Smobilizzo del Tfr senza paternalismo

Una replica all'articolo di Bardazzi e Pazienza, con due proposte che, sostengono gli autori, se applicate realizzerebbero al meglio l'operazione; più una terza di carattere generale
Abbiamo letto con interesse l'articolo di Bardazzi e Pazienza pubblicato su Eguagliaza&Libertà del 18/11/2006 (vedi). Oltre a riguardare un tema al centro della nostra attenzione negli ultimi mesi, fa esplicito riferimento a un nostro scritto comparso su www.lavoce.info  ("Quei due fondi tra il TFR e la previdenza privata"). Per questi due motivi ci è parso utile un intervento in replica, per confermare il nostro punto di vista e, magari, sollecitare anche un costruttivo contraddittorio focalizzato sugli aspetti salienti della riforma del TFR. Abbiamo tratto dalla circostanza stimolo a ripresentare la nostra lettura dei dati e le nostre proposte di policy.
 
Nella sua prima parte, il contributo di Bardazzi e Pazienza sembra voler quasi "scusare" il governo per il provvedimento che dirotterebbe il TFR al fondo infrastrutture (con l'interposizione dell'INPS): (1) un déjà-vu nel 1942; (2) a guardar bene, non è neppure conveniente per lo Stato; (3) probabilmente i flussi non perverranno; (4) probabilmente il fondo, se riesce a nascere, si estinguerà presto. Tutti punti sui quali si può convenire, a condizione, però, che ne scaturisca un giudizio ancor più negativo sulla scelta del governo che, pur di "far cassa", si avventura in scelte neppure convenienti e che, nella migliore delle ipotesi, faranno "gran rumore" per nulla, complicando ancor di più lo scenario della previdenza complementare (1).
 
Si conviene anche sul fatto che gli incentivi all'adesione non devono avere soltanto natura fiscale o finanziaria ma anche "reale": certezza della normativa; flessibilità nel rispetto della finalità previdenziale; impegno nella costruzione di una "cultura" previdenziale che rimane ancora molto bassa; etc. (2). Ma proprio per questo motivo le "energie" si sarebbero dovute profondere in altre direzioni che non nel fondo per le infrastrutture (es.: come si può far partire il countdown del silenzio assenso, se si attende ancora la riforma della fiscalità dei pilastri privati?).
 
L'ultima parte dell'articolo sviluppa considerazioni sui costi di smobilizzo del TFR, distinguendo le medie-grandi imprese (più di 50 addetti) dalle piccole (da 10 a 49) e dalle micro (meno di 10).
 
Per quanto riguarda le medie-grandi imprese, è vero che nei primi anni di smobilizzo le attuali agevolazioni farebbero emergere addirittura un guadagno (3), ma a nostro avviso enunciare così questo risultato è fuorviante: è errato valutare il guadagno nell'immediato (nel "breve-medio termine"), perché i calcoli sull'adeguatezza delle compensazioni devono essere complessivi, cioè riferirsi a tutta la durata del rapporto di lavoro (i confronti devono avvenire sulle medie finanziarie). Se così si procede, guadagni possono emergere soltanto in alcuni scenari con carriera (presso uno stesso datore) non superiore a 5 anni e per ammontari dell'ordine di centesimi di punto percentuale di retribuzione annua lorda. Certo non tali da farne un ennesimo "pomo della discordia" a discapito del destino della previdenza privata.
 
Ma a prescindere da quest'ultima osservazione, a nostro giudizio il dibattito dovrebbe tentare di guardare oltre l'attuale impostazione delle compensazioni. Se si esclude l'esonero dal versamento al fondo di garanzia del TFR (nella misura in cui lo stesso TFR va ad esaurimento), le altre due voci previste non hanno piena valenza strutturale (4): non l'esonero dai contributi alla Gestione prestazioni temporanee dei lavoratori dipendenti (GPT) dell'INPS, che eroga proprio quelle prestazioni assicurative-assistenziali che anzi andrebbero rafforzate e svincolate dal rapporto di lavoro (estese alla cittadinanza); non la deducibilità aggiuntiva ai fini IRES-IRAP, che rimanda all'extrema-ratio della fiscalità generale rinunciando a creare un nuovo equilibrio tra le funzioni di competenza del pubblico e le risorse a loro finanziamento. Ci si riferisce, in particolare, all'equilibrio nascente dalla trasformazione multipilastro del sistema pensionistico, che dovrebbe permettere di spostare risorse pubbliche dalle pensioni alle altre voci di welfare, più che compensando la riduzione del tasso di sostituzione delle pensioni pubbliche con l'apporto dei pilastri privati (è la ratio stessa della diversificazione tra pilastri). E' alla luce di queste considerazioni che abbiamo avanzato la proposta di sostituire le attuali compensazioni con una riduzione dei contributi previdenziali a carico del datore per ciascuno dei dipendenti che smobilizzerà il TFR verso la previdenza privata, e con effetto sull'ammontare della pensione pubblica (5).
 
