Protocollo di Kyoto, ci costerà 1 miliardo l'anno

E' una stima attendibile della cifra media (4,6 miliardi in totale)che l'Italia dovrà sborsare fino al 2012 per la mancata riduzione delle emissioni a cui ci eravamo impegnati. Francia e Irlanda hanno appena annunciato l'introduzione della "carbon tax". Da noi il governo ignora il problema

In Italia, nel 2006, le emissioni di gas serra di origine antropica sono state 567.9 MtCO2e (milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalente): il 17.5% in più rispetto al limite fissato dal Protocollo di Kyoto (PdK) per il lustro 2008-2012. In Europa (UE-27), solo Danimarca, Austria, Lussemburgo e Spagna sono più lontani dai rispettivi obiettivi (gli ultimi dati disponibili sono appunto del 2006). Alcuni sostengono che l’obiettivo dell’Italia, che ѐ di ridurre le emissioni del 6.5% rispetto al livello del 1990, sia più ambizioso di quelli di altri paesi. Se ne può anche discutere, ma resta il fatto che il Parlamento italiano, ratificando il PdK con voto quasi unanime, si assunse quell’impegno e, soprattutto, i governi che da allora (maggio 2002) si sono succeduti, pur con i dovuti distinguo, non hanno fatto granché per onorarlo. 

 

Il ritardo su Kyoto lo pagheremo noi, in primo luogo come contribuenti. Il Documento di programmazione economico-finanziaria (Dpef) 2007-2011, di Prodi e Padoa Schioppa, ci avvertiva che “i costi per la mancata applicazione del Protocolo di Kyoto in Italia rischiano di aumentare fino a 2.56 miliardi di euro all’anno per il periodo 2008-2012 se non verranno applicate delle politiche rigorose e costanti di riduzione delle emissioni”. Purtroppo, non ѐ spiegato come questa cifra - enorme - sia stata ottenuta e, quindi, non ѐ chiaro neppure che cosa essa comprenda esattamente. Presumibilmente, 2.56 miliardi ѐ il risultato del prodotto delle emissioni in eccesso rispetto all’obiettivo di Kyoto in assenza di misure di riduzione delle stesse, ovvero circa 100MtCO2e, e il prezzo futuro di una tonnellata di CO2 stimato 25 euro. Questo, infatti, ѐ un prezzo che l’Emissions Trading System dell’Unione Europea (Eu Ets) - il mercato più sviluppato della CO2 - all’epoca avrebbe potuto suggerire.(1)

 

Tuttavia, per ottemperare agli obblighi del PdK, lo Stato italiano non acquisterà i permessi di emissione dell’ Eu Ets, ma i crediti generati dai “Meccanismi flessibili di Kyoto”, che sono Emissions Trading (Et), Clean Development Mechanism (Cdm) e Joint Implementation (Ji).(2) Oggi senza dubbio possiamo immaginare il prezzo medio di questi crediti essere più vicini a 15 che 25 euro.(3) Purtroppo, numeri ufficiali più recenti circa il costo complessivo del ritardo sull’obiettivo di Kyoto non esistono. Nei Dpef 2009-2013 e 2010-2013, di Berlusconi e Tremonti, né compaiono le parole “gas serra” né vi ѐ una sezione dedicata all’ambiente.

 

Recentemente l’interesse per la “bolletta” di Kyoto sembra però essersi riacceso, forse perché che si avvicina il tempo di pagare. Lo scorso 13 agosto, Il Sole 24 Ore titolava in prima pagina che il costo della bolletta di Kyoto per l’Italia ammonterebbe a 550 milioni di euro nel 2009 e potrebbe diventare 840 milioni nel 2012. Purtroppo non ѐ così: la bolletta sarà decisamente più salata, anche se meno di quanto lo sarebbe stato se non ci fosse stata la crisi economica. Leggendo il documento cui si fa riferimento nell’articolo di Jacopo Giliberto,(4) si capisce che il giornalista commette un errore importante. Infatti, quel documento non fornisce una stima del costo della bolletta di Kyoto, ma tratta esclusivamente del deficit di permessi di emissione che lo Stato dovrà acquistare e poi consegnare alle imprese italiane nuove entranti nell’Eu Ets. In altre parole, le cifre di Giliberto non tengono conto dei diritti di emissione che lo Stato dovrà comunque acquistare per rispettare l’impegno di Kyoto e che sono in aggiunta a quelli necessari per far partecipare nuove imprese all’Eu Ets. Peraltro, Giliberto addebita buona parte della colpa di questa bolletta ad Alfonso Pecorario Scanio perché nel febbraio 2008, volendo fare il “primo della classe”, avrebbe proposto all'Ue un tetto molto restrittivo per le emissioni del settore Eu Ets in Italia. Le cose non stanno esattamente così. Come si evince nuovamente dal documento cui lo stesso Giliberto fa riferimento, il governo italiano aveva prima proposto una cifra di compromesso, ma poi fu l'Europa che impose quel limite più svantaggioso (e comunque meno svantaggioso di quello che l’Ue aveva richiesto precedentemente). Ma vediamo ora di capire quale potrebbe essere una cifra più verosimile per la bolletta di Kyoto.

