Una politica per compensare i costi di Kyoto

Si potrebbe prefigurare un sistema bilanciato, nel quale il gettito della carbon tax servisse non solo per ammortizzare le ristrutturazioni energetiche, ma anche per sussidiare soluzioni compatibili con il protocollo di Kyoto e potenziare la ricerca applicata

 I motivi per cui intendiamo ritornare sull'argomento della politica energetica sono quattro.

A) In colloqui e dibattiti intercorsi con professionisti ed imprenditori in varie circostanze è sembrata prevalere da parte loro l'opinione favorevole al piano nucleare del governo, allo scopo di ottenere energia a prezzi "francesi".

B) Stanno maturando i costi del ritardo italiano rispetto ai parametri di Kyoto, calcolati mediamente da Stefano Verde in un articolo del 13 settembre scorso in 0,92 miliardi di euro l'anno fino al 2012.

C) Sembra riaffacciarsi, almeno in Francia e in altri paesi, l'ipotesi dell'introduzione di una carbon tax (vedi il precedente articolo di Stefano Verde del 22/07/2009).

D) La perdurante vaghezza del piano energetico del governo, nel quale non figurano dettagliati calcoli delle convenienze alternative delle varie forme di energia, né del loro impatto ambientale, mentre l'Enel e le altre industrie fornitrici si stanno già spartendo la torta nucleare.

 

Sul punto A) può darsi che le mie argomentazioni non fossero abbastanza esaurienti. Tenterò pertanto di renderle più convincenti, supportandole con altre considerazioni. Sul fatto che le centrali, completate in poco meno di un decennio, corrano il rischio di osbolescenza, mi sembra non possano sussistere dubbi, data la velocità del progresso tecnico e scientifico. Quanto ai cosiddetti costi esterni del nucleare, credo che essi siano stati sottovalutati. Infatti, ad esempio nel caso francese, i costi della sicurezza anche in senso militare delle centrali e una parte rilevante di quelli relativi alla ricerca ricadono nel bilancio del ministero della Difesa, perchè la Francia è una potenza nucleare. Inoltre il fatto che non venga preso in considerazione il peso del processo fortemente inquinante per l'estrazione della materia prima, perchè questa forma di inquinamento avviene altrove, non è giustificato. Infatti il degrado ambientale è fenomeno globale e i suoi costi debbono comunque essere calcolati, perchè gli effetti si propagano a livello mondiale.

 

Occorre inoltre sottolineare il fatto che l'Italia è un paese ad alta sismicità, come dimostrano eventi anche recenti. Conseguentemente il costo di installazione delle centrali è molto alto e le scelte di localizzazione sono ristrette a poche zone. Probabilmente proprio quelle dove furono collocate a suo tempo le centrali oggi non ancora dismesse, i cui costi di  dismissione non sono stati ancora pienamente calcolati: Trino Vercellese, Caorle, Latina, etc.

 

Nel piano del governo non figura per la filiera nucleare una dettagliata analisi costi/benefici. Ciò è quanto meno singolare, perchè per il Ponte sullo Stretto abbiamo relazioni di centinaia di pagine. Chiariamo infine un punto che sta a cuore ai nostri imprenditori. L'Italia compra la notte energia elettrica dalla Francia a prezzi fortemente scontati. Il fenomeno si giustifica con il fatto che la produzione di energia nucleare è a offerta rigida, nel senso che non può e non deve interrompersi mai. Se l'Italia producesse anch'essa energia nucleare, si correrebbe paradossalmente il rischio di un eccesso di offerta durante la notte.

 

Sugli oneri di Kyoto (punto B) non possiamo aggiungere molto alle considerazioni di Stefano Verde, se non due osservazioni, l'una realistica e l'altra di principio. Per quanto concerne la prima, se i tempi di messa in funzione delle centrali previsti dal governo fossero perfettamente rispettati (del che ci sia lecito dubitare) i costi per la mancata applicazione del protocollo di Kyoto graverebbero comunque per un buon numero di anni. Il secondo aspetto, singolare, è quello del principio dell'inquinatore pagatore, su cui si fondano le compravendite dei diritti di emissione. Questo principio, che risale alla Conferenza di Rio, di parecchi anni fa, è sostanzialmente aberrante, perchè ricorda il guidrigildo dell'Editto di Rotari, che prevedeva un compenso pecuniario per un reato penale.

    

Dobbiamo ancora una volta lamentare l'assenza di una politica organica per quanto concerne lo stretto legame fra energia e ambiente. Ad esempio, le originali innovazioni dei nostri imprenditori nel campo dei rifiuti, anche speciali (cfr. Il Sole 24 Ore del 17/9/2009, inserto Nova) non trovano riscontro in una politica fiscale e normativa adeguata, del tipo di quella che funziona da molti anni in modo eccellente per il recupero degli oli esausti delle autovetture.

