Votate chi volete ma votate (a sinistra)

Il vero nemico è l’astensione: meglio rischiare che una lista non arrivi in Parlamento che essere sicuri di non avere nessuno che possa rappresentarci. La somma dei voti a sinistra dell’agenda Draghi deve superare la somma dei voti di Lega, FI e Calenda-Renzi: non è impossibile se i delusi si mobiliteranno

Sul voto del 25 settembre avverto una diffusa rassegnazione, ovvero indifferenza, nel popolo della sinistra. Si dà per scontato che non si uscirà dall’alternativa tra la destra a trazione Meloni e i fan dell’agenda Draghi, per cui l’unica possibilità, secondo molti, è quella di chiamare a raccolta le forze (scarse, per ora) portatrici di istanze alternative, per un progetto di più lungo periodo.

Sulla sostanziale equivalenza tra i due esiti non ho molto da obiettare: il punto di arrivo è in ogni caso il “pilota automatico” evocato da Draghi. Se i numeri dovessero imporre una cura Meloni si tratterebbe, per come vedo le cose, di una sorta di waterboarding (la tortura dell’annegamento praticata a Guantanamo): al popolo italiano si farebbero assaggiare gli effetti di una versione delle ricette “automatiche” ancora più antipopolare, per costringerlo a rassegnarsi prima possibile all’idea del TINA (“non c’è alternativa”).

Nonostante sia questo il destino prevedibile, anzi, proprio per questo, non mi convincono queste posizioni, questi umori. Certo, il PD continua a rappresentare un grosso problema irrisolto in quanto occupa uno spazio che non solo non può essere definito di sinistra ma è di ostacolo alla nascita di un soggetto politico che possa definirsi tale (senza assolvere con questo gli esponenti dell’area che non è fin qui riuscita a occupare quello spazio). La mia opinione, avendo vissuto per anni la sua evoluzione e avendo condiviso con altri, invano, il tentativo di contrastarla, è che definire il PD come un partito neoliberista o centrista non coglie la sostanza del problema in quanto attribuisce a quella comunità di professionisti della politica un credo, una cultura economico-politica che è del tutto assente. Il gruppo dirigente del PD, ai vari livelli e nelle sue varie articolazioni, più banalmente, non è una comunità di politici impegnati a realizzare le aspirazioni del popolo che dovrebbero rappresentare ma un consorzio di amministratori. Di esecutori, privi di un progetto e di una visione di futuro, che non si interroga sui mutamenti, le novità, la dinamica di fondo degli eventi ma si limita ad aderire a schemi prefissati offerti dal “comune sentire” del momento (che sono in effetti, da almeno un trentennio, quelli ultraliberisti che hanno preso il sopravvento). Non a caso, si sono affidati a un leader come Renzi scambiando la sua boria caratteriale per una capacità di visione di cui era del tutto privo (avendo costantemente bisogno di suggeritori), così come non è un caso che non siano ora in grado di proporre un qualunque candidato alla guida del governo, che non sia Draghi (sbarcato però per primo dalla nave che temeva in procinto di affondare) e che abbiano ingaggiato, per coprire un suo prevedibile rifiuto, quel Cottarelli protagonista di un imbarazzante insuccesso nel 2018. E che la Meloni, cui il fiuto politico non fa difetto, non perda occasione per declamare che il PD oggi è attanagliato dalla paura di perdere il potere.

Tornando al tema elezioni, inquadrato in questa analisi di ciò che è oggi il PD, i suoi esponenti attendono ora di verificare se il contesto che emergerà dal voto sarà tale da consentire loro di ricoprire funzioni esecutive: se la coalizione di destra sarà autosufficiente, saranno esclusi, fintanto che la tortura esercitata dalla destra sul popolo italiano non avrà costretto a una soluzione “pilota automatico”, in cui sia richiesto il loro apporto. Altrimenti, contano di poter giungere a quell’assetto sin da subito dopo il voto.

Ora, la condizione perché questo consorzio di amministratori possa vedersi costretto (non trovo termine migliore) a prestarsi a un’agenda almeno un po’ spostata a sinistra, anziché improntata al pilota automatico, ha una dimensione numerica ben precisa: la somma dei voti a sinistra dell’agenda Draghi deve superare la somma dei voti di Lega, FI e Calenda-Renzi. Al momento, stando ai sondaggi, occorre pertanto una crescita di quest’area (in termini di eletti) di circa dieci punti. Impossibile?

