ci si sia limitati ad osservare compiaciuti la gracile sopravvivenza di un popolo di Puffi, evasori talora più per necessità che per astuzia.

 

 

La nostra argomentazione conclusiva può essere preceduta da due frasi attribuite a personaggi diversissimi: "Honny soit qui mal y pense" e "A pensar male si fa peccato, ma....".

 

Mentre la strategia industriale brilla per la sua assenza, la scansione temporale di una serie di provvedimenti sembra far intravvedere un disegno organico, forse frutto di malevola immaginazione. Li elenchiamo, lasciando il giudizio alla obiettività critica del lettore.

 

Un primo provvedimento potenzialmente favorevole ad affaristi senza scrupoli e riciclatori di denaro sporco è stato quello della parziale depenalizzazione del falso in bilancio (mentre in altri paesi le pene venivano fortemente aumentate). Il secondo provvedimento è consistito non tanto nel condono sui capitali esportati, quanto nell'anonimato e nella copertura dei reati connessi. Altre misure sembrano muoversi nella stessa direzione, come la mancata riorganizzazione strutturale del sistema giudiziario e anche interventi per accorciare i tempi dei processi, evitando che le prescrizioni divenissero lo scudo giuridico dei colletti bianchi. Nulla è stato fatto per quanto concerne la depenalizzazione dei reati minori.

 

Ciliegina sulla torta, la legge sulle intercettazioni, che attendono con fiduciosa trepidazione i boss della malavita internazionale e i cassintegrati, perchè, com'è noto "siamo tutti spiati". In questo quadro non esaltante va inserita dunque la proposta di autocertificazione illimitata delle nuove imprese.

 

Poichè nel frattempo la lotta contro le vecchie mafie ha dato e continua a dare notevoli risultati, si potrebbe insinuare il malevolo sospetto che questo reticolo di interventi, forse casuale, sia atto a favorire un ricambio generazionale e qualitativo dell'economia criminale.
Venerdì, 16. Luglio 2010
 

SOCIAL

 

CONTATTI