Se il welfare aiuta l’economia

Alla presentazione del Rapporto sullo Stato sociale due proposte per far affluire più fondi al bilancio pubblico senza aumentare le tasse e per dirottare verso la Cassa Depositi e Prestiti soldi che oggi vanno all’estero, e che invece potrebbero essere impiegati in Italia. Fassina: l’Iva ricavata da 15 miliardi in più di rimborsi pubblici alle imprese consentirebbe un rinvio di sei mesi dell’aumento di un punto

Una soluzione-tampone per evitare l’aumento dell’Iva, altre due per far affluire più fondi al bilancio pubblico senza aumentare le tasse e per dirottare verso la Cassa Depositi e Prestiti soldi che oggi vanno all’estero, e che invece potrebbero essere impiegati in Italia. I convegni sono di solito il regno della teoria, ma da quello per la presentazione del Rapporto sullo Stato sociale (del Criss della Sapienza di Roma, curato da Felice Roberto Pizzuti, ed. Simone) sono venute invece indicazioni operative che riguardano i temi più attuali e scottanti del dibattito economico.

Sull’Iva, che al momento è uno dei punti di maggiore attrito tra le forze politiche e con il governo, l’idea è del vice ministro dell’Economia Stefano Fassina: “Si potrebbero aumentare di 15 miliardi i pagamenti dei debiti delle pubbliche amministrazioni verso le imprese, che sono comunque un atto dovuto”. Il risultato non sarebbe solo di dare un’ulteriore boccata d’ossigeno al mondo della produzione: “Su quei soldi – ha proseguito Fassina – le imprese pagherebbero l’Iva, e l’introito dovrebbe bastare a rinviare di almeno sei mesi l’aumento di un punto, avendo tempo così di predisporre la copertura strutturale che dovrebbe superare il problema”.

Le altre due proposte hanno a che fare con i Fondi pensione, che, nonostante riguardino solo un quarto dei potenziali aderenti, beneficiano di un flusso ragguardevole di denaro e hanno accumulato un importante stock di capitale. Come si legge nel Rapporto e come ha ricordato Massimo Mucchetti, presidente della commissione Industria del Senato, ai circa 500 Fondi di vario tipo oggi in attività arrivano ogni anno 12 miliardi, con una raccolta teorica che potrebbe superare i 40, e arriva a 100 miliardi il patrimonio accumulato. Questi soldi, però, vanno in massima parte a finanziare altre economie, visto che per il 70% sono investiti all’estero; il resto sono titoli di Stato e solo lo 0,8% è impiegato in azioni italiane. Un esito che non era imprevedibile (e che infatti avevamo a suo tempo previsto).

Una parte del flusso verso l’estero, ha osservato Mucchetti, potrebbe essere intercettata se la Cassa Depositi e Prestiti – ma anche altri grandi emittenti, sia pubblici che privati – offrisse emissioni a lunghissimo termine pensate su misura per le esigenze di questi strumenti previdenziali, magari legate alla realizzazione di particolari investimenti.

Ma la proposta destinata probabilmente a fare più rumore è la terza, quella di consentire che i versamenti aggiuntivi volontari del lavoratori possano andare non solo ai Fondi contrattuali e a quelli “aperti” (cioè gestiti da banche e assicurazioni), ma anche all’Inps. L’ente pubblico non avrebbe aggravi di costi, queste maggiori entrate sarebbero a tutti gli effetti entrate pubbliche e forse la garanzia di un gestore statale convincerebbe a orientarsi verso la previdenza integrativa molti che oggi non si fidano, a causa dei grandi scandali avvenuti all’estero (in Italia, per la verità, la disciplina è migliore e infatti finora li ha evitati) o di un generico sospetto verso i grandi gruppi finanziari. C’è da aggiungere che i costi dell’Inps sono minori rispetto alla media di quelli dei privati, e questo ha una incidenza notevole sul capitale che alla fine l’aderente potrà riscuotere. Ma anche tra i Fondi privati le differenze sono rilevanti: nella media i Fondi assicurativi, i più cari, costano oltre sette volte di più di quelli negoziali (su una permanenza di 35 anni) e questo implica un risultato che, a parità di rendimenti, sarebbe inferiore di oltre un terzo.

Questa proposta non è nuova, fu sostenuta da Pizzuti (e da pochi altri) già all’epoca dell’istituzione degli attuali Fondi pensione. Ovviamente incontrò un fuoco di sbarramento da parte di banche e assicurazioni, che certo non gradirebbero un concorrente come l’Inps, ma non meno ostacoli li ebbe dai sindacati, che degli attuali Fondi negoziali sono i co-gestori insieme alle organizzazioni datoriali. Oggi però la situazione è decisamente cambiata, e prendere quella strada costituirebbe una risposta ad alcuni dei problemi più difficili posti dalla crisi, tanto di finanza pubblica che di restrizioni nell’accesso al credito per i privati. E infatti la segretaria della Cgil Susanna Camusso, anche lei presente al convegno, non ha dato un appoggio entusiasta, ma nemmeno ha chiuso la porta com’era avvenuto fino a ieri. E mentre Mucchetti si è dichiarato esplicitamente favorevole all’ipotesi, le indiscrezioni affermano che anche alcuni membri chiave del governo la stiano valutando con favore, e anzi avrebbero affermato informalmente di essere decisi a metterla in discussione.

D’altronde l’ipotesi fatta nel Rapporto non può che essere invitante sia per chi ha responsabilità di governo, sia per chi si preoccupa del fatto che le pensioni del futuro saranno troppo magre. Immaginando che la possibilità di restare al riparo dagli sbalzi dei mercati finanziari convinca la metà di coloro che oggi non hanno previdenza complementare a destinare all’Inps un importo analogo a quello medio che versa chi oggi aderisce ai Fondi pensione, questo frutterebbe loro un 7% in più di pensione, mentre le entrate pubbliche aumenterebbero dell’1,4% del Pil. “In un sol colpo – afferma il Rapporto – aumenterebbe la copertura pensionistica e migliorerebbe il bilancio pubblico”.

Venerdì, 14. Giugno 2013
 

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