Il governo crea illusioni e ne resta vittima

La famosa “frustata all’economia” è fatta di provvedimenti più volte annunciati e mai realizzati e la politica ha perso del tutto la capacità di guida anche contro gli umori di breve periodo dell’elettorato. Il governo è prigioniero dei sondaggi che riflettono gli scenari artificiali che esso stesso ha creato con le sue campagne di persuasione

Secondo i dati più recenti, la recessione mondiale, pur ancora soggetta a turbolenze finanziarie anche violente, sta decisamente rallentando. Alcune economie emergenti accelerano il loro ritmo (come il Brasile e qualche Paese africano); altre cercano di riequilibrare la domanda interna per evitare tensioni socio-politiche, come la Cina. Il caso italiano, nonostante la lieve ripresa occupazionale (centomila unità) e il parallelo aumento, psicologicamente giustificato, del numero dei disoccupati, contrariamente a quanto affermano i gazzettieri di regime non si colloca tra i migliori, neppure in Europa. Il ritorno al reddito del 2007 è previsto per il 2014 e quello pro-capite un po' dopo (2015?): la previsione è della Banca d'Italia. Si tratterà perciò di governare e se possibile accelerare l'economia nell'arco temporale 2011-2014, percorso da tornate elettorali locali, nazionali e forse anche di quel che resterà dei referendum.  Da questo ponte immaginario possiamo gettare uno sguardo sulle proposte altenative di politica economica del governo e del Pd.

 

Articoleremo la nostra trattazione in quattro fasi:

- Un'analisi la più obiettiva possibile della situazione attuale, sfrondata dalla informazione taroccata.

- Un esame del programma di governo per la stabilità monetaria trasmesso alla Ue, seguito dalla da tempo annunciata "frustata per lo sviluppo" (cfr. Il governo rilancia le balle).

- Un'esposizione critica del programma alternativo presentato dal Pd (cfr. Il programma del Pd non si vede ma c'è).

- Una riflessione conclusiva sui vincoli afferenti alla psicologia di massa che rendono difficile sia per la maggioranza che per le opposizioni la formulazione di programmi  razionalmente coerenti di lungo periodo.

 

Il quadro economico nel quale si colloca il patto di stabilità italiano è caratterizzato, come rilevano osservatori esterni, fra i quali il direttore dell'Economist, da dati poco affidabili o, comunque, interpretati in modo capzioso. Ne citiamo qualcuno. Il tasso di sviluppo è calcolato senza tener conto del fatto che la base del 2010 non è 100, ma 94, cosicchè l'1,1% diventerebbe 1,02 e via dicendo fino a recupero completato. I raffronti della disoccupazione italiana con quella europea sono fatti senza includere la Cassa Integrazione: se lo si facesse il dato italiano sarebbe al di sotto della media. Secondo la Cgil aggiungendo al totale anche gli "scoraggiati", e cioè i giovani che non studiano e non cercano più lavoro perché ritengono inutile tale ricerca, si otterrebbe addirittura una percentuale del 18,5%, non lontana da quella della Spagna. Le 100.000 unità di aumento occupazionale, che il ministro Maurizio Sacconi imputa alla diminuzione degli inattivi, potrebbe in realtà essere un'emersione dal nero. Il risparmio delle famiglie, comodo espediente invocato dal governo per schivare le critiche sui tagli al sociale, si va riducendo ed è comunque distribuito in modo così iniquo da concentrare più della metà delle ricchezze in un 10% di privilegiati. La pretesa solidità delle banche è smentita non solo dalle ricapitalizzazioni, ma anche dalle quotazioni attuali rispetto al 2008. Il mito della robusta struttura delle piccole e medie imprese è da tempo infranto, perché la globalizzazione richiede dimensioni adeguate ad una platea competitiva mondiale. Per concludere, le esportazioni aumentano effettivamente con un buon ritmo: inferiore però a quello di Gran Bretagna, Germania e della stessa Spagna.

    

In questo quadro chiaroscuro la manovra del patto di stabilità offre cifre incerte e prospetta una dinamica temporale che mostra l'impronta politica che prevale sulle soluzioni tecniche rendendole improbabili. Secondo Bankitalia, la manovra correttiva ammonta a 35 miliardi di euro, con una riduzione della spesa del 7% in termini reali; per la Corte dei Conti è di 40 miliardi; Tremonti parla di 15 miliardi per il biennio 2013-2014; il documento del governo indica una riduzione pari al 2,3% del Pil, e cioè 0,5% per il 2012 e 0,8% per i due anni successivi. Abbiamo, dunque, un panorama che definire confuso è eufemistico. Quel che è certo e che è stato rilevato da tutti gli osservatori obiettivi, è il fatto che la manovra si concentrerebbe, in caso di chiusura normale della legislatura, nel biennio post-elettorale. Operazione dissennata o, peggio, in perfetta malafede.  E' ben vero che, come ebbe a dire un famoso venditore di mobili, peraltro fallito, "per i miracoli ci stiamo attrezzando". Sarebbe come se un pilota di un'auto lanciata in piena velocità anziché frenare gradualmente inchiodasse il pedale del freno nell'ultimo tratto prima di un ostacolo, con la quasi certezza di un crash o di un ribaltamento.

