Una proposta per la rete Telecom

La soluzione migliore sarebbe di costituire una public company indipendente e quotata. Le sue azioni sarebbero distribuite pro quota agli azionisti Telecom che così non subirebbero alcun danno

Si è chiuso il riassetto proprietario di Telecom Italia: il pacchetto di controllo prima detenuto
da Olimpia è passato alla nuova holding Telco di cui sono azionisti Generali (28,1%), Mediobanca
(10,6%), Intesa Sanpaolo (10,6%), Sintonia-Benetton (8,4%) e Telefonica (42,3%). Continua a rimanere insoluto, tuttavia, il problema dell’apertura al mercato delle telecomunicazioni italiane. Il rinnovo della proprietà, con l’avvicendamento di banche-assicurazioni al referente unico Pirelli (sinora controllante all’80% di Olimpia), potrebbe esser occasione per avviare un dialogo costruttivo sulla gestione della rete e sul futuro delle telecomunicazioni, e chiedere anche una maggiore assunzione di responsabilità.

Per immettere concorrenza nel settore delle telecomunicazioni è necessario che tutti gli operatori
possano avere accesso paritario, sulla base di regole non discriminatorie, alla porzione della rete che possiede caratteristiche di monopolio naturale: il cosiddetto “ultimo miglio” o “local loop”. Intanto, il dibattito in corso evidenzia la problematicità della separazione di questa porzione di rete dall’ex monopolista Telecom Italia Si è chiuso il riassetto proprietario di Telecom Italia: il pacchetto di controllo prima detenuto da Olimpia è passato alla nuova holding Telco di cui sono azionisti Generali (28,1%), Mediobanca (10,6%), Intesa Sanpaolo (10,6%), Sintonia-Benetton (8,4%) e Telefonica (42,3%). Continua a rimanere insoluto, tuttavia, il problema dell’apertura al mercato delle telecomunicazioni italiane. Il rinnovo della proprietà, con l’avvicendamento di banche-assicurazioni al referente unico Pirelli (sinora controllante all’80% di Olimpia), potrebbe esser occasione per avviare un dialogo costruttivo sulla gestione della rete e sul futuro delle telecomunicazioni, e chiedere anche una maggiore assunzione di responsabilità.

Per immettere concorrenza nel settore delle telecomunicazioni è necessario che tutti gli operatori
possano avere accesso paritario, sulla base di regole non discriminatorie, alla porzione della rete che possiede caratteristiche di monopolio naturale: il cosiddetto “ultimo miglio” o “local loop”. Intanto, il dibattito in corso evidenzia la problematicità della separazione di questa porzione di rete dall’ex monopolista Telecom Italia (1):
- lo spin-off proprietario integrale (modello americano) si scontrerebbe contro ostacoli economici
(valutazione degli asset per il loro acquisto dalla Telecom; costi di transizione) e politici
(resistenza dell’ex monopolista e contrasto tra sfera privata e sfera pubblica);
- la separazione delle funzioni di rete (2) dalle altre attività, con la formazione di una business unit autonoma (modello inglese) ma sempre di proprietà Telecom, potrebbe in Italia non
trovare le condizioni “ambientali” per potersi affermare con successo (3).

Alla ricerca di una soluzione, ci poniamo un interrogativo: “In caso di separazione funzionale, come sarebbero esercitati i diritti di proprietà, sia dagli azionisti di maggioranza che di minoranza?”. Se la business unit deve avere un board di governo e amministratori indipendenti e vincolati unicamente da contratti incentivanti (elementi imprescindibili se si vuol garantire la parità di posizione degli operatori concorrenti), si dovrebbe supporre il congelamento di tutti i diritti di proprietà, salvo il diritto a condividere i rendimenti della business unit (anche in questo caso, però, secondo piani di distribuzione degli utili decisi in autonomia da board e amministratori).

Ma, se così è, tra spin-off proprietario e separazione funzionale rimane davvero una differenza di
sostanza? Se la separazione funzionale implica una diminutio così ampia dei diritti di proprietà sulla business unit, non si sta nel contempo realizzando una trasformazione proprietaria? Questa osservazione lascia intendere che la gestione del “local loop” come opensource accessibile da
parte di tutti non può prescindere, in realtà, da una modifica dell’assetto proprietario. Più che
interrogarsi, pertanto, su alternative alla separazione proprietaria, sarebbe consigliabile concentrare gli sforzi sulla ricerca della soluzione più percorribile per approdare alla separazione proprietaria (ponendo rimedio ad un errore compiuto nel 1997 quando la Telecom fu privatizzata).

(1) Invece della costituzione di una business unit indipendente, alla Telecom potrebbe esser chiesto di creare una nuova società (la “Newco”) cui devolvere tutti gli asset rilevanti per il funzionamento del “local loop” (porzione di rete e centraline locali di smistamento (4)). La Newco nascerebbe di proprietà degli stessi azionisti di Telecom, nel senso che le sue azioni sarebbero assegnate gratuitamente agli stessi azionisti di Telecom in percentuale del loro peso nel capitale di Telecom, e sarebbero direttamente quotate sulla borsa valori (come spin-off di una società quotata) (5).

