Welfare, la spesa palese e quella occulta

Una ricerca ha riclassificato la spesa sociale dei paesi Ocse non solo in base ai fondi erogati, ma anche alle detassazioni che perseguono gli stessi obiettivi. In alcuni casi, come Usa e Regno Unito, i dati ne escono rivoluzionati

Il welfare state europeo è un po’ doctor Jekyll ed un po’ mister Hide. E’ considerato da alcuni come uno dei migliori prodotti della civiltà europea – ed in particolare dei paesi del nord Europa – e da altri come la palla al piede degli stessi paesi. In una parola: bello, ma costa troppo, ed induce gli europei alla pigrizia.

 

Ma quanto spendono per il welfare i paesi europei, rispetto agli altri (Stati Uniti, Giappone, ecc…)? Un ricercatore dell’OECD, Willem Adema, da anni si occupa di spesa sociale. Per spesa sociale si intende la spesa di sicurezza sociale, quella di assistenza, svolta anche dagli enti locali, e la spesa sanitaria. La gran parte di essa è spesa pubblica, ma vi rientra anche la spesa svolta da istituzioni private, di vario genere, dai Fondi pensione agli enti non profit.

 

In un lavoro del 2005 Adema e  Maxime Ladaique (1) sono partiti dalla quota sul Pil della spesa sociale nel 2001, che, nella tabella I viene messa in ordine decrescente (prima i paesi europei, poi gli altri, per 23 paesi OECD per i quali vi erano i dati necessari):

 

                                            Tabella I

Paesi

% spesa sul Pil

Svezia

35,1

Danimarca

34,2

Francia

33

Germania

30,6

Austria

29,6

Italia

28,3

Belgio

28

Finlandia

28

Norvegia

27

Regno Unito

25,4

Olanda

24,3

Islanda

23,4

Repubblica Ceca

22,2

Spagna

21,7

Repubblica Slovacca

19,8

Irlanda

15,3

Nuova Zelanda

21,1

Australia

20,4

Canada

20,4

Giappone

18,5

USA

15,7

Corea

7,1

Messico

5,7

 

Come si vede, le differenze sono impressionanti; per quello che riguarda l’Europa, l’ultima, cioè l’Irlanda, ha meno della metà della spesa della prima, la Svezia. Per i paesi extra europei i tre paesi anglosassoni hanno quote molto simili, poi si scende con Giappone e USA e si precipita con Corea e Messico (non sorprende quest’ultimo, sorprende un po’ la Corea). Per tornare all’Europa va detto che, per mancanza di dati disponibili, dei paesi nuovi entranti nell’UE sono presenti probabilmente i due più avanzati.

 

Ma queste sono le percentuali di spesa sociale che riguardano la spesa lorda; la quale non comprende tutte quelle cosiddette “tax expenditure” che realizzano obiettivi simili agli istituti di spesa ma che passano attraverso il sistema fiscale (definiti tax breaks for social purposes); inoltre va considerato che se un paese tassa con l’imposta sul reddito, ad esempio, le pensioni, ed un altro le esenta, a parità di incasso netto per il pensionato il primo paese avrà una spesa pensionistica (ed un prelievo fiscale) più alta dell’altro. Ma la tassazione può anche essere indiretta (con l’IVA, ad esempio), nel senso che il pensionato che usa la sua pensione per acquistare beni di consumo può pagare in un paese delle imposte indirette più alte rispetto al pensionato di un altro paese.

 

Adema e Ladaique hanno quindi proceduto a calcolare i vari tax breaks e a stimare, su appositi campioni statistici, il peso delle imposte dirette ed indirette che gravano sui trasferimenti monetari che le famiglie ottengono dal lato della spesa. Nella tabella II accanto alla quota lorda riportiamo il peso del prelievo diretto ed indiretto (che riduce la percentuale) e quello dei tax breaks (che aumentano la percentuale), e la differenza:

 

Lunedì, 31. Dicembre 2007
 

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