    

Naturalmente le dichiarazioni che hanno accompagnato la presentazione del Piano non potevano non contenere qualche fuoco di artificio. Ed ecco il Tremonti, novello marziano a Roma, osservare che il peso dell'oppressione fiscale sulle imprese, con l'infittirsi dei controlli anche inutili ha raggiunto livelli insostenibili, favorendo la corruzione dei funzionari (diretti dallo stesso Tremonti). Avendo governato il Paese per otto anni su dieci, questa autoaccusa avrebbe dovuto avere come immediata conclusione le dimissioni del ministro responsabile, nonché l'impegno a rifondere il danno erariale provocato indirettamente da un meccanismo atto a favorire la corruzione. Su questa parte logica del discorso è piombato un silenzio di tomba.

    

La grande frustata all'economia da tempo preannunciata è destinata a costituire l'altra faccia del Piano di stabilità. Secondo le perentorie affermazioni del ministro dell'Economia, si tratta di riforme “a costo zero. I punti salienti di questa manovra sono noti perché annunciati a cadenza quasi regolare ed in puntuale coincidenza con tornate elettorali - secondo la migliore tradizione di questo governo - da quasi un ventennio. Il decreto per lo sviluppo è stato approvato il 5 maggio. 

    

Riassumiamo le scelte più significative: a) Piano Casa (di due anni fa); b) semplificazione per inizio attività, in realtà anticipato in forma analoga anche da governi di centro-sinistra, con lo sportello unico, operante in parecchi Comuni con lo slogan accattivante "una impresa in un giorno"; c) credito di imposta per le spese di ricerca se affidate a Università; d) fiscalità di vantaggio per il Sud (se ne parlò per la prima volta nel 1994; fu realizzata dal secondo governo Prodi e abolita da Tremonti). In questo quadro sentiremo ripetere il mantra delle enormi disponibilità di fondi comunitari, che i malvagi dirigenti delle Regioni meridionali non sanno o non vogliono spendere.

 

Del Piano casa si dice che sinora non è decollato per gli intralci posti da Regioni, Comuni e Sovrintendenze. Una normativa ad hoc dovrebbe consentire ampliamenti volumetrici anche in deroga ai vincoli vigenti. Le prospettive rimangono incerte, non solo per il rischio di ristrutturazioni avventurose (con pericoli per gli stessi inquilini e danni all'ambiente), ma anche perché, contrariamente a quanto si vuol far credere, in Italia vi è un eccesso di abitazioni rispetto alla popolazione. La cosiddetta "crisi abitativa" è dovuta alla carenza finanziaria della domanda da parte di certe categorie sociali e rappresenta l'immagine edilizia di quella deformazione strutturale nella distribuzione del reddito di cui abbiamo scritto molte volte (cfr. Il modello di sviluppo nella trottola dei redditi).

    

La semplificazione per inizio attività (SIA) rientra in un'ottica sfrenatamente liberista, basata sulla cieca fiducia nelle capacità progettuali e nella correttezza delle imprese. I controlli avverrano ex-post. Secondo le dichiarazioni del governo ciò porrebbe un freno alla corruzione, facendone scomparire l'oggetto, e cioè l'autorizzazione o le licenze. Il provvedimento favorisce e non riduce il tasso di corruzione. Poiché il controllo non avverrebbe in fase progettuale, ma ad iniziativa già in corso, sarebbe molto elevato per l'azienda il costo di una non approvazione totale o parziale e si accentuerebbe quella che potremmo definire "propensione marginale alla mazzetta".

    

La fiscalità di vantaggio per la ricerca è un falso scopo, perché, se adeguatamente motivati, i costi della ricerca sono già attualmente detraibili dall'imponibile.

    

Ma soprattutto vi è una serie di provvedimenti mirati. Per accontentare gli evasori si puniscono disciplinarmente gli eccessi di controlli sulle imprese (Mediaset non è citata, ma è implicita); si favoriscono le banche con l'aumento del tasso usurario; i costruttori d'assalto, con l'aumento ad un milione degli appalti senza gara; i precari, che stavano vincendo tutti i ricorsi al Tar sono parzialmente accontentati con l'assunzione di 65.000 unità in qualche anno; il Mezzogiorno vede tornare il bonus Prodi di 300 euro al mese per assunzioni a tempo indeterminato, ma trasformato in credito d'imposta; i nostalgici del Banco di Napoli, a suo tempo andato in bancarotta, potranno creare un sottobosco finanziario intorno alla Banca del Sud ("un gigante che costa poco"); la ciliegia sulla torta è la cessione per novant'anni (!) del diritto di superficie sulle spiaggie (come fu per Hong Kong, bottino inglese della Guerra dell'Oppio). Quanto alla manovrina da 8 miliardi, già smentita, in realtà è in corso. Con un calcolo a spanne, il peso del fiscal drag con un previsto aumento di un punto di inflazione ci dà 6 miliardi e 2 si ricavano dalla mancata diminuzione delle accise sulla benzina a prezzi crescenti.