Per quanto riguarda le micro e le piccole imprese, non ci siamo "dimenticati" di loro; sono una troppo importante realtà nel contesto italiano. Abbiamo prospettato una soluzione concreta per permettere loro un adeguamento graduale, senza strappi e senza creare improvvise condizioni di potere di mercato agli intermediari bancari e finanziari: in aggiunta alla compensazione tramite decontribuzione previdenziale (la proposta precedente), un periodo di transizione di 5-7 anni, durante il quale (a richiesta del lavoratore) sono smobilizzabili percentuali massime crescenti dei flussi di TFR (ad esempio: dal 20 al 100 per cento in 5 anni, oppure dal 14 al 100 per cento in 7 anni).
 
In aggiunta, abbiamo proposto anche la possibilità di escludere dallo smobilizzo, solo per le micro e piccole imprese, i dipendenti al di sopra di una certa anzianità di contribuzione al pilastro pubblico, che sono quelli per più anni rientranti nel vecchio generoso sistema di calcolo retributivo e, quindi, meno bisognosi di avviare programmi di risparmio previdenziale privati. Una proposta che mette al riparo da "sottrazioni improvvise" di liquidità che potrebbero creare squilibri di gestione. Se una soluzione del genere fosse stata inaugurata 15 anni fa, quando si è entrati nel vivo del dibattito sulla previdenza integrativa, la transizione avrebbe potuto essere anche più lunga e molto più graduale. Non si dovrebbe perdere altro tempo prezioso.
 
Per converso, il fondo di garanzia pubblico per l'accesso al prestito bancario (misura ad hoc reiterata dal nuovo governo per le micro-piccole imprese, sia pure in forma diversa), oltre che complicato e costoso, non è strutturale, è a termine ed è irresponsabile avviarlo senza domandarsi che cosa accadrà dopo (6). Come si può annunciare l'anticipo al 2007 dell'avvio della previdenza complementare, se la destinazione dei flussi di TFR a programmi di investimento di lungo termine rimane assoggettata a quest'alea? E' rinunciando a condurre con questo rigore la riforma che ci si "dimentica" dei tanti lavoratori (oltre il 50 per cento) impiegati presso le micro-piccole imprese.
 
Il TFR non è sempre esistito, né si può accettare che il tessuto industriale italiano sia fondato sul TFR e il suo futuro strettamente correlato al destino del TFR. E' "metodologicamente" sbagliato considerarlo una componente imprescindibile del sistema imprenditoriale italiano o, peggio ancora, un irrinunciabile strumento per garantire la qualità dei processi (nelle micro-piccole imprese) o l'innovazione (nelle medie e nelle grandi). E sia chiaro: la nostra non è una posizione contraria al modello di sviluppo italiano o contraria alle micro-piccole imprese. Stiamo unicamente sostenendo che un modello di sviluppo incentrato sulle micro-piccole imprese dovrebbe essere un risultato spontaneo, e non frutto di un ambiente normativo e regolatorio che crea per loro "artificiose" convenienze o le "immunizza" dai cambiamenti che da sempre si succedono nel sistema economico-sociale. Il rischio, se così si procede, è quello di chiudersi in una difesa acritica e "Roussouiana" dei modelli atavici e tradizionali, scaricandone i costi su altre parti del sistema economico-sociale e su altri soggetti (come i lavoratori giovani nel cui interesse la previdenza privata deve potersi sviluppare).
 
La nostra proposta per le micro imprese rimane valida sia che si consideri il monte medio annuale degli accantonamenti TFR calcolato su tutte le micro imprese industriali e dei servizi (680 euro (7)), sia che si consideri il monte medio annuale di 2.700 euro che Bardazzi e Pazienza calcolano escludendo le micro imprese che non impiegano lavoratori coperti da TFR, cioè escludendo circa il 70 per cento di quelle censite nella classe dimensionale. Dal nostro punto di vista, l'ordine di grandezza del fenomeno non cambia (cfr. infra in termini percentuali di fatturato e di retribuzione annua lorda) e, come già abbiamo riportato su La Voce in risposta ad un commento pervenuto, anche di fronte a valori più alti l'unica soluzione percorribile continuerebbe a risiedere nella trasparenza e nella certezza di un periodo di transizione.
 
