Che rapporto cè fra la crisi greca e il dibattito sulla riforma dellarticolo 18 in Italia? A un primo sguardo nessuno. Ma un rapporto, piuttosto stretto, esiste se guardiamo alla politica europea. Larticolo 18 sarebbe molto probabilmente privo di interesse nel quadro della recessione che attraversa lItalia, se il governo Monti non dovesse rendere conto alla tecnocrazia di Bruxelles. Non a caso, quando nel mese di gennaio fu condotta uninchiesta fra le imprese italiane sui problemi che bloccano la crescita, il 99 per cento indicò diverse cause, e nessuna larticolo 18.
La lezione che proviene dalla Grecia ci dice che la politica europea dellasse Berlino-Bruxelles è diventata una fonte di rovina per molti paesi e per lo stesso destino delleurozona. Basta dare uno sguardo agli esiti catastrofici delle misure imposte ad Atene. Dopo il prestito di 130 miliardi accordato, la domanda è se il default sia stato scongiurato o solo rinviato. Il programma dellEurogruppo (i ministri delle Finanze delleurozona) punta alla discesa del debito pubblico della Grecia dallattuale 165 al 120 per cento nel 2020. Ma vi sono previsioni diverse. Secondo calcoli riservati del Fondo monetario internazionale, il debito potrebbe ancora essere intorno al 160 per cento alla fine del decennio. In un caso o nellaltro, siamo di fronte al fallimento della politica che lEuropa ha imposto. Una politica miope, cinicamente aggressiva verso il popolo greco e insieme autolesionista per leurozona.
Era stato George Papandreou, nuovo primo ministro socialista, eletto alla fine del 2009 con largo consenso popolare, a denunciare il precedente governo conservatore di Karamanlis per aver falsificato i conti pubblici. Aveva quindi chiesto alla Commissione europea i cui uffici stranamente non si erano accorti nel corso degli anni del raggiro di definire congiuntamente un piano di graduale rientro dal disavanzo e riduzione del debito. Ma Bruxelles, per stupidità, incompetenza o fondamentalismo ideologico, impose a Papandreou, che pure era un politico credibile - niente a che vedere con il nostro coevo capo del governo - un programma socialmente devastante di aumento delle tasse e di tagli indiscriminati di salari, pensioni, sanità, investimenti pubblici. Col risultato di far lievitare il debito che era inferiore al 120 per cento del PIL (il livello italiano) fino al corrente 165 per cento. E, paradossalmente, ora lobiettivo sarebbe quello di tornare al 120 per cento alla fine del decennio. Un gioco delloca che sarebbe grottesco, se non ne fosse colpita lesistenza di milioni di persone ridotte alla disperazione.
Contemporaneamente allapprovazione del prestito, Bruxelles ha trasmesso al governo greco una lista di azioni prioritarie da mettere in atto in una settimana (!) nellambito di un documento di 90 pagine che prescrive 38 misure da attuare tramite leggi e decreti in tutte le materie che normalmente appartengono a uno Stato sovrano: imposte, sanità, pensioni, politiche salariali, privatizzazioni e, ovviamente, liberalizzazioni (compresi, per non farsi mancare nulla, i saloni di bellezza e le guide turistiche). Un gruppo di commissari nominati dalla Troika (Commissione europea, FMI e Bce) controllerà lattuazione delle misure e garantirà che le "tranche" del prestito siano destinate al pagamento degli interessi, utilizzando, se necessario, le riserve in oro della Banca centrale. Intanto, Wolfgang Schäuble, il potente ministro delle finanze tedesco, ha chiesto alla Grecia di rinviare le elezioni di aprile e di costituire un governo di tutti tecnici con fuori i partiti, prendendo a esempio il governo Monti. La Grecia osserva icasticamente Wolfgang Munchau, vicedirettore del Financial Times - si avvia a diventare la prima colonia delleurozona.