 

Secondo il rapporto dell’Enea “Post Kyoto e cambiamenti climatici, 2008”, pubblicato lo scorso anno, nel 2010 la distanza dell’Italia dall’obiettivo di Kyoto, al netto delle misure previste di riduzione delle emissioni, sarebbe di circa 40 MtCO2e. Per tenere conto degli effetti della sopravvenuta crisi economica, questa estate l’Enea ha rivisto gli scenari di emissione, ma purtroppo senza indicare (nel “Rapporto energia e ambiente 2008, analisi e scenari”) una stima aggiornata della distanza suddetta. Non esistendo il numero, in qualche modo bisogna stimarlo. Sapendo che l’elasticità delle emissioni di gas serra rispetto al Pil è circa 0.7 nelle economie sviluppate e considerando un calo del Pil del 5.4% nel 2009 e una debole crescita dello 0.5% nel 2010, com previsto nell’ultimo Dpef, quel buco di 40 MtCO2e si dimezzerebbe.(5)

 

Non si può prendere 20 MtCO2e come valore medio per il periodo 2008-2012 perché dopo il 2010, insieme al Pil, riprenderanno a crescere anche le emissioni. Però, se come previsto nel Dpef, l’economia crescerà del 2% nel 2011 e 2012, nel 2012 le emissioni dovrebbero ritornare intorno ai livelli pre-crisi. In questo caso, possiamo allora prendere come valore medio della distanza dall’obiettivo di Kyoto nel periodo 2008-2012 la media dei 40 e 20 di sopra, che è 30. L’eccesso di emissioni nei cinque anni sarebbe così di 150 MtCO2. Considerando un prezzo dei crediti di emissione pari a 15 euro, come oggi ѐ ragionevole ipotizzare, lo Stato dovrebbe sborsare 2.25 miliardi di euro per onorare l’impegno del PdK. Si noti che il costo sarà più alto nel caso in cui il prezzo medio dei crediti di emissione acquistati sarà più alto di 15 euro o se le misure di riduzione delle emissioni si riveleranno meno efficaci di quanto atteso oppure, ancora, se le condizioni climatiche dei prossimi anni indurranno maggiori consumi di energia. Circostanze queste, tutt’altro che irrealistiche, che farebbero salire il conto ben oltre 2.25 miliardi. Vanno poi aggiunti gli 850 miliardi di Giliberto, ovvero quelli che lo Stato dovrà spendere per acquistare ulteriori permessi di emissione da dare alle imprese nuove entranti nell’Eu Ets. Insomma, a oggi si può approssimare a 3 miliardi la bolletta di Kyoto che pagheremo come contribuenti tra il 2008 e il 2012.  

 

C’ѐ poi da considerare che parte del ritardo su Kyoto lo potremmo pagare non come contribuenti, ma come consumatori. Infatti, nella misura in cui le imprese italiane che partecipano all’Eu Ets ricorerranno all’acquisto di diritti/crediti di emissione e trasferiranno i relativi costi sui prezzi finali, saranno di fatto i consumatori a pagare i mancati tagli delle emissioni. Non ѐ facile stimare con cura il peso dell’Eu Ets sui consumatori, in quanto ciò richiederebbe sia di conoscere la struttura dei singoli mercati (per determinare quanta parte dei maggiori costi possa essere trasferita sui prezzi) sia di fare ipotesi su diverse variabili economiche e finanziarie. Ciononostante, indicare una misura di massima ѐ possibile. Il Piano nazionale di allocazione per il 2005-2007 ha assegnato diritti di emissione per una media di 223.11 MtCO2 all’anno, mentre quello per il 2008-2012 ne ha dati 201.63, ovvero 21.48 MtCO2 in meno. Quindi, lo sforzo richiesto al settore Ets, per il periodo 2008-2012, può essere quantificato in 107.4 MtCO2. Ora, se le imprese non ridurranno le emissioni e trasleranno interamente i maggiori costi sui prezzi, e se ipotizziamo un prezzo medio dei diritti/crediti di emissione di 15 euro,(6) i consumatori sopporteranno un costo di circa 1.6 miliardi. A meno che le imprese non alzino i prezzi per ottenere profitti ingiustificati o non incorrano in penalità per aver prodotto emissioni in eccesso, questa cifra non dovrebbe essere superata. Se, invece, le imprese dovessero ridurre in qualche misura le emissioni o traslare solo parzialmente i costi dell’Eu Ets sui prezzi o, ancora, acquisire diritti/crediti di emissione a un prezzo minore di 15 euro, allora il costo del ritardo su Kyoto sopportato dai consumatori dovrebbe essere inferiore a 1.6 miliardi di euro.

