Le vicende del Redditometro (ovvero accertamento sintetico, introdotto nel 1973 con l’Irpef, art. 38 co. 5), mostrano le difficoltà di un governo stretto tra necessità di bilancio e tutela degli interessi delle categorie di riferimento della destra, cioè commercianti, artigiani, piccoli imprenditori e professionisti, insomma gli autonomi. Il problema è costituito dal fatto che l’ultima legge di bilancio ha introdotto un concordato preventivo; gli autonomi ed il fisco si accordano sull’ammontare da versare all’erario, avendo solo una previsione su come andranno effettivamente gli affari. E’ facile intuire che l’adesione del contribuente dipende dal quantum, tenendo presente che l’evasione media del settore è sui due terzi. Ma se conviene al contribuente è probabile che il fisco non ne ricavi granché in termini di maggior gettito, anzi. E di più entrate il governo ha maledettamente bisogno.
Ecco allora che a pochi giorni dall’inizio delle trattative tra autonomi e fisco, sul sito del MEF viene annunziato che è uscito “in Gazzetta Ufficiale n. 116 del 20 maggio 2024 il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 7 maggio 2024, recante la determinazione sintetica del reddito complessivo delle persone fisiche (c.d. redditometro 2024)”. Viene ricordato che era stato sospeso nel 2018 dal governo giallo-verde di Conte, “al fine di adeguare lo strumento alle mutate condizioni socio-economiche”; avrebbe dovuto quindi essere reintrodotto previa consultazione dell’ISTAT e delle associazioni dei consumatori.
Dopo sei anni è quello che ho fatto, dice il viceministro Maurizio Leo. La domanda è sul perché, visto che al viceministro non poteva sfuggire che a breve si svolgeranno le elezioni europee. La mia ipotesi è che per Leo fosse importante che, con l’avvio dei contatti tra l’Agenzia delle entrate e i contribuenti interessati, fosse ben chiaro a quest’ultimi che è stato messo a punto un nuovo Redditometro, pronto per l’uso. Non so se gli studiosi di economia comportamentale, detta Nudge economics, possano considerare questo come un caso di “spinta gentile”; a me sembra più l’applicazione della regola di Theodore Roosevelt: “speak softly and carry a big stick; you will go far”, cioè parafrasando: fai capire bene cosa corrono se non aderiscono all’accordo e otterrai il risultato.
Ma il viceministro, preoccupato che il suo concordato preventivo non facesse la fine di uno analogo tentativo fatto da Tremonti vent’anni prima, non aveva considerato la reazione della Lega, ma anche di Forza Italia, che considerano la difesa dell’evasore medio come uno dei loro cavalli di battaglia; e questo in piena campagna elettorale. Di conseguenza la Presidente del Consiglio ha dovuto far sospendere l’appena varato Redditometro; un caso nitido di “contrordine camerati” presentato nella veste di sospensione per ulteriori approfondimenti.
La via d’uscita potrebbe essere fornita da una breve dichiarazione dal direttore dell’Agenzia delle entrate, Ruffini, il quale ha ricordato che il Redditometro è stato sempre usato in forma residuale, come nel caso degli evasori totali, che non hanno mai fatto la dichiarazione fiscale ma “dimostrano una significativa capacità di spesa”. Vedremo fra breve che in effetti il Redditometro è uno strumento costoso, in tempo di ore-lavoro per l’amministrazione. Ma intanto la Meloni sembra orientata all’idea che il Redditometro potrebbe essere usato appunto per (e solo per) gli evasori totali.
L’accertamento sintetico
Ma l’accertamento sintetico è un “grande fratello”, uno “strumento obsoleto” o addirittura un “orrore del passato”’? Gli economisti che si occupano di teoria dell’imposizione distinguono tre diverse definizioni di reddito: reddito-prodotto, reddito-spesa e reddito-entrata.Quest’ultimo, elaborato nello scorso secolo dagli economisti Schanz, Haig e Simons, corrisponde all'ammontare delle risorse consumabili senza intaccare il patrimonio iniziale. Pertanto la somma del consumo e degli incrementi patrimoniali (di ogni tipo) equivalgono alla (derivano dalla) somma dei redditi ricevuti, delle eredità, delle vincite al lotto, dall’autoconsumo; cioè da qualunque entrata l’individui ricevi.
