Una serie di dichiarazioni ufficiali lasciano intravvedere sintomi di un rallentamento o di un arresto della caduta del reddito e della produzione in vari paesi, tra cui l'Italia. Sospiri di sollievo si sono levati anche da voci autorevoli, comeTremonti, il quale, confutando San Giovanni, ha affermato che "l'Apocalisse è scongiurata". La sua imperturbabilità non è scalfita neppure dai recenti negativi dati del Tesoro e della Commissione Europea, che confermano previsioni (catastrofiche?) da noi fatte in precedenti articoli. Questo brusio ottimistico ci ricorda un apologo della favolistica araba. Un povero viandante cadde su un cespuglio ed un rametto d'albero gli cavò un occhio. Egli si rialzò lodando Allah. Un passante gli chiese stupito perchè esultasse in una così tragica circostanza, ed egli rispose "perchè se il ramo era biforcuto sarei diventato cieco". Questo sembra l'attuale atteggiamento delle classi politiche dell'Europa Occidentale.
Le domande che ci poniamo sono in sostanza due: a) quale ritmo e quale forma assumerà la ripresa?; b) le politiche poste in atto a livello mondiale sono tali da eliminare gli squilibri strutturali sottostanti alla grande crisi, così da evitarne il ripetersi?
Per rispondere alla seconda domanda, occorre approfondire la riflessione sulle origini della crisi. La tesi della bolla finanziaria che implode e trascina con sé l'economia reale è superficiale e insufficiente. Una schiera di economisti di serie A (quasi tutti Premi Nobel) ha individuato uno dei fattori fondamentali del crack nella maldistribuzione dei redditi, nelle nazioni e fra le nazioni; fenomeno di fondo che le foglie di fico della finanza allegra non potevano occultare a lungo. Ma questa analisi, culminante nella diagnosi del deficit della domanda aggregata, soffre dei limiti propri dell'approccio macroeconomico, frutto di una cucina "fusion" post-keynesiana.
Vi è però un altro aspetto, molto importante e forse trascurato che si intreccia con quello delle funzioni non solo quantitative ma anche qualitative dei consumi. Esiste una correlazione non univoca e non perfettamente quantificabile fra struttura dei redditi, struttura dei consumi, struttura produttiva e livello delle tecniche.
La ricerca dell'equilibrio è difficile quando il progresso tecnico è convulso e la globalizzazione non pilotata esaspera la concorrenza sui nuovi prodotti. E' questa la "new economy", nella quale le sconfitte della politica, del sindacato e della giustizia sociale vengono irrise con il motto "è il mercato, bellezza!". Alcuni anni or sono ipotizzai l'esistenza di modelli di sviluppo a circuito multiplo, nei quali il circuito superiore avrebbe presentato alti livelli della tecnica, prodotti innovativi, alti salari di personale qualificato ed elevati profitti e rendite, mentre quello inferiore presentava bassi salari, livelli della tecnica, qualità dei prodotti e dei macchinari, profitti unitari anch'essi bassi, compensati dall'impiego di macchinari obsoleti ma ammortizzati. L'esempio citato era il Brasile di allora. Il circuito inferiore forniva a quello superiore manodopera non qualificata, spesso in nero, e acquisiva prodotti e macchinari prossimi al punto di abbandono. Questi modelli sono compatibili con una forte concentrazione dei redditi; hanno una relativa stabilità economica, ma una potenziale instabilità sociale, controllata da dittature militari o dal potere delle illusioni massmediatiche.
Venendo ora alle proposte si può ipotizzare un modello di sviluppo che coniughi la meritocrazia con la solidarietà sociale e che assorba un flusso innovativo compatibile con l'elasticità delle strutture sociali. Ciò non implica un blocco del progresso tecnico, ma un aumento della sua efficacia controllata mediante un'armonica combinazione di broadening e di deepening. Le perdite per obsolescenza si riducono ed i vantaggi si propagano all'intera società con prezzi reali decrescenti e salari crescenti. Questo modello richiede uno Stato forte, ma non oppressivo con un sistema fiscale progressivo che combatta le tendenze alla concentrazione dei redditi. Tale sistema fiscale agisce come pompa idrovora continuamente in funzione ed è, accanto alle liberalizzazioni che attenuano le rendite, un riequilibratore automatico. Questo fisco non "mette le mani nelle tasche degli italiani" ma impedisce che i ricchi mettano le mani nelle tasche dei poveri.
Le soluzioni ai problemi della ripresa possono quindi essere individuate senza ricorrere ad una nuova teoria economica, come interpretazione olistica della realtà: teoria attualmente non immaginabile. E' pur vero che alcuni fenomeni intaccano uno o più dei cardini su cui le attuali dottrine si fondano. L'ipotesi del cosiddetto "uomo di Chicago" (perfettamente razionale) non regge alle indagini empiriche. Basti pensare alla non corrispondenza dei risultati elettorali con la stratificazione economica della piramide sociale, alle bolle finanziarie e ai fenomeni di panico in Borsa. Ma la reductio ad unum di questi fenomeni rimane lontana. Le proposte operative restano quindi nell'alveo degli schemi teorici già acquisiti.
Queste problematiche e queste soluzioni non sfiorano le menti dei nostri governanti, impegnati nell'ascolto attonito delle ininterrotte e torrenziali conferenze stampa (one-man-show) del presidente del Consiglio e nel bramato ampliamento delle strutture ministeriali. Qualunque proposta di interventi redistributivi viene respinta con altezzosa protervia. L'unico barlume di politica welfaristica efficace è per il momento quella della Cei e della Caritas. Ma sarebbe ben triste se la soluzione si limitasse al passare dal governo dei tanti (oltre 100!) al governo dei santi.