Le primarie per il candidato sindaco di Milano hanno ripetuto il copione già visto in Puglia. Il candidato di un piccolo partito non rappresentato in Parlamento ha prevalso su quello del maggior partito di opposizione. Si possono avere opinioni diverse sul modo di reinventare una leadership a sinistra, ma non si può più rinviare una riflessione aperta sulle novità come sugli errori del passato. Recita il vecchio detto che tre indizi valgono una prova: qui siamoa due, quindi almeno oltre la metà. Ma forse non è il caso di aspettare il terzo, di indizio, forse un ragionamento politico è meglio farlo subito.
I sondaggi elettorali, si sa, non sono una scienza esatta. Ma, anche dando per scontato un margine di errore piuttosto ampio, quelli recenti attribuiscono a Sinistra e Libertà, il partito di Vendola e Pisapia, non più del 7-7,5% (e si tratterebbe già di un clamoroso progresso); al Pd, che pure appare nettamente in declino di consensi, tra il 22 e il 25%, cioè più del triplo. Come mai alle primarie metà di coloro che hanno intenzione di votare Pd preferiscono il candidato di Sl? Si può aggiungere unulteriore tara per considerare il possibile effetto della diversa notorietà personale dei candidati (vince un premio chi ricorda al volo il nome dello sfidante di Vendola ). Ma il messaggio sembra chiaro. Per storia, tradizione, struttura, il Pd rimane il partito dellalternativa, quanto meno il partito-cardine di una possibile alternativa. Ma così comè ora non piace e anche chi spera che vinca non perde occasione per mandare segnali di insoddisfazione.
E comè ora il Pd? Senza identità, si è detto. Il disastro ha un volto e nome: Walter Veltroni. Spiace dirlo, perché si tratta di una persona aprrezzabile da molti punti di vista e di valore sul piano umano. Ma se si tratta di dare un giudizio politico, è lui il simbolo del male niente affatto oscuro del Pd. Lui anche se il resto dei dirigenti del partito non può certo chiamarsi fuori.
Veltroni è il simbolo di un bipolarismo in cui non cè spazio non solo per lutopia, ma neanche per una linea politica definita. In cui, dovendo attirare in un grande contenitore almeno la metà più uno degli elettori, non si possono prendere posizioni definite e le speranze di successo sono affidate al carisma del leader: vince lo schieramento con a capo la persona che riesce a farsi preferire dalla maggioranza degli elettori. Questo contenitore deve cercare di non scontentare nessuno, quindi non si deve definisre di sinistra, e deve cercare di pescare in tutti i gruppi sociali non in virtù del modello di società che propone (visto che non può proporne uno preciso), ma, ancora una volta, attraverso personaggi-simbolo: di qui arruolamenti come quello di Massimo Calearo, già presidente falco di Federmeccanica. E come se avessero fatto cardinale Piergiorgio Odifreddi.
Certo, Veltroni può continuare a vantare il suo 33,2% alle politiche 2008. Ma fu un risultato falsato, appunto, dal confronto basato sul bipolarismo. La necessità del voto utile prosciugò praticamente tutto il resto dellopposizione. E nonostante questo il distacco dalla coalizione vincente fu di quasi 11 punti percentuali. Serve altro per capire che è una strada sbagliata? Gli elettori lhanno rapidamente capito e in molti si sono allontanati dal Pd.
Nessuna identità del partito, dunque, e troppe identità dentro il partito. Si può trovare una sintesi fra i teo-dem e i radicali, tra chi si richiama alla socialdemocrazia e i neoliberisti? Il denominatore, per essere comune, devessere men che minimo. Appunto: tanto minimo da non essere più percepibile.
Un partito così lo può fare Berlusconi, tutto basato sulla propaganda: averne visto i comportamenti è come aver letto un manuale di psicologia sociale, terminologia elegante che, applicata senza scrupoli, diventa manipolazione di massa. Populismo delle dichiarazioni e reazionarismo di fatto. Sempre un nemico da indicare al popolo, i comunisti, i magistrati, il partito delle tasse. Chi invece vuole fare un partito vero, deve avere uno straccio di progetto condiviso e percepibile. Che non significa, ovviamente, il divieto della dialettica, ma che il confronto avvenga allinterno di un orizzonte comune a tutto il partito.
Il segretario Pier Luigi Bersani è stato invitato in televisione a elencare i valori della sinistra (qui il video). Lo ha fatto anche bene, nei cinque minuti a disposizione. Il problema è che su più duna delle cose che ha detto un pezzo o laltro del suo partito non sono affatto daccordo.