Sul filo del rasoio fra debito e rilancio

Il deficit viaggia verso il 4%, ma più che Bruxelles sono da temere i mercati, che saranno tranquillizzati solo se il rapporto debito/Pil riprenderà a scendere. Il governo Prodi dovrà per prima cosa invertire il drammatico trend dell'export, in caduta libera da tre anni
Gli esperti di comunicazione politica dovranno interessarsi di un curioso aspetto della campagna elettorale che si è da poco conclusa; la coalizione berlusconiana, che fatto promesse per cifre spesso indefinite, ma comunque complessivamente valutabili in circa sessanta miliardi, è riuscita a far passare l'Unione, che si limitava (si fa per dire) ad una ventina di miliardi, come il partito dei "tassatori". Vi è in ciò qualcosa di paradossale, visto che i contributi e le imposte (che tra l'altro sono cose notevolmente diverse) servono per finanziare le spese di welfare, i servizi pubblici fondamentali come l'istruzione e la sanità, nonché anche il servizio del debito, cioè la spesa di interessi.

Ora che Prodi si accinge ad impostare il programma della legislatura, una cosa appare chiara: se non vi sarà una ripresa economica, che risollevi il tasso di crescita dalla stagnazione del misero 0,3% berlusconiano, sarà impossibile perseguire un programma che affronti i numerosi vuoti del nostro sistema di welfare, che rilanci la spesa di istruzione e ricerca. D'altra parte vi è un serio problema di conti pubblici. Tremonti si era impegnato con Bruxelles a portare quest'anno il disavanzo al 3,5%, ma sappiamo già che nel migliore dei casi potremo fare il 3,8%. In realtà è molto facile che arriveremo al 4% e forse lo supereremo. Poiché l'impegno con la Commissione è quello di rientrare sotto il 3% nel 2007, questo solo fatto implicherebbe una manovra di aggiustamento di un punto abbondante di Pil.

Per la verità ai mercati finanziari il fatidico 3%, che continua a costituire un tabù a Bruxelles, non interessa più di tanto. Quello che importa è che il rapporto debito-Pil riprenda a diminuire, in modo da dare garanzie sulla solvibilità del debitore, che è l'elemento a cui guardano le agenzie di rating. Si può fare un calcolo approssimato di che cosa significa ciò: il rapporto debito-Pil si colloca quest'anno a livello di 108%; supponiamo che il tasso di crescita del Pil nel 2007 sia del 3,5%. In questo caso per far diminuire il rapporto debito-Pil il debito deve crescere meno del 4,3%; tanto minore è questo dato, tanto maggiore sarà il calo del rapporto.

Bisogna però tenere presente che questa percentuale non va considerata ipso facto come il disavanzo pubblico che viene validato da Eurostat; il fabbisogno finanziario, da cui dipende la crescita del debito, in questi ultimi anni (a cominciare in particolare dal 2001) supera di un punto percentuale, e a volte anche più, il disavanzo. Dunque il problema della politica di bilancio si presenta come la classica camminata sul filo del rasoio: occorre invertire, anche se di poco, la tendenza all'aumento del debito pubblico, in modo da rassicurare i mercati finanziari, dai quali potrebbero venire delle punizioni ben più gravi delle procedure per disavanzo eccessivo che la Commissione potrebbe infliggerci. Occorre d'altra parte agganciare la ripresa economica che è in atto in Europa e che vede la Germania come protagonista.

Un punto essenziale a questo fine è il rilancio della competitività e quindi delle esportazioni; nell'ultimo Bollettino della Banca d'Italia vi è un grafico molto eloquente (la figura 10) del grado di utilizzo della capacità produttiva nell'industria italiana, in cui viene evidenziato l'andamento dei settori esportatori rispetto al totale. La divaricazione tra i due andamenti avviene nel 2002: mentre quello totale rimane costante sul 96%, quello del settore delle esportazioni incomincia a cadere ed in tre anni diminuisce di quasi otto punti.

Del resto che la produttività totale dei fattori si sia ormai completamente appiattita e addirittura sia peggiorata, è cosa ben nota. La nostra industria ha mostrato nell'ultima dozzina di anni grande difficoltà ad innovare, per ragioni di base che riguardano le dimensioni delle imprese, la struttura proprietaria, e  non ultimo la capacità degli imprenditori. Misure di intervento fiscale, di vario tipo, possono, nel medio periodo dei tre o quattro anni, portare una boccata di ossigeno, ma nel lungo periodo la risposta deve venire da una profonda trasformazione della nostra struttura produttiva, il che vuol dire che molto dipenderà dalla qualità, oltre che dalla quantità, degli investimenti in capitale umano e ricerca.    
Mercoledì, 12. Aprile 2006
 

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