(2) Alla Newco si potrebbe applicare il modello di governance tecnica e autonoma che si propone per la business unit nell’ipotesi di separazione funzionale, con la differenza (rispetto al modello inglese) che le azioni della Newco potrebbero essere scambiate indipendentemente dalle azioni di Telecom e, di conseguenza, l’assetto proprietario della Newco evolvere nel tempo indipendentemente da quello Telecom.

(3) Gli azionisti originari che non gradissero la trasformazione proprietaria potrebbero cedere le loro azioni Newco in Borsa, anche in costanza di partecipazione al capitale Telecom. Viceversa, tutti gli investitori che valutassero positivamente le prospettive della Newco, nella sua configurazione di public company con board e amministratori tecnici e indipendenti, potrebbero farne domanda in Borsa (per questa via, creando anche valore per i piccoli azionisti Telecom neo azionisti Newco (6)).

I vantaggi della soluzione prospettata (da approfondire e specificare nei suoi risvolti giuridici e finanziari) ci sembrano molteplici:
- il cambiamento sarebbe meno traumatico di un obbligo assoluto di vendita, con lo spin-off
realizzato internamente da Telecom e la prima base azionaria della Newco identica a quella
Telecom;
- posto che la Newco dovrà divenire proprietaria di tutti gli asset rilevanti per il funzionamento
del “local loop” ed essere gestita da board e amministratori indipendenti, la prima valutazione
della rete sarebbe fatta internamente da Telecom, ai fini dello spin-off, e poi aperta alle
variazioni di valutazione da parte del mercato (in borsa);
- l'assetto azionario della Newco potrebbe evolvere separatamente da quello di Telecom e, col
tempo, arrivare a una situazione in cui, a fronte di una governance di matrice tecnica e
completamente indipendente dalla proprietà, la stessa proprietà potrebbe essere tutta flottante
(7);
- l’uscita dall’azionariato non sarebbe obbligatoria per gli azionisti Telecom, che potrebbero
comunque rimanervi per continuare a beneficiare dei rendimenti dell’attività (soggetta a
regolazione) della Newco, assodato che, anche laddove emergessero dei pacchetti di rilievo, la
proprietà sarebbe flottante de facto perché privata di poteri di indirizzo della gestione.

Board e amministratori tecnici e indipendenti e proprietà tutta flottante: potrebbe essere un modello su cui riflettere per la public company che gestisce strutture caratterizzate da monopolio naturale (8). Da un lato imparzialità e trasparenza della gestione, dall’altro la proprietà privata diffusa che, interessata a condividere le performance economiche senza ingerire nelle scelte strategiche, è fonte di stimoli per board e amministratori (oltre agli incentivi contenuti nel disegno dei contratti di loro investitura e a quelli impliciti nella regolazione tariffaria) (9).


NOTE

(1) In particolare, cfr.: C. Cambini e A. Giannaccari, “Quale forma di separazione per la rete di telecomunicazioni italiana?” su www.cermlab.it; C. Cambini, “Se la rete arriva a una muraglia cinese” su www.lavoce.info; S. Micossi, “Fino all’ultimo miglio” su www.lavoce.info; e M. Polo, “Di cosa parliamo quando parliamo di rete” su www.lavoce.info.
(2) Opensource per tutti gli operatori con regole di accesso uguali per tutti, nella forma e nella sostanza.
(3) In Italia, inoltre, la “muraglia cinese” dovrebbe essere ancora più impenetrabile che in Inghilterra, perché la rete che la business unit dovrebbe gestire includerebbe, oltre a quella tradizionale in rame, anche quella di nuova generazione (la “NGN”). Cfr. Cambini-Giannaccari su www.cermlab.it.
(4) Tra l’altro, alcune recenti indagini hanno appurato lo stato di scarsa manutenzione delle centraline locali di smistamento, che sicuramente dovranno essere messe in sicurezza prima di poter essere gestite come opensource.
(5) Dal punto di vista degli azionisti, è come se ciascuno vedesse la sua originaria partecipazione in Telecom suddivisa in due componenti: quella rimasta in Telecom dopo la separazione della rete e quella nella Newco.
(6) Un Newco indipendente da Telecom e concentrata sulla migliore gestione degli asset del monopolio naturale (offrendoli indistintamente a tutti colo che volessero canalizzarvi servizi di telecomunicazione) potrebbe creare nuovo valore per i piccoli azionisti Telecom neo azionisti Newco.
(7) Che senso avrebbero i pacchetti di controllo se i diritti di proprietà sono depotenziati e si limitano al riconoscimento dei rendimenti dell’attività?.
(8) Il modello potrebbe essere applicato anche a Terna S.p.A., con l’uscita della Cassa Depositi e Prestiti che è oggi azionista di maggioranza e detiene circa il 30% del capitale sociale.
(9) Probabilmente, in questa impostazione troverebbe la sua migliore e duratura soluzione il cosiddetto “problema degli investimenti” per l’ammodernamento della rete e la sua adeguatezza rispetto alle potenzialità tecnologiche.

Sabato, 12. Maggio 2007
 

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