Una legge di bilancio che non aiuta la crescita

La Finanziaria è stata definita da molti “prudente”, ma un esame più attento porta a rovesciare il giudizio. Inoltre, per esigenze di cassa, sono state abolite misure strutturali come l’Ace, un’agevolazione per favorire il rafforzamento della struttura patrimoniale delle imprese, che aveva avuto effetti positivi

Dopo due anni di crescita sostenuta, in cui il Pil è aumentato nel 2021 dell’8,3% e nel 2022 del 3,7%, l’economia italiana è di nuovo piombata in una stagnazione che assomiglia molto al periodo pre-Covid. Ricordiamo che nel 2020, anno della pandemia, il Pil era crollato del 9%, mentre nei due anni precedenti, 2018 e 2019, la crescita in termini reali era stata, rispettivamente, dello 0,9% e dello 0,5%. Il 2023 si chiuderà molto probabilmente con una crescita dello 0,7%, mentre per il 2024 la previsione di Consensus non va oltre lo 0,5%, ben al di sotto dell’1,2% indicato dal governo nella Nadef.

La crescita del biennio 2021-2022 è stata trainata fondamentalmente da due fattori: l’evidente rimbalzo dopo la chiusura delle attività dovuta al Covid e gli incentivi edilizi (superbonus 110% e bonus facciate), che hanno determinato una forte espansione delle costruzioni. Il superbonus per l’edilizia rischiava però di portare fuori controllo i conti pubblici e il governo Meloni è dovuto intervenire non rinnovandolo. L’impatto negativo dei crediti d’imposta legati alle incentivazioni continuerà tuttavia a pesare anche negli anni futuri. Nel frattempo l’economia mondiale ha rallentato la sua marcia e in Europa la Germania è entrata in recessione. In più la Bce, seguendo la Fed, è intervenuta a più riprese alzando i tassi d’interesse in risposta all’inflazione, con effetti negativi sia sul costo del debito sia sugli investimenti.

E’ in questo contesto, contraddistinto dal peggioramento del deficit pubblico e dal rallentamento dell’economia, che il governo italiano ha varato la legge di bilancio 2024. La manovra, di circa 24 miliardi, è moderatamente espansiva, con un avanzo primario leggermente negativo (-0,2%) nel 2024, dopo il -1,5% del 2023, ed è stata approvata dalla Commissione europea, che però l’ha giudicata “non pienamente in linea” rispetto alle raccomandazioni di Bruxelles, in quanto il debito pubblico è previsto scendere solo marginalmente nel prossimo triennio.

Ma il vero problema della legge di bilancio è che gran parte delle misure adottate sono transitorie ed hanno un impatto limitato soltanto al 2024. Non si può definire una manovra prudente, come affermato dai sostenitori del governo e anche da qualche osservatore neutrale, bensì audace, se non temeraria. Esperti di finanza pubblica come Paolo Onofri e Giuseppe Pisauro, nonché audizioni come quella della Banca d’Italia, lo spiegano molto bene. In particolare, Pisauro, in un articolo del 21.11.2023 su lavoce.info “Legge di bilancio: tiriamo le fila”, sottolinea come le due misure più importanti – taglio dei contributi previdenziali fino a un reddito di 35.000 euro e accorpamento dei primi due scaglioni dell’Irpef – del valore complessivo di 15 miliardi siano previste solo per un anno. Ad esse bisogna aggiungere altri interventi una tantum, per complessivi 4 miliardi, comprendenti: la detassazione del welfare aziendale e dei premi di produttività, la riduzione del canone Rai, il differimento di sei mesi di plastic e sugar tax, l’azzeramento dei contributi previdenziali per le lavoratrici dipendenti a tempo indeterminato con due figli, il credito di imposta per gli investimenti nella Zona economica speciale del Mezzogiorno, il rifinanziamento della legge Sabatini per gli investimenti. In totale 19 miliardi, che peseranno sulla prossima Finanziaria e negli anni a venire, ammesso che si voglia continuare a sostenere queste spese. C’è infatti il concreto rischio che queste misure non vengano portate avanti in futuro oppure che, dopo le elezioni europee di giugno, il governo decida una manovra correttiva.

E’ comunque chiaro che riforme importanti, come quella fiscale, o provvedimenti che dovrebbero essere strutturali, come il taglio dei contributi, hanno bisogno di certezze e di un orizzonte temporale medio-lungo per indurre gli operatori ad orientare conseguentemente i loro comportamenti. Questo nella Finanziaria 2024 manca.

E mancano, come hanno rilevato sia gli imprenditori sia i sindacati, misure strutturali per la crescita. Anzi, si è andati in direzione contraria, essendo stata abrogata l’Ace (aiuto alla crescita economica), un’agevolazione introdotta nel 2011 per favorire il rafforzamento della struttura patrimoniale delle imprese, che consente unadeduzione dal reddito di impresa di un importo corrispondente al rendimento figurativo degli incrementi di capitale proprio. L’obiettivo è la neutralità fiscale rispetto alla scelta delle fonti di finanziamento delle imprese, non svantaggiando gli aumenti di capitale rispetto ai debiti bancari, il cui costo, rappresentato dagli interessi passivi, è deducibile dal reddito d’impresa. In tal modo si punta a sostenere le strategie di crescita delle imprese italiane, tradizionalmente di piccole dimensioni, sottocapitalizzate e a prevalente controllo familiare.

L’Ace, del valore di circa 4,8 miliardi per l’anno prossimo, ha sempre avuto una vita controversa, essendo stata soppressa con la legge di bilancio 2019, poi reintrodotta con la legge di bilancio 2020 e potenziata per il 2021. Ma indubbiamente è servita a capitalizzare le imprese, contribuendo insieme all’autofinanziamento a far diminuire l’incidenza del finanziamento bancario tra le fonti finanziarie. Come mostra il recente Censimento sulle imprese dell’Istat, le imprese che hanno fatto ricorso al finanziamento bancario a medio-lungo termine sono passate dal 42,2% nel 2011 al 28,2% nel 2022; quelle che sono ricorse al finanziamento a breve dal 36% nel 2011 all’11,5% nel 2022. Quelle che hanno attinto all’autofinanziamento erano il 60,4% nel 2011 e sono salite all’80,3% nel 2022. Le percentuali di chi ha ricapitalizzato l’impresa con l’equity sono in aumento nell’arco temporale 2011-2022 dal 2,2% al 2,7%. Il loro peso cresce all’aumentare della dimensione, raggiungendo il 13,6% nelle aziende con almeno 250 addetti.

Ancora una volta – la critica riguarda non solo il governo attuale, ma anche quelli passati – si sacrificano per esigenze di cassa provvedimenti strutturali volti a sostenere lo sviluppo e la produttività nel medio-lungo periodo. Per la crescita non resta dunque che fare affidamento sul Pnrr, che il governo ha recentemente ricontrattato con Bruxelles. L’impatto maggiore della spesa è stato però spostato in avanti, al 2025 e 2026. E non bisogna dimenticare che l’erogazione dei fondi dipenderà anche dall’implementazione delle riforme, a cominciare da quella sulla concorrenza, che appaiono ancora in alto mare. Tutto ciò rende piuttosto nebulose le prospettive della nostra economia.

Martedì, 12. Dicembre 2023
 

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