LItalia non è la Grecia. Ma la ricetta velenosa proveniente dallEuropa è uguale per tutti. Un esempio ravvicinato ci viene dalla Spagna. Mariano Rajoy, il primo ministro spagnolo, succeduto a Zapatero, ha portato a termine il piano di riforma del mercato del lavoro dettato da Bruxelles, analogo a quello indicato nella famosa lettera inviata lestate scorsa dalla Bce al governo Berlusconi. La riforma spagnola attuata con decreto legge a metà febbraio consente alle aziende di licenziare i lavoratori per ragioni economiche con un risarcimento pari a un indennizzo di venti giorni di retribuzione per ogni anno di lavoro entro un massimo di 12 mesi totali. Mentre nel caso di illegittimità del licenziamento, è nella facoltà dell'azienda optare per la riassunzione ovvero per un risarcimento pari a 33 giorni di retribuzione per anno lavorato. In pratica, piena libertà di licenziamento per ragioni economiche anche in assenza di un giustificato motivo, o allorchè una soluzione alternativa al licenziamento potrebbe essere indicata dal giudice del lavoro.
Le stesse ragioni economiche specificate in due trimestri di ridotti ricavi consentono allazienda di decidere autonomamente la riduzione dei livelli salariali. I lavoratori e le lavoratrici, oggetto del provvedimento, hanno la scelta fra acconsentire o, in alternativa, chiedere la rescissione del contratto di lavoro con un indennizzo pari a venti giornate di salario per ogni anno di lavoro. Le autorità di Bruxelles hanno apprezzato, e Monti, che ha incontrato nei giorni scorsi a Roma il primo ministro spagnolo, ha dichiarato in unintervista a El Mundo, che la flessibilizzazione del mercato del lavoro attuata dal governo spagnolo va nella stessa direzione nella quale noi ci muoviamo.
E in questo quadro europeo che siscrive il dibattito sulla riforma del mercato del lavoro in Italia. Ma Monti ufficialmente sostiene che non si tratta delle richieste di Bruxelles, poichè la riforma serve per combattere la disoccupazione, soprattutto quella dei giovani. A parte il credo ideologico che fa discendere il livello di occupazione dalla politica dellofferta (flessibilità illimitata delle condizioni di lavoro e del salario), largomento addotto dal governo è corroborato da qualche prova di fatto? Vediamo. Prima dellavvento della crisi, nel 2007, vigente larticolo 18, la disoccupazione in Italia era pari al 6,1 per cento della forza lavoro, inferiore alla media delleurozona (7,6), a quella della Francia (8,4), e della Germania (8,7).
Se poi guardiamo allinterno della media italiana, scopriamo che la Lombardia, il Veneto e lEmilia avevano una disoccupazione mediamente intorno al tre per cento, tra i livelli più bassi delleurozona, più basso di Svezia, Finlandia, Danimarca, Olanda. Dove sarebbe leffetto negativo delart.18? Come, purtroppo, succede da sempre, in mancanza di decenti politiche per il Mezzogiorno, la situazione si rovescia in Campania o in Sicilia dove il livello di disoccupazione è tre o quattro volte superiore. Ma è disposta la signora Fornero a incontrare i giovani disoccupati di Napoli e Palermo e spiegargli che la loro miserevole condizione dipende dallart.18, e che una volta che sarà stato abolito la loro situazione si avvicinerà a quella della Danimarca?
Comunque lo si rigiri, larticolo 18 - con la sua clausola di reintegro e la facoltà del lavoratore, ingiustamente licenziato, di scegliere, in alternativa, lindennizzo previsto dalla legge - costituisce, per i lavoratori occupati in imprese con più di 15 dipendenti, una tutela e un deterrente contro possibili abusi delle imprese, e niente ha a che fare con la disoccupazione. E tanto meno con quella dei giovani che sono disoccupati non ostante sia stata concessa alle imprese licenza di assumere tramite unillimitata varietà di contratti a termine.
