Che c’è da cambiare nella Costituzione

L’art. 41 è l’ennesima trovata berlusconiana: non intralcia nulla, visto che in Italia nascono più imprese che negli altri paesi europei. Il problema vero è che non crescono, non certo per colpa della Costituzione: a cui bisognerebbe metter mano, ma in altri punti

Incapace di risolvere i problemi, il governo inventa diversivi. La grande trovata  politica del duo Berlusconi Tremonti è la propensione a rimpiazzare i problemi veri (che non sa, non riesce, o non vuole risolvere) con problemi fasulli. In sostanza è la capacità di creare diversivi. In  questo gioco delle “tre carte” bisogna riconoscere che Berlusconi ha sempre saputo dimostrare un particolare talento. Fino a qualche tempo fa Tremonti aveva preferito indossare i panni del “pensatore”. Ora invece, probabilmente desideroso di raccogliere quanto prima l’eredità per la guida del governo, tende a dimostrarsi intellettualmente sempre più eclettico e soprattutto più corrivo con le posizioni del capo.

 

Si spiega così perché, mentre l’economia al netto delle chiacchiere e degli esorcismi non dà segni di ripresa, il duo Berlusconi-Tremonti abbia escogitato una campagna estiva per la “libertà di impresa”. Libertà che, secondo loro, troverebbe un inciampo nell’articolo 41 della Costituzione. Da qui la sortita a favore di una più diffusa creazione di imprese (e si suppone di  lavoro) subordinata però all’impegno a liquidare alcuni articoli della Costituzione. Non sono naturalmente mancate dichiarazioni minimizzanti. Presumibilmente fatte solo allo scopo di neutralizzare possibili reazioni, almeno di una parte dell’opinione pubblica. Si è  così voluto rimarcare  che, in fin dei conti, si tratterebbe solo di aggiornare norme inesorabilmente datate e per di più frutto di un compromesso catto-comunista.

 

Su quale fosse il contesto, il clima politico culturale, il dibattito tra padri costituenti, è stato detto e scritto quasi tutto in tante ricerche e saggi di costituzionalisti e storici. Considerazioni che non meritano di essere riprese ora solo per confutare una iniziativa chiaramente strumentale. Ciò che invece merita di essere sottolineato è che nessuno, in buona fede, può sostenere che l’articolo 41 della Costituzione abbia mai rappresentato un intralcio, o anche soltanto un freno, alla creazione di imprese. Tant’è vero che l’Italia può vantare una densità imprenditoriale tra le più alte d’Europa. Con circa 66 imprese ogni 1000 abitanti, contro 22 della Germania, 39 della Danimarca, 40 della Francia.

 

In effetti il problema delle imprese italiane non è la difficoltà di nascere. E’ semmai la difficoltà di crescere. E l’ostacolo alla crescita deriva dal fatto di avere a che fare: con una pubblica amministrazione lenta ed inefficiente; con il disinteresse per la ricerca e l’innovazione; con una politica scolastica imperniata sui tagli anziché sugli investimenti. Cosa c’entri quindi l’articolo 41 con le difficoltà delle imprese non è francamente dato di capire. Anche per questo risulta abbastanza evidente che la polemica contro la Carta “vecchia e datata” non è altro che un diversivo per non parlare dei problemi veri. Tanto più considerato che i “vincoli”, i “lacci e lacciuoli”, non vengono  dalla Costituzione, ma semmai dalle normative farraginose e dalle lungaggini burocratiche. E non è affatto necessario essere giuristi per sapere che la semplificazione normativa, la razionalizzazione di autorizzazioni e di controlli sono questioni che, se si vuole, possono essere risolte subito. Senza alcun bisogno di modifiche costituzionali.  D’altra parte questo era sembrato anche l’intendimento dell’attuale governo quando si è presentato alle Camere per richiedere la fiducia. Tant’è vero che così era stata motivata l’istituzione di un inedito ministero per la “Semplificazione normativa”. Ed è proprio quel ministro che pochi mesi si è fatto immortalare dalle telecamere, armato d’ascia e fiamma ossidrica, mentre dava fuoco a scatoloni che (secondo le sue dichiarazioni) contenevano 375 mila tra leggi e regolamenti abrogati perché del tutto inutili.

 

Ora, se dovessimo prendere per buona la campagna estiva del governo finalizzata a riformare l’articolo 41 della Costituzione, dovremmo dedurre che tra quelle centinaia di migliaia di leggi e regolamenti dati alle fiamme non ce ne fosse nemmeno una che poteva servire e rendere la vita delle imprese (e magari anche dei cittadini) un po’ più semplice. O, per usare il linguaggio dei colleghi di governo del senatore Calderoli, un po’ meno asfissiante. Resta quindi un dubbio: o  il mancato inserimento nella “pira Calderoli” di norme che servono solo a vessare inutilmente le imprese è stata una spiacevole dimenticanza, oppure il ministero per la Semplificazione normativa è del tutto incapace anche di distinguere le norme necessarie da quelle inutili. Nel secondo caso si dovrebbe concludere che tra le cose inutili (e quindi da abolire) andrebbe inserito anche lo stesso ministero della Semplificazione.

 

Ritorniamo però al punto. In Italia il tasso di natalità delle imprese è maggiore di quello che si registra in altri paesi europei. Quindi l’articolo 41 non è assimilabile ad un contraccettivo, come vorrebbero far credere Berlusconi e Tremonti. Il fatto di cui semmai ci si dovrebbe preoccupare è che le imprese, una volta nate, hanno poi difficoltà a crescere. Poiché le cause del loro rachitismo e della loro elevata mortalità infantile non hanno origine nella Costituzione, si deve concludere che servirebbero rimedi appropriati. Rimedi che evidentemente non fanno parte del ricettario del governo in carica.

 

A scanso di malintesi è bene dire subito che le considerazioni qui svolte non sottintendono alcuna indisponibilità a che si possa o si debba discutere di Costituzione. Tuttavia, se si vuole che la discussione abbia un senso sarebbe opportuno partire innanzi tutto da ciò che nella Costituzione manca. A cominciare da una seria regolazione dei conflitti di interesse; dal principio di concorrenza, che implica un contrasto alle rendite di posizione ed uno stimolo alla competizione; da autorità di vigilanza garantite costituzionalmente, del tutto indipendenti rispetto al governo ed ai soggetti vigilati; da  una regolazione del pluralismo mediatico e radiotelevisivo che interdica le concentrazioni, le posizioni dominanti.

 

In effetti, si tratta di alcune delle questioni che vanno assolutamente affrontate se si vuole avviare una vera modernizzazione del paese. Poiché però non è arbitrario ritenere che la maggioranza di governo abbia altre priorità e soprattutto altro per la testa, è del tutto evidente che se l’opposizione non dovesse trovare la coesione, la forza, la determinazione necessaria  per affrontarle, il rischio serio per l’Italia è di rimanere impantanata in mezzo al guado. E questo sarebbe un guaio assai grave. Non solo per le imprese, ma anche per i cittadini.

Lunedì, 21. Giugno 2010
 

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