 

Lo stesso potere mass-mediatico che è riuscito a convincere milioni di persone che con un certo tipo di pasta è sempre domenica non è stato impiegato per diffondere la consapevolezza dell'efficacia e della assoluta non pericolosità dei termovalorizzatori, uno dei quali funziona da molti anni nel centro di Brescia.

 

E' esatto che - come correttamente avevamo indicato noi - le energie rinnovabili rimangono ancora fuori mercato, anche perchè si stanno scoprendo nuovi giacimenti di gas e petrolio. Ma il punto non esplicitato nei documenti ufficiali è che il criterio di economicità per una collettività non è solo quello del mercato. Le diseconomie esterne - climatiche, da inquinamento, situazioni che favoriscono le pandemie, disagi sociali - sono altrettanti costi, che a certe forme di energia vanno aggiunti e da altri detratti.

 

Vorremmo concludere con una proposta operativa che abbraccia congiuntamente i punti B), C) e D). Come ha di recente rilevato Manuel Barroso, la Conferenza di Copenhagen sul clima si sta avvicinando e i documenti contenenti soluzioni alternative, che si elidono a vicenda, si stanno affastellando. A questo punto l'ipotesi di introduzione di una carbon tax, suggerita da Nicolas Sarkozy, ma comunque da concordare nell'ambito dell'armonizzazione della politica fiscale dell'Unione, si affaccerà probabilmente anche nel nostro paese. Possiamo facilmente immaginare che le lobbies contrarie a questa tassa troveranno favorevoli sponde in molti esponenti dell'attuale maggioranza. La crisi mondiale offre un'ottima giustificazione per resistere a provvedimenti che, di fatto, per la parziale rigidità delle nostre strutture energetiche e per il precario equilibrio finanziario di molte aziende, finirebbero per tradursi in un aumento di costi per gli utilizzatori finali. Si sosterrà, inoltre, che l'impresa italiana è già penalizzata in termini comparativi per quanto concerne i costi dell'energia, così da non poter sopportare un carico ulteriore.

 

Queste furono a suo tempo le argomentazioni addotte all'atto della tentata introduzione della carbon tax in Italia. Sin dall'inizio il numero di esenzioni fu tale da renderla inapplicabile. Le soluzioni allora immaginate per l'impiego del gettito - come rileva Verde -(compensazioni alle aziende più in difficoltà, sussidi per ridurre i costi del lavoro), mi sembrano decisamente incoerenti rispetto alla finalità da perseguire, che è quella di generare effetti di sostituzione fra forme di energia più o meno inquinanti. D'altro canto per conseguire questo obiettivo, il livello di tassazione deve essere "percepibile".

 

Tenendo conto però degli oneri che sarebbero comunque destinati a gravare sul nostro paese per i numerosi anni che mancano al nucleare, oneri dovuti al ritardo nel raggiungimento dei parametri di Kyoto, occorrerebbe affrontare nel suo complesso la politica energetica nel quadro di un'impostazione tecnicamente e scientificamente obiettiva (e non piegata da decisioni generiche solo apparentemente, ma in realtà frutto di mediazioni con alcuni centri di potere). In questa ottica si potrebbero collegare i due controversi aspetti del fenomeno. Si potrebbe prefigurare un sistema bilanciato, nel quale il gettito della carbon tax servisse non solo per ammortizzare le ristrutturazioni energetiche, ma anche per sussidiare soluzioni compatibili con il protocollo di Kyoto e potenziare la ricerca applicata nei molti campi dell'economia verde in cui si è alla vigilia di progressi forse inaspettati. Si tratterebbe di un'operazione complessa, richiedente un'attenta programmazione dei flussi finanziari. Nell'ipotesi più favorevole, però, essa potrebbe avvicinarsi ai risultati di un gioco a somma zero, se, ad esempio, la riduzione dei costi di Kyoto eguagliasse gli oneri della carbon tax.

 

Non ci sfuggono le obiezioni a questo tipo di manovra, perchè quanti tenuti a pagare la carbon tax e i beneficiari degli incentivi appartengono a settori produttivi diversi ed anche a localizzazioni differenti; avrebbero, quindi, differenti padrini politici. Ma proprio nel superamento di queste difficoltà si colloca il banco di prova della difficile arte di governo. Non è molto probabile che l'attuale esecutivo operi scelte del tipo qui delineato, mentre con la finanziaria "ombra" la sua politica economica tende ad assomigliare sempre più a quella dell'Impero ottomano nella sua fase crepuscolare, dove l'organo istituzionale nel quale maturavano le decisioni politiche si chiamava - sia detto senza malizia - Divano.
Domenica, 27. Settembre 2009
 

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