Sacconi, gli straordinari e l’ideologia

Da una recente indagine della Banca d'Italia è risultato che un certo numero di imprese prevede una riduzione dell'occupazione nel 2008 in conseguenza del provvedimento di detassazione degli straordinari. Il ministro del Lavoro si è molto innervosito, ha contestato i risultati e ha detto che comunque serve più flessibilità per aumentare la produttività. Peccato che "quel" tipo di produttività non sia ciò che serve

Qualche giorno fa i giornali riportavano dei risultati del “Sondaggio congiunturale sulle imprese industriali e dei servizi”, che viene regolarmente effettuato dagli economisti della  Banca d’Italia. L’indagine si riferisce al periodo settembre-ottobre; risulta che il 60% delle imprese ritiene che nel 2008 i livelli occupazionali rimarranno invariati rispetto all’anno precedente, il 20,8% prevede una diminuzione mentre il 19,2% prevede un aumento.

 

La cosa di per sé non sorprende; ma c’è un’altra informazione più interessante, che ha creato una reazione stizzita da parte del ministro Maurizio Sacconi. Risulta infatti che il 27% delle imprese che hanno parlato di diminuzione dichiarano che ciò è dovuto alla detassazione degli straordinari, decisa dal governo per la seconda metà di quest’anno. Il 27% del 20,8% è pari al 5,616%; diciamo che poco meno del 6% delle imprese intervistate ha indicato nel provvedimento governativo la ragione del previsto calo dell’occupazione. Certo, il campione non è l’universo delle imprese, ma gli esperti della Banca sanno costruire campioni attendibili.

 

Il ministro del Lavoro ha dichiarato che “è ben ridicolo dare valore scientifico alla percezione degli intervistati che hanno comunque risposto ad una domanda ideologica senza controprova, tanto più in una fase già critica dell’economia e delle attese che richiede flessibilità organizzativa e maggiore produttività”. Le affermazioni di Sacconi possono essere scomposte in tre parti:

a)     Le percezioni non hanno valore scientifico

b)     La domanda è ideologica

c)      La fase critica richiede maggiore produttività

Sul punto a) vi è una letteratura scientifica di proporzioni tali che Sacconi neppure si immagina; diciamo che se si fanno domande del tipo: “sei felice?” bisogna stare particolarmente attenti, ma se si chiede agli imprenditori come andrà l’occupazione (o le vendite, o gli investimenti) rispetto all’anno scorso (e glielo si chiede nella seconda metà dell’anno), allora non si tratta di percezioni, ma di previsioni attendibili.

 

Per quanto riguarda il punto b) non è facile capire cosa il ministro intenda per domanda ideologica; secondo lo Zanichelli l’ideologo (in senso spregiativo) è colui che “si dedica ad astrazioni inconcludenti in campo politico, culturale, religioso e sim.” Non sembra proprio il nostro caso; la domanda è molto precisa, e la controprova si potrà avere ex post alla fine del 2008.

 

Il punto c) è in effetti il più interessante, perché rivela che Sacconi avrebbe dovuto dichiararsi contento della rilevazione di Bankitalia. Se infatti le imprese devono essere flessibili e se la produttività per addetto deve aumentare, allora le misure come la detassazione degli straordinari servono proprio allo scopo. Certo, portano ad un aumento della disoccupazione; ma, avrebbe potuto dire il ministro, se si riduce il costo del lavoro per unità di prodotto si rende il paese più competitivo, in modo che, prima o poi, l’occupazione riprenderà a crescere.

 

Del resto, nella stessa pagina del Sole 24 Ore del 8-11, l’altro ministro Renato Brunetta, in un articolo intitolato “Più produttività per ripartire”, inneggiava alla misura di detassazione, mentre “alcuni invocano un non precisato sostegno alle famiglie ed alle imprese” ed “altri si appellano ad una tradizionale politica anticiclica attraverso lo strumento fiscale”. La politica economica del governo sembra dunque puntare su un aumento della produttività ottenuta con un aumento delle ore di lavoro medie per addetto, che favoriscano la competitività e le esportazioni; contando però che gli Stati Uniti, l’Europa e l’Asia effettuino loro delle politiche keynesiane di rilancio della domanda, dato che se gli altri dovessero seguire le ricette del nostro governo la crisi economica si avviterebbe su se stessa.

La domanda che però vale la pena di fare, in conclusione, è se quella che conta davvero è la produttività per addetto o non piuttosto quella per ora lavorata, la quale aumenta attraverso le innovazioni di prodotto o di processo; è questo il punto debole dell’economia italiana da oltre una decina di anni, e se è così, la strategia del governo risulterà fallimentare.
Mercoledì, 19. Novembre 2008
 

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