Se si guarda la Tabella A che dettaglia, anche nell’ultima versione, il provvedimento, i Consumi sono suddivisi in 10 gruppi distinti, ciascuno con varie voci; mentre Investimenti e Risparmi hanno tre voci: investimenti, risparmio e spese per trasferimento. Queste ultime constano di tre voci: a) imposte tasse e contributi, b) assegni periodici all’ex-coniuge, c) altro.
La distinzione tra investimenti e risparmio non è quella che usano gli economisti, in quanto negli investimenti vi sono sia beni reali mobiliari o immobiliari che quasi tutte le forme di investimento finanziario, con l’eccezione del conto corrente bancario o postale e ovviamente del cash che si tiene sotto il materasso; ma in questo contesto la cosa non ha importanza. Quello che conta è la tracciabilità delle voci; ora quelle di Investimento e Risparmio sono tracciabili, e tra le voci di Consumo anche molte di quelle che riguardano Abitazione, Combustibili ed energia, Sanità, Trasporti .
Ma molte altre voci non lo sono. Sicuramente quelle che riguardano i “Consumi di generi alimentari, bevande, abbigliamento e calzature” acquistate con contante. In questi casi si individua un consumo minimo necessario che viene addizionato alle voci tracciate. Questo consumo imputato è diviso per 11 tipi di nuclei familiari e per le cinque zone geografiche tipiche: due al Nord, Centro, Sud ed Isole, per un complessivo di 55 tipologie. Anche per i Kw relativi ai mezzi di trasporto si usano le 55 tipologie. Alla fine quello che si ottiene è un “reddito” che costituisce un ammontare che sottostima in qualche misura l’insieme dei consumi del soggetto.
In teoria se la differenza tra quello che il soggetto ha dichiarato e quanto è stato calcolato dal fisco è maggiore del 20%, parte il contraddittorio. In realtà l’Agenzia delle entrate individua situazioni che appaiono “sospette” e incomincia a verificare. Un caso che mi ha raccontato un collega della Sapienza riguarda la figlia che aveva acquistato un appartamento, quindi aveva compiuto un investimento tracciato. Poiché non risultavano sue dichiarazioni dei redditi, l’Agenzia l’aveva convocata per avere spiegazioni. La spiegazione fu semplice e risolutiva: la persona lavorava per L’Osservatore Romano, e come altri cittadini italiani che lavorano per lo Stato Città del Vaticano i suoi redditi sono esclusi dalla dichiarazione dell’Irpef in base ad un accordo bilaterale. Se il fisco fosse stato quel “grande fratello” di cui parla Meloni forse la cosa sarebbe stata a sua conoscenza, ma, a quanto pare, così non è.
Una evidente contraddizione
In conclusione vi è una evidente contraddizione tra le esigenze di bilancio della compagine governativa, esigenze particolarmente pressanti dopo il varo del nuovo patto di stabilità, e la necessità di salvaguardare la categoria del lavoro autonomo, dove si svolge una serrata concorrenza tra Fratelli d’Italia e Lega (senza dimenticare Forza Italia). La contraddizione si manifesta in particolare dal lato delle entrate, dove l’obiettivo di evitare un flop sul concordato preventivo, anzi di ottenere qualche miliardo in più, si scontra con la difesa della categorie, assolta dal livello di evasione (che paradossalmente è certificata dallo stesso MEF) e difesa dal “pizzo di Stato”. L’evasione non la fanno loro, ma non meglio identificati “grandi evasori”. Il risultato sarà che le pratiche del concordato si svolgeranno in assenza del big stick del Redditometro.
Giorgetti dovrà cercare altrove le risorse che servono a far quadrare i conti, e i primi segnali si vedono già con i tagli annunziati, a sorpresa, ai Comuni.