Sette giorni per una svolta

L'ultima settimana è stata densa di avvenimenti di grande importanza. Le primarie hanno dato una sterzata ai rapporti nel centro sinistra e mostrato che gli elettori sono cambiati. E' stata approvata la riforma che stravolge la Costituzione. E Fazio ha dimostrato ancora una volta che non può rimanere dov'è
Potremmo definirli “i sette giorni che sconvolsero…” beh, non il mondo, non esageriamo, ma parecchie cose sì. Nell’ultima settimana ci sono state le primarie del centro sinistra, l’approvazione della riforma che sconvolge la nostra Costituzione e l’audizione di Antonio Fazio sulla Finanziaria con l’abbandono dell’aula da parte dei parlamentari dell’Unione.

Le primarie, con il loro successo talmente clamoroso da essere imprevisto e imprevedibile, hanno dato un segnale politico (la voglia di partecipazione, la leadership di Prodi) che è già stato abbondantemente analizzato. Ma anche un segnale di sociologia politica che merita invece di essere sottolineato.

Quando nel centro sinistra si è cominciato a parlare di lista unica, Federazione o addirittura partito unico, insomma della creazione di un nuovo e unitario soggetto politico, chi ha un po’ di memoria della storia elettorale del dopoguerra non ha potuto nascondersi qualche perplessità. Le unioni di partiti, nel passato, hanno sempre preso meno voti di quanti ne avessero avuti in precedenza i singoli componenti. Il progetto poi è stato affossato per ragioni meno “scientifiche”, su cui è inutile soffermarsi, e sembrava definitivamente tramontato. Le primarie lo hanno rilanciato, tra i sorrisi a denti stretti di qualcuno.
 
Le interpretazioni dei fenomeni sociali sono sempre problematiche, ma l’altissima partecipazione e il plebiscito per Prodi, che pure non è un leader carismatico, fanno pensare che la regola del passato possa essere non più valida oggi. I partiti per i quali c’era un forte senso di appartenenza, una identificazione ideale con una cultura e con un progetto, oggi non esistono più. Anche la politica si è secolarizzata e la logica dei due schieramenti contrapposti è probabilmente penetrata nelle coscienze degli elettori più di quanto i politici (ma anche la gran parte degli osservatori) pensassero. Gli elettori non votano più per la croce o per il sol dell’avvenire, si dividono tra chi vuole una società più competitiva e individualistica e chi preferisce una maggiore solidarietà sociale.

Il segno che questa indicazione è stata colta dai leader del centro sinistra è la quasi immediata riconversione verso la lista unica per la Camera: un primo passo, ma un passo importante. Ma c’è un modo per vanificare questo passo e perdersi di nuovo in discussioni che potrebbero rendere più difficile una vittoria elettorale che, come più volte è stato scritto su E&L, sarebbe un grave errore dare per scontata: mettersi a discettare se ci si debba fermare alla lista unica o procedere verso il partito unico, e che tipo di partito, socialdemocratico, kennediano, o chissà che altro. Ci sarà tempo per queste discussioni, che d’altra parte molto tempo richiedono. Ora l’importante è presentarsi agli elettori dando loro quello che hanno mostrato di volere: uno schieramento unitario con un programma di risanamento economico e di solidarietà sociale. Accontentandosi del minimo comun denominatore e puntando si quello che unisce, e rinviando al dopo le discussioni su un ipotetico sviluppo.

La posta in gioco, d’altra parte, è troppo importante per metterla a rischio. Il Polo di Berlusconi ha partorito il peggiore governo che si ricordi e ora ha riscritto d’imperio tutta la parte della Costituzione che riguarda il funzionamento dello Stato. Avremo un sistema elettorale disegnato in base alle opportunità del momento, un capo del governo che aumenta a dismisura il suo potere, un federalismo poco sensato che potrà sortire effetti disastrosi sul piano economico e iniqui su quello sociale; ed è in arrivo, e probabilmente passerà, la legge “salva-Previti” con la sua ondata di prescrizioni per i più vari reati.

Infine, non si può ignorare l’audizione sulla Finanziaria del governatore Antonio Fazio davanti alle commissioni parlamentari. Su E&L sono apparsi interventi che giustamente stigmatizzavano le falsità con cui è stata condotta la campagna contro il governatore. Questo non significa, però, che possa essere esente da critiche e quello che ha detto ne giustifica parecchie e non leggere. Di fronte allo sfacelo della finanza pubblica, che azzererà quest’anno un saldo primario (entrate meno spese, al netto degli interessi sul debito) che era a ben il 6,7% nel 1997, come egli stesso ha ricordato, il governatore non trova di meglio che suggerire di tagliare pensioni e sanità. Ma fa di più: sostiene che è ottima cosa ridurre le imposte. E come si finanzierebbero queste riduzioni? Ma con la lotta all’evasione fiscale, cavallo di battaglia di tutti i governi che non sanno come trovare la copertura finanziaria per i loro provvedimenti.

Soprattutto, Fazio dà netta l’impressione di pagare i suoi conti, vendette o riconoscenza che siano. Riportiamo qui di seguito alcune affermazioni del governatore, facendole seguire, tra parentesi, da una interpretazione “in volgare”.

I conti del 2005 sono allo sfascio, il limite del 2% alla spesa pubblica non ha funzionato, le vendite di immobili previste sono state attuate solo per una parte risibile (E bravo Siniscalco, mi volevi far fuori? Eccoti sistemato).

“L’ulteriore programmata riduzione del carico fiscale rende possibile rafforzare la lotta all’evasione (…) Un’imposizione fiscale eccessivamente onerosa accresce gli incentivi all’evasione, amplia le dimensioni dell’economia irregolare (…) E’ urgente, e da tutti condivisa, la necessità di avviare un processo virtuoso di riduzione della fiscalità e di recupero di imponibili” (Grazie Silvio, di non aver infierito permettendomi di salvare la potrona. D’ora in poi appoggerò di più la tua politica).

La manovra nel complesso va bene: certo bisognerà rispettare gli obiettivi, ma ci sono molte cose condivisibili (E su, Tremonti, facciamo pace, staremo più tranquilli tutti e due).

“La realizzazione del decentramento territoriale (…) può contribuire all’indispensabile recupero di efficienza del settore pubblico” (Grazie Lega, per l’appoggio cieco e incondizionato).

Naturalmente, è anche possibile che Fazio sia convinto di quello che dice. Del resto le sue oscillazioni nei giudizi sulla politica economica del governo sono state più volte rilevate. Ma si può evitare il sospetto che quelle affermazioni siano state fatte pensando segretamente ciò che qui è stato messo in corsivo? Anche su questo piano, Fazio non è come dovrebbero essere la moglie di Cesare e il governatore della Banca d’Italia.
Domenica, 23. Ottobre 2005
 

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