Il governo rilancia le balle

Sulla manovra del governo del 9 febbraio il commento più benevolo è che essa non esiste. Le liberalizzazioni o non ci sono o sono al contrario, come ad esempio per i benzinai. Le cessioni di patrimonio pubblico sono una via sbagliata per ridurre il debito. E prosegue la subdola campagna pro-nucleare

L'incalzare di notizie a carattere economico, condite dalla consueta melassa di spot pubblicitari, dichiarazioni di principio, proiezioni più o meno attendibili, parziale riconoscimento di esigenze reali (Tremonti constata che nel Sud i moscerini sono più veloci dei treni), richieste di categorie e sindacati e via televedendo..... ci costringe ad un sintetico intervento che abbraccia una molteplicità di temi. Sui quali ritorneremo a bocce ferme.

 

Essi sono: a) il problema della riduzione del debito pubblico, evidenziato nell'articolo di Ruggero Paladini e reso attuale dall'incombere di decisioni comunitarie probabilmente in senso restrittivo per paesi ad alto rapporto debito/pil (leggi Grecia e Italia); b) la frettolosa manovra del governo per il cosiddetto rilancio dell'economia, puntando per il 2011 a quel tasso di sviluppo dell'1,5% indicato nel marzo del 2010 e smentito dalle previsioni Confindustria, Ocse e Fmi; c) la campagna pro-nucleare, intensificata con la diffusione di notizie-centauro (mezze vere e mezze false).

 

Sulle scelte alternative per ridurre il debito pubblico e sulla difficoltà di applicare le potenziali soluzioni, rinviamo allo scritto già richiamato. Sollecitati però dalle notizie relative alla cessione di immobili del patrimonio pubblico al Comune di Roma, vorremmo ritornare su una soluzione adombrata in un precedente articolo di Selan.

 

A ottobre 2010 il Consiglio Comunale di Roma ha modificato il Piano Regolatore per quanto concerne la destinazione d'uso di 15 caserme, cedute dal Demanio alla Capitale, al fine di contribuire al ripiano di bilancio. Sulla carta il valore dei beni ceduti supera largamente i 3 miliardi di euro. Ma, poichè gli immobiliaristi potenzialmente interessati si contano sulle dita di una mano e saranno fra loro quasi certamente collusi, è  facile prevedere un'asta al ribasso. Le plusvalenze, quindi (e che plusvalenze!) ricadranno in mani private. Da questo esempio si evince che il valore realizzabile di patrimonio pubblico cedibile per abbattere il debito pubblico nazionale, risulterebbe di gran lunga inferiore a quanto ipotizzato, fra gli altri, da Giuliano Amato, Walter Veltroni e Pellegrino Capaldo, tenendo conto dei meccanismi di vendita all'incanto su un mercato caratterizzato dall'oligopolio della domanda. Risulta del pari impercorribile di fatto la strada dell'imposta patrimoniale; anche se il nostro impareggiabile presidente del Consiglio ha offerto involontariamente un formidabile assist proprio all'ipotesi da lui più temuta, affermando che "questo è un paese dove lo Stato è indebitato, ma i cittadini sono ricchi"!

    

Sarebbe forse il caso di esplorare con cautela una soluzione finanziaria abbastanza complessa, che prevede in una prima fase di rendere redditizi molti cespiti demaniali, sia accrescendo di oneri di concessione delle spiagge balneabili (che sono risibili rispetto al volume dei ricavi annui) sia attraverso la locazione a lungo periodo delle aree o immobili demaniali, anzichè procedere alla loro vendita. Successivamente i beni fruttiferi verrebbero conferiti ad una holding in grado di emettere azioni, da sottoscrivere anche con cessione di titoli pubblici. In tal modo si potrebbero - di fatto - ridurre quote del debito pubblico.

 

Sulla manovra del governo del 9 febbraio il commento più benevolo è che essa non esiste. Le riforme costituzionali sono palesemente inutili o tautologiche, a meno che non nascondano ardite manovre speculative dei soliti noti, come creazione di imprese fantasma controllabili solo post mortem. Si tratta di specchietti per le allodole, per rinviare le liberalizzazioni a babbo morto. Fra gli altri provvedimenti, alcuni sono detti "copertina": il Consiglio dei ministri ha approvato il titolo di un disegno di legge che nella cartellina non c'è.

    

Il Piano per il Sud si basa sulla favola metropolitana, da noi più volte rimarcata, secondo la quale alcune Regioni sarebbero incapaci di spendere i fondi Ue. In realtà, la vera ragione consiste nella mancata disponibilità nel bilancio degli enti locali della quota parte di finanziamento proprio necessaria per attivare i flussi comunitari. Ottimo il progetto di concentrazione e semplificazione del meccanismo degli incentivi, rinviato però ai primi del 2012. Adelante con juicio. Idem per le promesse liberalizzazioni. Siamo curiosi di vedere quel che accadrà nel passare al piano concreto, perché la lamentata complessità è frutto delle risposte clientelari a specifiche domande territoriali e settoriali del blocco sociale che sostiene il governo. Chi avrà il coraggio di segare il ramo su cui è seduto? Comunque, abbiamo già due begli esempi a contrariis: l'aumento delle tariffe dei taxi romani e la liberalizzazione all'incontrario delle pompe di benzina. Bell'esemio, quest'ultimo, di un legiferare da buontemponi: invece di far vendere le benzine nei supermercati, si propone di mettere tabaccherie accanto alle pompe....

    

Nel frattempo Pier Luigi Bersani pregusta una sua vendetta, presentando 34 efficaci liberalizzazioni, soprattutto nel campo delle licenze, delle banche, delle assicurazioni e delle professioni. Dal canto suo Emma Marcegaglia, con splendida manifestazione di coraggio, "si riserva il giudizio".

 

Un'ultima considerazione riguarda la subdola campagna pro-nucleare. Improvvisamente si è scoperto che gli incentivi per le energie rinnovabili sono eccessivi, sostenendo la tesi con due argomentazioni, l'una accettabile e l'altra falsa. Si ha l'impressione che almeno per l'eolico (che in molte zone ha già raggiunto il livello di economicità di mercato) gli incentivi - come aveva osservato Rosita Donnini - possano costituire addirittura un premio agli imbroglioni. Corretta, anche, l'ipotesi di ridurre gradualmente quelli spettanti al fotovoltaico che, spinto dalle nanotecnologie, è forse alla vigilia di risultati eclatanti.

    

E' invece falsa la cifra dei 23 miliardi di euro che i cittadini hanno pagato per sostenere le energie rinnovabili nelle loro bollette. Non si dice in quanti anni, non si dice quante bronchiti hanno risparmiato con i relativi costi, non si dice soprattutto che ogni 1,8 euro di contributo solo lo 0,87 va alle energie rinnovabili ed il resto a quelle "assimilabili" (potenza espressiva della criptoburocrazia ministeriale), fra cui figurano, fra l'altro, le centrali a carbone. Et de hoc satis.

Venerdì, 18. Febbraio 2011
 

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