Il bivio di fronte a Monti

Dopo una manovra brutta ma con l’attenuante dell’emergenza è l’ora di una scelta: o va contro una destra che non si riconosce nei valori della Costituzione stringendo un compromesso forte con il centrosinistra o viene meno all’ispirazione democratica costituzionale

Il 2012 si è aperto per Mario Monti con una delicata missione europea. Nell’interesse preminente dell’Italia: ma sapendo che è in gioco, neanche tanto sullo sfondo, l’interesse dell’Unione.

 

Dobbiamo preoccuparci, di quella che sembra solo insensatezza. La Bce inietta liquidità nel sistema bancario e le banche che ne usufruiscono la depositano in Bce anziché finanziare la domanda di credito. La Germania fa segnare il record di occupazione ma l’Ue è in recessione, essendolo tre quarti dei suoi membri. Si restringe quindi paurosamente il mercato interno (europeo) per gli stessi prodotti tedeschi, ma non si colgono segnali di ripensamento sulla linea di austerità che, non c’è bisogno di Keynes per capirlo, avrà effetti pro-ciclici e aggraverà la recessione.

 

A qualcuno sta venendo il dubbio (lo ha lasciato trapelare lo stesso Monti appena tornato dall’incontro con Sarkozy: “nessuno pensi di fare da solo”) che la Germania stia meditando di fare a meno del mercato europeo e quindi della stessa Unione (il doppio euro sarebbe il primo passo di una strategia di più lungo termine). Al resto del mondo appare un’avventura alquanto folle ma la storia non autorizza facili ottimismi. Per questo la missione Monti riguarda l’Europa, non solo noi. 

 

Otterrà i risultati sperati? Quelli che finora sono noti non sono elementi sufficienti, la risposta verrà nelle prossime settimane. Nel frattempo dovremmo domandarci quale credito possa spendere Monti e in nome di chi possa parlare. La risposta non mi sembra chiara, né facile.

 

Si pensi solo alla varietà dei giudizi e delle definizioni che lo accompagnano. Il suo governo, pur non rappresentando una novità assoluta sul piano istituzionale, segna una forte rottura di continuità. Ma può bastare questo a spiegare come mai la precedente maggioranza ritenga di confinarlo in un mandato strettamente “tecnico”, quando c’è chi ritiene (Napolitano in testa) che segni piuttosto il ritorno alla politica? Che attribuisca la sua origine a una sospensione della democrazia, quando per altri segna il ripristino di alcune sue regole fondamentali? A seguire, è il governo dei banchieri o dei nemici delle rendite (finanziarie quelle di gran lunga più rilevanti)? Dei poteri forti o della lotta ai monopoli? Senza maggioranza parlamentare o con la più ampia maggioranza che la storia ricordi?

Normale, si sente dire, in questa varietà si rispecchia la dialettica politica che in questo paese è fortemente polarizzata. In questi giudizi invece ritengo che non si rispecchi un paese polarizzato ma un paese senza bussola.

 

Veniamo così al punto. Negare la natura politica, senza aggettivi, di questo governo è un’offesa alla realtà (e all’intelligenza). Tuttavia, qui sta il problema, qui la novità, lo è altrettanto attribuire natura politica alla maggioranza che lo sorregge. Questo, perché nessuna delle contrapposizioni – radicali: la polarizzazione è un dato di fatto – che hanno attraversato il quadro politico negli ultimi venti anni si è, non dico risolta, ma neppure attenuata.

 

Questa, sì, è l’anomalia di questo governo. Nuova, del tutto inedita, nella forma che ha assunto e però antica, strascico lungo della democrazia bloccata che ha preso corpo dopo la guerra. Quando ne sono venute meno le ragioni di contesto, internazionali, con la caduta del Muro, quell’anomalia non si è ricomposta ma si è aperta una fase di instabilità acuta. Da allora, il nostro paese è alla ricerca di un nuovo patto fondativo (ovvero costituzionale) ma non lo trova. Perché mentre una parte dello schieramento politico ritiene si debba trovare in un ancoraggio alla Costituzione repubblicana, considerata non solo attuale ma finalmente attuabile in pieno, finita la guerra fredda, un’altra parte dello schieramento ne sta invece tentando una rilettura, con l’obiettivo – celato a malapena – di tenere in piedi quella democrazia bloccata, asimmetrica, nel mutato contesto storico.

Dunque, non il governo Monti ma il nostro quadro istituzionale è anomalo. Non solo, ma ha dato luogo alle due anomalie fondamentali che ci distinguono dal resto dei paesi avanzati (e perfino emergenti): criminalità (in particolare quella organizzata) e evasione fiscale (con il corollario della corruzione: è appena stato pubblicato l’ultimo rapporto di Transparency International che ci vede scivolare al 69° posto nel mondo), in inscindibile connubio.

