Il rischio di mandare a Fondo la pensione

La tesi che a lungo termine i Fondi siano sempre vantaggiosi non regge alla prova della realta. Negli Usa le imprese hanno fatto retromarcia, scaricando il rischio sui lavoratori; nel Regno Unito si cerca di rimediare ai disastri thatcheriani. Se la scelta dev'essere dei lavoratori, si dia loro anche la facoltà di aumentare i contributi pubblici, evitando l'alea dei mercati finanziari
Dal 1° gennaio 2007 i lavoratori debbono scegliere se mantenere le quote del Trattamento di fine rapporto  (Tfr) con i rendimenti attualmente previsti, o trasferire il Tfr nei fondi privati a capitalizzazione. Anzi, se non esprimono una preferenza (silenzio) s’intenderà che danno il loro tacito assenso al trasferimento.
 
La pubblicistica a favore di questa seconda opzione è ricchissima di dati e di argomenti, in definitiva tutti riconducibili alla tesi della superiorità dell’investimento del risparmio dei lavoratori nei Fondi privati a capitalizzazione. L’articolo di  Pammolli e Salerno si muove in questa direzione. L’argomentazione è tecnicamente sofisticata, ma a mio parere non sfugge alle caratteristiche tipiche del ragionamento che milita a favore dei Fondi. Un ragionamento fondato su una tautologia. Vale a dire: si costruisce una premessa dalla quale può discendere obbligatoriamente una conclusione, e una sola. La tautologia è: poiché il rendimento degli investimenti nei mercati finanziari è più alto dell'andamento del PIL, ne segue che è meglio destinare il risparmio ai primi che non collegarlo al secondo. Se le cose fossero così, e soltanto così, non ci sarebbe discussione: i Fondi a capitalizzazione sarebbero per definizione l’opzione vincente.
 
Ma non è così. Altrimenti bisognerebbe assumere che, data una crescita “x” del PIL, i profitti (da cui dipendono in ultima analisi e a lungo termine i rendimenti azionari) crescano sempre di più della media del PIL e i salari sempre meno: cioè, una continua redistribuzione a danno dei salari. I quali, invece, secondo le regole di funzionamento a lungo termine dell'economia, debbono crescere in parallelo alla produttività, in altri termini mantenere la propria quota sul reddito nazionale, salvo aumentarla per l'incidenza di politiche equitative.
 
Questo "principio" non esclude che vi siano fasi più o meno discontinue di andamento dei mercati finanziari particolarmente "esuberanti" (per dirla con Greenspan). Ma si tratta appunto di andamenti discontinui, con alti e bassi, boom e crolli. Negli ultimi dieci anni i mercati finanziari sono stati scossi da crisi di carattere planetario che si sono estese dal sudest asiatico, alla Russia, al Brasile fino alla drammatica bancarotta dell’Argentina. E non si tratta solo dei paesi emergenti che attraggono capitali in cerca di rendimenti rapidi e elevati. Il crollo della Borsa americana del 2000 fa ancora sentire i suoi effetti. Le quotazioni azionarie registrate dall’indice S&P’s sui principali 500 titoli di Wall Street sono in continua crescita  da 3-4 anni, ma non hanno ancora raggiunto (al netto dell'inflazione) i valori antecedenti allo scoppio della bolla del 2000. Quanto ai titoli del Nasdaq, si continua a registrare una perdita intorno al 50 per cento. (A. Lettieri, Il Tfr giocato al casinò).
 
Nella tradizione americana, il paese con maggiore propensione all'investimento finanziario, sindacati e imprese hanno a lungo negoziato un risparmio contrattuale da tradurre in una pensione integrativa predeterminata a carico dell'impresa. Tutte le grandi imprese hanno aderito nel tempo a questo sistema nella convinzione di poter far fronte al debito nei confronti dei lavoratori pensionandi, costituendo Fondi pensione operanti sui mercati finanziari. L'operazione alla lunga si è rivelata in perdita: vale a dire, i rendimenti si sono rivelati insufficienti rispetto alla promessa di pensione integrativa. Per pagare le pensioni si è dovuto ricorrere in molti casi a un Fondo nazionale di garanzia, fino a quando anche questo si è esaurito. Da alcuni anni le imprese non negoziano più queste forme integrative che garantiscono un risultato finale (defined benefit), ma l'accantonamento di quote di risparmio (defined contribution), senza garanzia sul livello di integrazione pensionistica che possono attendersi i lavoratori. In altri termini: il rischio connesso ai mercati finanziari è stato trasferito dal sistema delle imprese ai singoli lavoratori.
 