Come è composta l’area di cui parlo? Ne fanno parte i Cinquestelle di Conte, come riconosce con nettezza Fassina, perché hanno giocato tutto il loro credito residuo sui nove punti posti a Draghi e non potranno smentirsi avendo escluso categoricamente di poter far parte di una coalizione di salvezza nazionale. Quanto alla sinistra che era all’opposizione di Draghi e ora converge sulla coalizione con il PD, ha formato una lista con i Verdi. Questi, per lo più, rifiutano l’etichetta di sinistra e soffrono molto la concorrenza dei Cinquestelle sul loro terreno: tuttavia, almeno i candidati espressi da Sinistra Italiana non potranno cambiare collocazione. Fuori dal Parlamento attuale si presentano poi Italia Sovrana e Popolare e Unione Popolare. Quanto a ISP, raccoglie soggetti politici che, pur con richiami e accentuazioni molto diverse tra loro, lascia pochi dubbi sulla collocazione a sinistra. Quanto a UP, ha raccolto le firme necessarie con largo margine, contro ogni pronostico, su un programma a cui hanno lavorato persone di cui ho la massima stima e considerazione, che appare organico e convincente, molto netto in particolare sul tema della pace e dell’articolo 11.

Per valutare la situazione ad oggi abbiamo a disposizione sondaggi costruiti tutti su campioni assai limitati, che sono quindi poco affidabili quanto alle formazioni più piccole. I Cinquestelle sono in crescita dai 9-10 punti di luglio e sono visti sopra la Lega, verso un 15% che potrebbero realisticamente superare se si riduce l’area dell’astensione. La lista rosso-verde viene data intorno al 3%. Unione Popolare era data a metà strada verso quella soglia appena raccolte le firme e il suo potenziale, ora che è entrata a pieno titolo nel novero dei contendenti, dovrebbe realisticamente andare oltre quella soglia se saprà condurre una campagna convincente contro l’astensione e contrastare il martellamento di sondaggi negativi mirato a scoraggiare gli indecisi. Infine, le stesse considerazioni valgono per Italia Sovrana e Popolare, che alcuni sondaggi (con i limiti richiamati) vedono non distante dal fatidico 3%.

Tirando le somme, perché si verifichi la condizione numerica per scongiurare l’esito temuto è che i Cinquestelle ottengano più del 15% e le tre liste superino tutte lo sbarramento del 3%. Personalmente, ho firmato per la presentazione della lista di UP ma non mi sto proponendo di suggerire per chi si dovrebbe votare all’interno dell’area extra-TINA. Il tema, e l’obiettivo che mi propongo, è il rifiuto dell’astensione come scelta politica di sinistra. C’è una sinistra da votare, che ha la concreta possibilità di arrivare a mettere in crisi i disegni del potere economico-finanziario e dare una prospettiva diversa a questo paese. Purché si punti a convincere il mondo di sinistra scoraggiato più che a far concorrenza a chi è più vicino.

Insomma, la conclusione cui si dovrebbe arrivare è che il voto utile è quello che viene dato a chi dà più affidamento: meglio rischiare che non porti in Parlamento chi vogliamo che essere sicuri di non avere nessuno che possa rappresentarci. Vale in particolare per i più giovani, che fanno benissimo a portare proposte concrete al mondo politico, come ha fatto Friday For Future, ma non possono permettersi il lusso di non compiere per la prima volta questo passo: da cui si può andare avanti e costruire. Al contrario, circondati da macerie, la risalita sarà solo più ardua e la prospettiva più scoraggiante.

Non è stato possibile costruire prima del voto una coalizione tra forze che potevano dare qualche garanzia. Ebbene, ci si può coalizzare dal basso, nelle associazioni e comunità di vario genere in cui il popolo di sinistra si ritrova, distribuendo i voti in più direzioni. Sempre che non appaia raggiungibile l’obiettivo di eleggere un* candidat* di particolare prestigio e affidabilità politica in un collegio uninominale. Non poter dare un voto disgiunto è un ostacolo, ma dobbiamo pensare che in alcuni casi (di candidature indigeste a destra o al centro) può portare a non votare la lista collegata che sarebbe stata preferita.  

Dobbiamo crederci, per convincere gli scoraggiati. Anche perché il paese sarà destinato, altrimenti, a un quinquennio drammatico di ulteriore, progressivo declino. Ho usato all’inizio la metafora del soffocamento ma, in concreto, ciò che ci aspetta è perdita di diritti, crescita abnorme delle disuguaglianze, crisi economica e finanziaria (la speculazione è all’attacco dalla fine del 2020 e attende ora di riprendere a vendere allo scoperto i titoli del Tesoro), per non dire del rischio di pesanti crisi sanitarie e ambientali. Non è il ritratto catastrofico di un futuro ipotetico, per spaventare chi legge, ma la descrizione di quello che l’Italia ha vissuto negli ultimi due anni. Evitarlo è possibile, facciamo tutto il possibile.

Martedì, 13. Settembre 2022
 

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