 

Come definire la natura politica del governo Monti, allora, se si parte da queste premesse?

Sperando di non semplificare troppo direi che non è di centrosinistra, ma è un governo che si ispira alla Costituzione repubblicana e ai suoi valori. Non è poco, ma è anche evidente la contraddizione che lo attraversa. Dovendo contare sui voti di una destra nazionale che non si riconosce in quei valori, non ha alternative: o va contro quella destra, scendendo a un compromesso forte con il centrosinistra, in primo luogo per sanare quelle anomalie, o viene meno all’ispirazione democratica costituzionale.

 

Qualcuno immagina, o teme, a seconda dello schieramento di provenienza, che possa imboccare una via di mezzo: fare una politica di destra, su basi democratiche, costringendo il centrosinistra ad appoggiarla in nome della Costituzione come valore comune (Napolitano garante) e convincendo il centrodestra a subirla, in attesa di tempi migliori. E’ realistico? E’ percorribile?

 

Quanto al primo interrogativo, mi rendo conto che la manovra, per come ne è stato ripartito il carico, non sembra contraddire questa ipotesi, che appare quindi realistica. E’ però consentito il beneficio del dubbio stante l’emergenza economica e la difficoltà di fare cassa sonante, immediata, senza “far male” ai soliti noti. Archiviata ora la manovra (non solo l’ultima secondo Monti e Bersani ma l’ultima possibile in quei termini) non mancherà occasione per avere le controprove e verificare sulle scelte concrete come si dipana quella contraddizione. Non è un caso che Monti stia prendendo tempo, senza aver ancora risposto a nessuna delle sollecitazioni che gli sono arrivate: dalla tassazione delle rendite dei beni ecclesiastici alla vendita delle frequenze, dalla rinuncia all’acquisto dei caccia al taglio dei costi della politica, fino alle liberalizzazioni, non solo tassisti e farmacisti ma notai, ordini, assicurazioni, banche e via elencando. Mentre si attende di capire se, al di là dei blitz contro gli evasori, nelle casse dello Stato tornerà quell’afflusso di risorse che aveva caratterizzato i brevi anni di Visco nel governo Prodi-due.

 

Per quanto si protrarrà la riflessione su questi dossier? I dati, per professori di tanta competenza (checché ne dicano Bonanni e Calderoli), sono ben noti. Conoscono quei dossier e le ipotesi di soluzione in campo. Di quelle soluzioni conoscono anche gli interessi che smuovono, e quindi le difficoltà, gli schemi interpretativi da cui discendono e i valori cui si ispirano. Dunque, sanno anche quali scelte di schieramento portano con sé. Alcuni di loro lo sanno – diciamolo pure senza reticenze – meglio di altri perché di scelte di schieramento sono stati partecipi, se non protagonisti. Hanno fatto bene a ricordarlo, ad esempio, a proposito del ruolo svolto da Passera nella vicenda Alitalia-Cai, la Gabanelli e poi la Spinelli, così come Monti (con Napolitano) non manca di ricordarci, per altro verso, il ruolo rivestito nella Commissione Ue (a proposito di poteri forti).

 

E’ insomma la scelta politica che non sembra matura e, per concludere con il secondo interrogativo, una via di mezzo non mi sembra percorribile. Perché nessuna delle sfide che attendono questo governo può essere definita di sinistra. Sono piuttosto condizioni di praticabilità di una moderna democrazia, pre-requisiti per una convivenza civile nella libertà e nello stato di diritto, nel ventunesimo secolo. Ma, se perseguiti con determinazione, incidono nel corpo vivo della base di consenso della destra italiana. Non della destra dei manuali, ma di quella che storicamente ha preso forma da vent’anni a questa parte.

 

Qui è Rodi e qui i professori devono ballare, dicevo in un precedente intervento. L’orchestra sta già suonando lo spartito ma in pista non sono ancora scesi.

In conclusione, quando il premier dice che ora tocca all’Europa fare la sua parte, nasconde una parte di verità. C’è ancora molto da fare in casa. E non è più consentito seguire le orme di Tremonti che, ad ogni passaggio spinoso, ricorreva all’espediente di sviare l’attenzione su Bruxelles e Francoforte.

 

Quella furbizia alla lunga non ha pagato. L’ambizione del Monti statista sembra davvero essere quella di mostrarsi capace di tirare fuori il paese dalle secche in cui è incagliato. Tutto il paese si deve augurare che non stia sottovalutando il compito che lo aspetta.

Venerdì, 13. Gennaio 2012
 

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