Sarebbe interessante/utile verificare in dettaglio l'incidenza sul fatturato. Nella media complessiva (l'analisi di CERM) l'incidenza del monte medio accantonamenti sul fatturato medio è di 0,38 per cento per le micro imprese e di 0,71 per le piccole. Se, per replicare in via approssimativa le computazioni di Bardazzi e Pazienza, si considera un monte medio presso le micro imprese di 2.700 euro e lo si rapporta ad un fatturato medio calcolato come rapporto tra il 30 per cento del fatturato della classe dimensionale micro e il 30 per cento della numerosità della stessa classe, l'incidenza diviene pari a circa l'1,5 per cento.
 
Anche considerando scenari "sfavorevoli", in cui al 30 per cento delle micro imprese corrispondano quote del fatturato della classe dimensionale inferiori al 30 per cento, le incidenze rimangono contenute: per esempio, il 4,5 per cento se si ipotizza che il 30 per cento delle imprese produca solo il 10 per cento del fatturato complessivo della classe dimensionale. Ma quest'ultimo è presumibilmente un upper bound, dal momento che è probabile (ma siamo pronti ad essere smentiti dai dati) che imprese con lavoratori strutturati abbiano in media un fatturato maggiore delle imprese che non li impiegano e, di conseguenza, che il 30 per cento delle micro imprese interessate dallo smobilizzo del TFR conti per più del 30 per cento del fatturato della corrispondente classe dimensionale. Se così non fosse, anche una incidenza del 4,5 per cento non può rappresentare di per sé un fattore ostativo, soprattutto se lo smobilizzo del TFR è accompagnato dalle due proposte sopra descritte.
 
Ma più che l'incidenza dell'accantonamento annuale medio sul fatturato medio (non è un dato di costo), si devono considerare i valori dei costi della sostituzione del TFR. Ai livelli correnti di tasso di interesse bancario e lunghezza della vita lavorativa presso uno stesso datore, il costo di integrale smobilizzo del TFR, al netto della sola deducibilità ordinaria IRES, è inferiore a mezzo punto percentuale di retribuzione annua lorda. Nello scenario più sfavorevole, con carriera di 10 anni e tasso del 10 per cento, il costo arriva a toccare l'1,7 per cento (8). Ordini di grandezza che permettono di giudicare realistiche le due proposte prima descritte: la compensazione tramite decontribuzione al pilastro pubblico (un prudente avvio di opting-out) con l'aggiunta, per le micro e piccole imprese, della fase di transizione e della possibile esclusione dei lavoratori anziani. Lo scenario sfavorevole è tale da ricomprendere la più ampia casistica banca-impresa, ivi inclusa quella riguardante le micro e piccole imprese. A tale proposito, sono determinanti i dati di fonte Banca d'Italia, Capitalia e ISAE-ANBP, che "ridimensionano lo spettro del razionamento (forte)" e permettono di fare riferimento al valore di costo massimo che l'impresa sopporterebbe se l'accesso al credito fosse particolarmente costoso ma comunque fattibile.  
 
Riteniamo che l'oggettività dell'analisi e anche la capacità degli economisti di proporre soluzioni concrete e percorribili (bilancianti la pluralità di interessi che per forza di cose ruotano attorno alle riforme) siano tra gli aspetti che concorrono a creare il "coraggio" del  policy maker e di tutti gli operatori direttamente e indirettamente coinvolti dal cambiamento. Vorremmo, quindi, lanciare un invito a valutare più attentamente le proposte presentate, che non sottovalutano gli interessi delle imprese che smobilizzano il TFR e in particolare quelli delle micro-piccole.
 
Alle due proposte presentate, infine, vorremmo aggiungerne un'altra, più generale ma proprio per questo più importante per la salvaguardia e la promozione del tessuto imprenditoriale italiano: proseguire/avviare speditamente tutte quelle riforme strutturali in grado di migliorare i vincoli di bilancio delle imprese incidendo sull'efficienza e sulla qualità dell'"ambiente" in cui esse operano. Riforme pro-concorrenziali e modernizzatrici (9) che permettono un accesso più agevole ai fattori produttivi sono strumenti capaci di dischiudere potenzialità molto più ampie e durature della "corta coperta" del TFR.
 
In conclusione, confermiamo quanto già detto in numerosi altri contributi, e cioè che a nostro avviso:
- è necessario adottare un approccio meno "paternalistico" allo smobilizzo del TFR;
- è opportuno adottare una visione più ampia delle riforme, in modo tale da non porre in falso contrasto gli interessi dei lavoratori con quelli dei datori di lavoro.
 
