Il voto Usa scelta tra due mondi

Nonostante le menzogne e il disastro della guerra in Iraq l'esito è ancora incerto. Per molti americani la radicalità messianica di Bush è rassicurante e la preferiscono all'atteggiamento riflessivo di Kerry, cattolico ma laico in politica. Sulla politica sociale una divaricazione profonda

Siamo ormai alla vigilia, ma l'esito rimane ancora incerto. Nei tre confronti televisivi, John Kerry ha visto crescere i consensi, ed è chiaramente apparso di una superiore statura politica. Ma la sfida per la presidenza ha assunto ormai caratteristiche che sembrano prescindere dalla realtà politica. Non vi sono più dubbi sul fatto che l'amministrazione Bush abbia invaso l'Iraq, avventurandosi in una guerra senza sbocchi, senza alcun ragionevole motivo, anzi sulla base di inequivocabili menzogne. Ma non è più questo il punto.


Una consistente parte dell'elettorato americano è stata convinta che portare la guerra fuori, in qualsiasi angolo della terra, può essere un modo per scongiurare il rischio del terrorismo sul suolo americano. Non importa che le cose vadano in senso contrario, e che la guerra in Iraq abbia acceso nuovi focolai di terrorismo fondamentalista. La radicalità messianica di Bush è per una gran parte di americani più rassicurante dell'atteggiamento riflessivo del contendente Kerry, che si propone di creare una (difficile) via d'uscita dal pantano iracheno, insieme col ristabilimento di un efficace quadro di alleanze. Probabilmente, giunti a questo punto, a meno che non succeda nelle ultime ore qualcosa d'inatteso, non sarà più il dilemma iracheno a modificare la bilancia elettorale.

Altri temi hanno acquistato un'inaspettata rilevanza. I diritti civili e, in particolare, l'aborto hanno mobilitato il fondamentalismo religioso non solo delle chiese evangeliche, favorevoli a Bush, ma anche una parte dei cattolici contro il candidato Kerry. Non sono piaciute le sue limpide dichiarazioni nell'ultimo confronto di Tempe (Arizona): " Io sono cattolico… (ma) credo di non poter legiferare o imporre ad altri cittadini americani le mie convinzioni religiose. Non posso imporre quello che per me è un articolo di fede a chi non lo condivide. Io credo che la scelta spetti alla donna. Riguarda lei, Dio e il suo medico. Questa è la mia posizione. Come disse il presidente Kennedy durante la campagna per la presidenza: 'Io non mi batto per essere un presidente cattolico. Voglio essere un presidente che, tra l'altro, è anche cattolico'".


Questa dichiarazione, che può solo onorare un uomo di stato, gli ha scatenato contro la parte cattolica più conservatrice. L'arcivescovo Charles Chaput di Denver ha detto, senza mezzi termini, al "New York Times" che votare per un candidato che appoggia il diritto all'aborto e la ricerca sulle cellule staminali embrionali è un grave peccato da portare in confessionale. Altri ambienti cattolico-conservatori sono arrivati a minacciare la scomunica del candidato Kerry, inducendo ambienti del Vaticano a precisare che la la scomunica non è un sanzione automatica, ma si applica "solo a chi procura o pratica un aborto".

Siamo ormai di fronte a due diverse visioni del mondo. La differenza è diventata sempre più evidente e precisa sui temi di carattere sociale. Bush marcia verso la privatizzazione definitiva del sistema sanitario e della Social security, il sistema pensionistico pubblico, all'insegna della "Ownership society", una società di proprietari. Vale a dire, ogni persona potrà avere  un proprio piano di assicurazione sanitaria e di assicurazione pensionistica; e lo Stato favorirà questo passaggio con forti agevolazioni fiscali. Insomma, ciascuno per sé, il mercato per tutti.


Ma non tutti sono uguali di fronte ai rischi dell'infermità o di una vecchiaia in condizioni di miseria. Le condizioni di partenza sono profondamente diverse, e diverse sono le possibilità di fronteggiare i rischi che si presentano nel corso della vita. Del resto, da Bismark a Beveridge, è per questa elementare e trasparente ragioni che sono stati istituiti i sistemi pubblici di sicurezza sociale. Scrive su Business Week Robert Kuttner: "Ciò che Bush realmente propone è il trasferimento dei rischi su ciascun individuo; e questo quando le altre fonti d sicurezza economica, come l'occupazione a lungo termine e la garanzia della pensione, sono a repentaglio".


Siamo di fronte a casi di paranoia ideologica, se solo consideriamo i più evidenti dati di fatto. Il sistema sanitario americano, già oggi largamente privatizzato, è il più dispendioso del mondo, con un costo intorno al 14 per cento del PIL contro una media dell'8 per cento nell'Unione europea. Con una differenza macroscopica. I sistemi europei, su base fiscale o contributiva, forniscono una copertura universale, mentre negli USA 45 milioni di cittadini, ci cui 11 milioni di bambini, sono privi di assistenza.


Quanto al sistema pensionistico, l'unico regime di sicurezza sociale con una copertura universale, risalente alle grandi riforme del New Deal di Roosevelt, è uno dei pochi al mondo a non presentare problemi di sostenibilità finanziaria. Secondo le ultime previsioni della direzione pubblica della Social Security, il bilancio è in equilibrio fino al 2042. Ma non si tratta solo di questo. Le pensioni complementari, basate sui Fondi privati a capitalizzazione, che riguardano circa il 50 per cento dei lavoratori americani, sono intrappolate in una crisi finanziaria che ha destabilizzato l'intero sistema. Il rimedio che si sta imponendo da alcuni anni è il passaggio dal vecchio sistema, che garantiva una pensione complementare predefinita (defined benefit), all'altro che stabilisce l'entità dei contributi (defined contribution), mentre la pensione dipenderà dagli andamenti dei mercati finanziari.


Non può stupire che in tutto il pianeta si guardi con interesse, e perfino con apprensione, all'esito delle elezioni americane. La sfida riguarda non solo il futuro di un grande paese, che è al centro dell'impero, ma due opposte concezioni di governo e di società. Non siamo al cospetto di un normale programma conservatore. E' una nuova forma di radicalismo che può provocare nei campi più diversi, dalla politica estera ai diritti civili, dall'economia alle relazioni sociali, danni incalcolabili.

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Giovedì, 21. Ottobre 2004
 

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