 

L’ordine di grandezza delle cifre appena viste ci porta a dire che il costo del ritardo su Kyoto non dovrebbe essere stratosferico, ma neanche trascurabile. Infatti, se sommiamo i 3 e 1.6 miliardi di sopra, il costo medio annuale del ritardo su Kyoto (0.92 miliardi di euro), nel periodo 2008-2012, equivarrebbe a circa un terzo della manovrina di Tremonti di questa estate (5.5 miliardi per il 2009 e 2010). Soprattutto, però, ora ѐ necessario cominciare a tagliare le emissioni per davvero. Infatti, il costo di non farlo ѐ destinato a lievitare a causa delle restrizioni imposte dall’Unione Europea per il 2020 e dai previsti accordi internazionali. Posticipare ancora importanti tagli alle emissioni, oltre che essere eticamente deprecabile (contribuire al problema del riscaldamento globale e scaricarlo agli altri paesi e alle future generazioni), causerebbe un ingente spreco di risorse e vorrebbe dire perdere quella che probabilmente ѐ la maggiore occasione di sviluppo sostenibile di questi anni. La “green economy”, su cui le economie più avanzate stanno puntando, significa in primo luogo efficienza energetica ed energie rinnovabili per ridurre le emissioni di gas serra. Intanto, dal 10 settembre ѐ ufficiale che la Francia introdurrà la carbon tax (17 euro a tonnellata per cominciare) da gennaio 2010. Così pure l’Irlanda. Che si dice in Italia?

 

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Note 

 

1)Eu Ets ѐ uno strumento di riduzione delle emissioni di CO2 (dopo il 2012, anche di altri gas serra) di cui l’Ue si ѐ dotata a partire dal 2005. In un sistema “cap-and-trade”, quale ѐ l’Eu Ets, i diritti di emissione vengono distribuiti alle imprese che vi partecipano, per un totale che dipende dall’obiettivo complessivo che le autorità vogliono raggiungere. Alcune imprese avranno poi bisogno di acquistare ulteriori diritti, mentre per altre sarà conveniente venderne: ne nascono così un mercato e un prezzo delle emissioni. In Italia, come a livello Ue, attualmente il settore Ets copre circa il 45% delle emissioni di CO2, ma nel periodo 2013-2020 sarà esteso sia a più attività sia ad altri gas serra.

 

2) Et, Cdm e Ji sono gli strumenti previsti dal PdK per raggiungere l’obiettivo globale di riduzione delle emissioni in modo costo efficiente. Con l’Et, i paesi che hanno obiettivi di emissione imposti dal Protocollo, detti Annex I (escludono i paesi in via di sviluppo), comprano e vendono diritti a emettere. Con il Cdm e la Ji, invece, crediti di emissione vengono riconosciuti ai paesi Annex I che realizzano progetti di riduzione di emissioni in paesi in via di sviluppo (Cdm) o in altri paesi Annex I (JI).

 

3) Si veda il recente report della Banca Mondiale sullo stato e le tendenze del mercato del carbonio: , p.8, p.44-45 e p.53-54.

 

4) Relazione ai ministri dell’Economia, dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, e dello Sviluppo economico sulle risorse necessarie per la “Riserva Nuovi Entranti” della “Decisione di assegnazione delle quote di CO2 per il periodo 2008 – 2012”. Il documento, datato 29 luglio, è prodotto dal Comitato nazionale per la gestione della Direttiva 2003/87/CE (che istituisce l’Eu Ets) e per il supporto nella gestione delle attività di progetto del Protocollo di Kyoto.

 

5) Elasticità delle emissioni rispetto al Pil pari a 0.7 significa che a una variazione del Pil dell’1% corrisponde una variazione, nella stessa direzione, dello 0.7% per le emissioni. Nello scenario elaborato dall’Enea prima della crisi, le emissioni di gas serra nel 2010 erano 587 MtCO2e e, al netto delle misure previste di riduzione delle emissioni, rimaneva una distanza dall’obiettivo di Kyoto di 40 MtCO2e. Applicando a 587 MtCO2e un tasso di riduzione (3.3%) ottenuto usando l’elasticità e i tassi di crescita dell’economia detti sopra, le emissioni i quell’anno diventano 567 MtCO2e e, quindi, il buco di 40 MtCO2e si dimezza.

 

6) Il prezzo dei permessi Eu Ets e dei crediti di emissione generati dai Meccanismi flessibili di Kyoto, in seguito alla “Linking Directive” dell’Ue (2004/101/EC), sono collegati.
Domenica, 13. Settembre 2009
 

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