In Gran Bretagna, il paese dove con maggiore determinazione - sull'onda del “riformismo” di Margaret Thatcher - si è sviluppato il secondo pilastro a capitalizzazione, i disastri sono stati talmente profondi, che da anni si discute come rimettervi ordine e fornire ai lavoratori un minimo di certezze, anche per evitare il continuo aumento della spesa sociale a sostegno dei pensionati ridotti allo stato di povertà.
 
Negli Stati Uniti, Bush si era presentato al primo mandato con l'impegno a trasferire una quota di contributi previdenziali dal sistema contributivo pubblico (Social Security) ai Fondi privati a capitalizzazione. La motivazione, ampiamente argomentata dai più famosi think tank di ispirazione conservatrice e dalla grande stampa vicina a Wall Street, era l'accrescimento del rendimento pensionistico a favore dei lavoratori, in aggiunta a un contenimento della spesa pubblica per la Social Security, di cui si prevede l'aumento. L'opposizione è stata talmente forte e trasversale che, nonostante il gigantesco impegno lobbystico degli operatori finanziari, Bush è stato costretto a ritirare la proposta, pur disponendo l'amministrazione della maggioranza al Congresso.
 
In sostanza, la tautologia non funziona. I mercati finanziari offrono rendimenti tanto più alti quanto maggiore è il rischio connesso all'investimento. Ovviamente, da sempre esistono persone che intendono assumere quel rischio in funzione di una speranza di maggiori guadagni. E, in effetti, non mancano quelli che ne traggono effettivi guadagni; così come altri si ritrovano con grosse perdite. E’ successo anche a George Soros!
 
In discussione è il seguente punto: posto che un normale lavoratore corre il rischio di una pensione inadeguata alle esigenze di una vecchiaia decorosa, ha senso proporgli di coprire questo rischio, assumendosi quello inerente a un investimento finanziario? La risposta dovrebbe essere in linea di principio negativa. Il che non toglie che, se il rischio di una pensione inadeguata (bassa) è considerato secondario o inesistente (si percepisce una retribuzione che comporta contributi elevati e un parallelo elevato rendimento pensionistico), si può consapevolmente optare per trasferire una parte del risparmio salariale (in questo caso, il Tfr) in investimenti nei Fondi a capitalizzazione. E' per questa ragione che su E&L si è proposto di lasciare libertà di scelta al lavoratore (una libertà attiva, non condizionata al silenzio-assenso).
 
 Ma se il lavoratore avverte come un rischio concreto quello di dover vivere con una pensione al limite della sopravvivenza (mettiamo il 50 per cento dell'ultima retribuzione), e intende aggiungere all'assicurazione obbligatoria il Tfr, in modo da migliorare la pensione attesa fino al 60-65 per cento, non si vede perché questa scelta gli debba essere impedita. Se si ritiene che spetti al lavoratore farsi carico del proprio futuro, scegliendo i modi di impiego del proprio risparmio (Fondi negoziali, aperti, assicurativi, con maggiori o minori livelli di rischio a breve e lungo termine), non si vede perché gli si debba impedire di scegliere una soluzione con un beneficio certo, predeterminato, quand'anche - ammesso e non concesso - teoricamente ridotto.
 
Infine una questione, per così dire, collaterale, ma non meno importante da un punto di vista macroeconomico. Posto che i Fondi investono sui mercati finanziari internazionali e solo in parte minima su quelli nazionali, assisteremmo in modo del tutto naturale alla collocazione sull'estero di quote crescenti del risparmio nazionale. Questo è inevitabile, dal momento che rientra nei compiti del Fondo massimizzare il rendimento del risparmio che vi è collocato. Ma non si vede perché la parte di Tfr che, sulla base della Finanziaria 2007, sarà destinata all'Inps non possa essere utilizzata, adottando meccanismi obbligazionari con una base garantita, a fini di investimenti pubblici, per i quali non sono sufficienti le risorse del bilancio pubblico e non sono disponibili o non sono adeguati gli investimenti privati.
 
In questo quadro avremmo per i lavoratori un'ulteriore possibilità di scelta: la costituzione di Fondi con specifiche caratteristiche di garanzia in grado di ridurre o annullare il rischio per il lavoratore, accrescendo al tempo stesso il tasso d'investimenti pubblici in quei settori infrastrutturali la cui insufficienza pesa sul ritmo di crescita della ricchezza nazionale
 
E’ auspicabile che il dibattito sul destino del TFR sia portato tra i lavoratori in termini chiari, comprensibili e trasparenti, considerando il silenzio come un difetto di convinzione e comunicazione, una scelta irrisolta, non la tranquilla soluzione di problemi che le tecnocrazie considerano di loro competenza.
 
Martedì, 2. Gennaio 2007
 

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