Ci scusiamo per la lunghezza di questa replica, ma ci è sembrato importante raccogliere il contraddittorio per fare chiarezza. I vantaggi della circolazione dei dati, delle elaborazioni e delle proposte sono evidenti, e lo dimostra anche il fatto che grazie ai lavori sviluppati di recente lo smobilizzo del TFR per le micro-piccole imprese venga trattato come meritevole di attenzione e precauzione ma anche come "nulla di allarmante". Solo qualche tempo fa, le posizioni erano molto più confuse e forse troppo "politiche".
 
Ci auguriamo che questa nostra replica venga ricevuta con spirito costruttivo e possa stimolare riflessioni sulle proposte che abbiamo avanzato. Grazie.

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Note
(1) Il problema è stabilire "non convenienti per chi?", dal momento che la funzione di utilità del policy maker è particolare, e spesso pondera in maniera eccessiva i vantaggi di breve periodo scontando troppo gli svantaggi di lungo. Cfr. "Che cosa resta della riforma delle pensioni e del TFR?" su www.cermlab.it.
(2) Sul punto cfr. Nota CERM n. 5/04, "Incentivazione della previdenza privata e contenimento della tax expenditure".
(3) Cfr. Nota CERM n. 2/06, "Le imprese e il finanziamento del pilastro previdenziale privato"; Quaderno CERM n. 1/06, "La nuova fiscalità della previdenza complementare per il lavoratore, l'impresa, l'Erario". Entrambi i lavori sono divenuti pubblicazioni di MEFOP - Società per lo sviluppo dei pilastri privati.
(4) Cfr. "Cuneo fiscale, riforma delle pensioni, smobilizzo del TFR e compensazioni alle imprese - Quattro 'ingredienti' e nove proposte", su www.cermlab.it. In realtà, problemi di strutturalità esistono anche per l'esonero dal contributo al fondo di garanzia del TFR. Il fondo di garanzia ha sinora tutelato anche contro il rischio che il datore di lavoro non onorasse altri crediti del lavoratore diversi dal capitale del TFR: una estensione delle funzioni del fondo di garanzia avvenuta nel 1992 e finanziata annualmente con un contributo a carico del datore pari allo 0,05% della retribuzione annua lorda. Il recente accordo governo-Confindustria-sindacati (23 Ottobre u.s.), per potenziare le agevolazioni alle imprese che perdono gli accantonamenti, ha esteso l'esonero contributivo anche a questo 0,05%. Con ciò ha, a nostro avviso, indebolito la strutturalità di questa agevolazione, perché ha sottratto risorse ad una finalità che rimarrà viva, senza individuare fonti di finanziamento sostitutive.
(5) Oltre al documento di cui alla precedente nota, cfr. Quaderno CERM n. 4/05, "Opting-out previdenziale, smobilizzo del TFR e basi strutturali per il pilastro privato". Cfr. anche "Per quanto tempo ancora parleremo di TFR?", su www.lavoce.info.
(6) Cfr. "La previdenza complementare dopo l'accordo di programma Governo-Confindustria-Sindacati", su www.cermlab.it .
(7) Non un errore, dal momento che l'intestazione della tavola inserita nell'articolo pubblicato su La Voce è chiara e trasparente: si tratta di una media calcolata su tutte le imprese industriali e dei servizi, una media complessiva.
Inoltre, a maggior  chiarezza, si è scelto di accompagnare la presentazione dei dati ISTAT (vedi) con le definizioni  dell'ISTAT per ciascuna variabile riportata; alla voce "impresa" si legge inequivocabilmente che essa raggruppa anche imprese individuali, lavoratori autonomi, liberi professionisti e altri soggetti che non necessariamente impiegano lavoro dipendente. Piuttosto, rincresce che, proprio nel momento in cui si indica un errore, se ne commetta un altro, citando 600 Euro al posto di 680 Euro.
(8) Cfr. vari lavori on-line su www.cermlab.it, riportanti stime del costo di smobilizzo.
(9) Nelle grandi utilities, nei servizi pubblici locali, nel sistema bancario e finanziario, nella Pubblica Amministrazione. Di grande importante anche la riforma del sistema giudiziario (cfr. "Se la Giustizia aiuta le imprese", di Bianco e Giacomelli su www.lavoce.info) e quella del diritto societario (cfr. "Di padre in figlio: un passaggio problematico" di Sciandra, riferito in particolare alle micro e piccole imprese e anch'esso su www.lavoce.info).
Lunedì, 4. Dicembre 2006
 

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