    

Rimarrebbe da esaminare la fata Morgana dei fondi comunitari, fondi che talora assumono dimensioni straordinarie  moltiplicando per 7 anni l'importo massimo annuale. Come sanno tutti i dirigenti meridionali, tra i quali, in una recente intervista, l'ex Presidente della Confindustria Antonio D'Amato, queste somme non sono utilizzabili senza previo stanziamento della quota nazionale (FAS), quasi interamente assorbita da altri capitoli di spesa e, quindi, non disponibile.

 

 

Sempre secondo il documento di Tremonti, pur tenendo conto degli effetti veri o presunti della "frustata", il Pil aumenterebbe rispettivamente dell'1,3%, dell'1,5 e dell'1,6 nei tre anni fino al 2014. La pressione fiscale rimarrebbe al 42% (ma secondo molti osservatori aumenterebbe di almeno 1 punto e mezzo per effetto del federalismo fiscale). Gli investimenti pubblici sono previsti in diminuzione. Quanto al tasso di inflazione armonizzato, sia la Banca d'Italia che la Corte dei Conti ritengono le previsioni del governo troppo ottimistiche.

 

Quanto al programma del Pd, Tremonti tonitruante come Giove lo ha fulminato con una battuta anglo-padana: non avrebbe un "life-time" di più di 10 minuti dinanzi alla Commissione. Il commento è ingeneroso perché lo sforzo innovativo c'è stato, come avevamo rilevato in altro scritto precedentemente citato. Ricordiamo ai lettori - che potranno trovare i dettagli nelle 200 pagine depositate alla Camera dei Deputati, disponibili qui - i punti salienti: una trentina di liberalizzazioni, dalle benzine ai farmaci e alle professioni; riduzione del costo del lavoro a tempo indeterminato e aumento di quello primario, sia per accrescere le prospettive pensionistiche che per creare un gradiente del secondo rispetto al primo; riduzione della pressione fiscale su stipendi e pensioni ed aumento  di quella sulle rendite finanziarie, esclusi i Bot; taglio dei costi della politica, ma non molto dettagliato, se non per l'abolizione delle Province; dote di cittadinanza (27.000 euro a 18 anni) da creare con un fondo di accumulazione, presumiamo del tipo bonus-bebè; fondo di garanzia per il microcredito; aumento borse di studio; esenzione fiscale triennale per l'imprenditoria giovanile; bonus di 333 euro mensili per assunzioni a tempo indeterminato, con agevolazioni ancora maggiori nel Sud. Dove il progetto Pd può migliorare è sulla copertura finanziaria, dove non sembra particolarmente incisivo.

 

Ciò è dovuto con ogni probabilità al fatto che nessuno vuole mettere in evidenza misure che potrebbero scontentare il suo potenziale elettorato. Ma nei programmi del governo questo principio è portato a conseguenze estreme. Così Tremonti esclude la tassazione delle rendite finanziarie e qualunque patrimoniale sulle grandi fortune; timidissimi gli accenni alla lotta alla corruzione, spesso mascherata im modo semi-legale da intermediazione, che pure incide, secondo la Corte dei Conti, sulla spesa pubblica in una misura superiore al 7% indicato da Draghi.

 

Sono esitazioni da "sondaggite acuta". La politica economica perde, dunque, le sue caratteristiche di governo del sistema anche contro gli umori di breve periodo dell'elettorato. Ma poichè l'econonia ha le sue leggi e la realtà prevale comunque sull'illusione, i Paesi come l'Italia navigano fra spot ed illusioni e l'elettorato cade nell'apatia e nel distacco dalle scelte fondamentali. Un ruolo perverso è esercitato dai mezzi di informazione nei quali gli avanzamenti tecnologici si accoppiano ad un impoverimento concettuale.

 

Così il cerchio si chiude. Le classi dirigenti mascherano la propria debolezza con campagne di persuasione, creando illusioni finanziarie e scenari artificiali, ma finiscono per essere sensibili ai risultati dei sondaggi che rappresentano il clima di opinione da esse stesse stimolato. Gli illusionisti cadono preda delle illusioni da loro stessi create.

 
P.S. I novant'anni di durata della cessione del diritto di superficie sulle spiagge si sono ridotti a venti per un miracolo di San Giorgio (Napolitano). Splendida prova di coerenza.
Martedì, 17. Maggio 2011
 

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