Caro governo, parla con loro

Il dato sul Pil del quarto trimestre ha certificato che l’Italia è entrata in recessione. L’esecutivo si è finora occupato solo delle promesse fatte ai suoi elettori, che però non bastano a stimolare la ripresa. Servono gli investimenti, che sono stati sacrificati e molti dei quali sono bloccati, e soprattutto un recupero del dialogo con le parti sociali, cioè i rappresentanti del paese che produce

Nel quarto trimestre 2018 il Pil dell’Italia è diminuito dello 0,2% sui tre mesi precedenti. Siccome si tratta del secondo calo consecutivo (il terzo trimestre ha fatto segnare un -0,1%), si può parlare di recessione tecnica o, più semplicemente, di recessione tout court. La stima preliminare dell’Istat indica nella domanda interna al lordo delle scorte la principale causa della recessione, mentre le esportazioni al netto delle importazioni avrebbero fornito un contributo positivo alla crescita.

Nonostante il rallentamento della congiuntura internazionale, che pure sta colpendo il nostro export, la più profonda ragione della crisi va dunque ricercata nel mercato interno. Quest’aspetto, niente affatto trascurabile, è stato colto al volo dal vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, che ha così commentato: “Come temevamo, l’impatto dell’incertezza delle politiche economiche sulla fiducia delle imprese e sulle condizioni finanziarie sta diventando rapidamente visibile.” In effetti, colpisce il fatto che il resto dell’Europa, pur rallentando fortemente, almeno per il momento non sia entrato in recessione. L’area euro è infatti cresciuta nel quarto trimestre dello 0,2%, la Ue-28 dello 0,3.

La debolezza della nostra economia rappresenta quindi un pessimo segnale per il governo giallo-verde. Anche se, ovviamente, i leader della coalizione danno la colpa ad altri: Conte al rallentamento internazionale, Di Maio ai governi precedenti a guida Pd. Ma come abbiamo già sostenuto in un articolo su E&L dello scorso novembre (L’economia frena e il governo vende illusioni), non sarà dalle misure adottate con la legge di bilancio che il Paese potrà uscire dalla crisi. Oltre tutto, l’unico strumento efficace per il rilancio dell’economia – gli investimenti pubblici – è stato fortemente ridimensionato nel passaggio dalla prima stesura della manovra, bocciata da Bruxelles, al varo definitivo della stessa.

Dal reddito di cittadinanza, ammesso che parta e si dimostri efficace, si potrà avere solo una modesta spinta ai consumi, valutabile al massimo in 0,2 punti percentuali di Pil. Gli investimenti privati, oltre a veder ridimensionati gli incentivi rispetto all’anno scorso, risentiranno nel 2019 del peggioramento delle aspettative da parte delle imprese. A gennaio il PMI - l’indicatore che misura il sentiment dei direttori agli acquisti del settore manifatturiero – è sceso a 47,8, ben al di sotto della soglia di 50, che separa la fase di espansione da quella di contrazione. Anche il clima di fiducia delle imprese misurato dall’Istat, sempre a gennaio, è diminuito per il settimo mese consecutivo, essendo sceso a 99,2 da 105,2 di giugno.

In una situazione del genere il governo, anziché pensare alla scadenza elettorale di maggio, farebbe bene a dare segnali concreti che non siano soltanto l’avvio di quota 100 e del reddito di cittadinanza. Segnali cioè che non siano diretti soltanto alle rispettive basi elettorali, ma al Paese che investe e che produce. Come? Per esempio mettendo finalmente mano agli investimenti in infrastrutture, senza rimandarli con la scusa di analisi costi-benefici che non vengono mai completate. Non solo. Ma cercando anche di recuperare il dialogo sia con il Parlamento sia con le parti sociali, cioè sindacati e organizzazioni imprenditoriali.

E’ necessario che il governo ascolti seriamente il polso del Paese attraverso i suoi corpi intermedi per raccogliere suggerimenti e rinsaldare il clima di fiducia. Molto recentemente sono avvenuti importanti cambiamenti nel mondo della rappresentanza sindacale - la nomina di Maurizio Landini a segretario generale della Cgil - che meritano di essere tenuti presenti dall’esecutivo. Il neo-segretario ha già detto di voler puntare con decisione a ricostituire l’unità sindacale con Cisl e Uil e di porsi l’obiettivo di estendere il più possibile la tutela dei diritti a tutti i lavoratori, anche a quelli che godono di minori protezioni o non sono per niente rappresentati. Ha anche parlato di problemi trasversali che attraversano imprenditori e lavoratori – la sostenibilità ambientale, la qualità dei prodotti – e che richiedono la necessità di fare sistema. E’ un ottimo punto di partenza che va portato avanti con forza, costringendo il governo ad uscire allo scoperto e a confrontarsi con le esigenze concrete del Paese, che non sono solo quelle di chi aspira ad anticipare la pensione o a percepire il reddito di cittadinanza. Ed è anche un’occasione che Conte deve saper cogliere per la sopravvivenza del governo e soprattutto per il bene del Paese.

Mercoledì, 6. Febbraio 2019
 

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