Si dice ed è vero che i ricorso allart.18 da parte dei lavoratori e, in particolare, la pratica del reintegro sono sempre più rari. La recente sentenza con la quale la Corte d'Appello di Potenza ha ingiunto alla Fiat il reintegro dei tre lavoratori dello stabilimento di Melfi illegittimamente licenziati testimonia, tuttavia, l'importanza della tutela antidiscriminatoria della norma. In ogni caso, se si tratta di casi relativamente eccezionali, la domanda è: perché questaccanimento? Evidentemente, non è fuori luogo dedurne che, venuta meno la tutela legale e la funzione di deterrenza dellart.18, le imprese si sentiranno libere di licenziare (fatti salvi i casi di palese discriminazione) ogniqualvolta potrà essere invocata una ragione economica, tecnica o organizzativa, sapendo che quando fosse pronunciato un giudizio di illegittimità, se la caverebbero con semplice indennizzo.
Il discorso sulla facilitazione dei licenziamenti non si ferma allart.18, ma si allarga e assume una connotazione più generale e non meno allarmante, a proposito della Cassa integrazione guadagni straordinaria, che il governo propone di abolire e sostituire con lindennità di disoccupazione ordinaria. Lindennità di disoccupazione esiste in varie forme più o meno da un secolo come sostegno temporaneo al reddito di chi ha perduto il lavoro e il salario. La Cassa integrazione ha una funzione completamente diversa, avendo come obiettivo la prevenzione dei licenziamenti collettivi nei casi di crisi aziendali. Non è la presa datto dei licenziamenti a cui fa seguito un sussidio di disoccupazione, ma lo strumento che tende a evitare, limitare, trovare unalternativa ai licenziamenti di massa. Non a caso, contrariamente allautomatismo del sussidio per coloro che ne hanno i requisiti, dà luogo a una complessa procedura che coinvolge le stesse imprese, i sindacati e le autorità di governo locali e nazionali. La sua abolizione è un rovesciamento del paradigma. Significa considerare i licenziamenti collettivi per ragioni economiche non un problema (che è la ragion dessere della Cigs), ma una soluzione.
La riforma che il governo propone va in direzione del modello americano della flessibilità selvaggia. Lo stesso per il quale con la recessione del 2008-09 sono stati creati negli Stati Uniti otto milioni di nuovi disoccupati, con un drammatico aumento dal 4,5 al 10 per cento del livello di disoccupazione nel giro di due anni. NellUnione europea, se si escludono la Grecia e la Spagna, laumento della disoccupazione è stato significativamente più contenuto proprio per ladozione di misure dirette a prevenire o limitare il ricorso ai licenziamenti di massa.
In Germania si è fatto di più. Con misure analoghe a quelle che in Italia sono affidate alla Cassa integrazione e ai contratti di solidarietà, si è puntato sulla riduzione dellorario di lavoro il Kurzarbeit - per tutto lorganico coinvolto in una situazione di crisi aziendale. La riduzione del salario derivante dalla riduzione delle ore lavorate è stata compensata con lintervento pubblico. Il risultato è esemplare. Alla fine del 2011 il livello di disoccupazione del 5,5 per cento è più basso di quello anti-crisi. Le risorse destinate ai sussidi di disoccupazione sono stati impiegate in termini più efficienti e più equi. Andare in questa direzione sarebbe una scelta di eccellenza per una riforma che, nelle dichiarazioni ufficiali del governo, ha come obiettivo centrale la difesa e laumento delloccupazione.
In altri termini, dire riforma del mercato del lavoro non ha alcun significato. Il punto è stabilire in che direzione si intende riformare. Lequità sta nellaccrescimento delle tutele per chi ne è privo (i giovani e le donne colpite dalla precarietà, innanzitutto), non nella riduzione delle tutele per tutti. I sacerdoti della deregolazione dei mercati utilizzano cinicamente la crisi appunto come in Grecia in Spagna per attuare le riforme che in condizioni normali non sono realizzabili. Il governo Monti, proprio per lautorevolezza che ha acquisito in Europa, può sforzarsi di spiegare alle tecnocrazie europee che vi sono politiche sbagliate come lesempio della Grecia mostra drammaticamente. La riforma del lavoro fin qui delineata fa parte delle politiche sbagliate. Al tempo stesso inique e inefficienti per i paesi che debbono praticarle e, in definitiva, per il destino stesso delleurozona.