Riforma fiscale, un tuffo nel passato

Di progetti simili a quello annunciato da Tremonti si discusse accanitamente tra gli anni ’30 e ’50 del secolo scorso, per concludere che a economie complesse non si possono applicare sistemi tributari semplici. Ma se fosse realizzato l’effetto sarebbe quello di aumentare ancora l’accentramento della ricchezza, che in Italia è già elevatissimo

Il discorso programmatico del presidente del Consiglio, che ripresenta dopo quasi vent'anni lo stesso progetto di riforma fiscale del 1994, sa di minestra riscaldata e presenta i sapori meno gradevoli di una ribollita mal cucinata. Basti pensare che da allora sono entrati nel novero degli aventi diritto al voto alcuni milioni di italiani che allora si muovevano con il girello, mentre altrettanti – ci auguriamo per loro – sono assurti alle beatitudini celesti. Le critiche al progetto sono piovute da molte parti e, ovviamente, ricalcano quelle formulate un paio di decenni orsono (cfr. le tabelle ed i commenti su L'Unità del 23 giugno alle pag. 14  e 15 e La Repubblica dello stesso giorno). Per la verità, come sanno anche i minzolinidi, non si tratta affatto di una riforma fiscale, ma dell'annuncio di una legge delega che, in un arco temporale indefinito e tramite una serie di decreti delegati da formulare, dovrebbe sfociare in un nuovo assetto tributario. E' dunque un "effetto annuncio", la cui ipotetica efficacia si è spinta per la ripetitività nell'arco di alcuni decenni. Le imprese, i dipendenti, i pensionati si attendevano forse qualche provvedimento tempestivo e non l'ennesima fiction di Don Matteo o, meglio, di "Provaci ancora, Prof" dove Prof indica il nuovo divo Giulio.

    

Vorremmo comunque esaminare la "ratio" dell'ipotetico provvedimento, sottolineandone le incongruenze rispetto alle esigenze congiunturali e strutturali del Paese, ma soprattutto per criticare la tesi di fondo a cui si ispira, evidenziandone la incompatibilità con i principi della Carta Costituzionale e della filosofia dei partiti o  movimenti detti progressisti. Ragion per cui certe strizzate d'occhio del Pd alla presunta riduzione delle aliquote ci appaiono quanto meno intempestive.

 

In primo luogo occorre notare che né nel discorso del presidente del Consiglio né nelle linee-guida della riforma fiscale viene mai esplicitato il problema di fondo delle economie contemporanee, su cui mi sono molte volte soffermato, e cioè l'anomala concentrazione dei redditi, che tocca un picco nel nostro Paese. Si può dire soltanto che il fenomeno, pur sottaciuto, viene implicitamente affrontato quando si ipotizza di compensare la riduzione delle aliquote Irpef con un aumento dell'Iva sui beni di lusso o della tassazione sulle rendite finanziarie (mutuando in parte proposte del Pd). E' evidente che, come ho rilevato in precedenti articoli, il problema etico sussiste anche se ricchi e poveri sono pochi e il ceto medio numeroso: ma le soluzioni socio-economiche sono più facili. Tutti sanno però, dai dati Bankitalia e Istat, che il caso italiano è esattamente l'opposto: a fronte di un numeroso ceto parassitario ad alto reddito e a sacche di povertà, il ceto medio sta scivolando verso il basso.

 

Ci interessa, comunque, soffermarci su due aspetti che caratterizzano il pensiero tremontiano, a cui la potenziale riforma dovrebbe ispirarsi: la riduzione a cinque dei tipi di imposta e a tre delle aliquote. Come ho altre volte osservato, è singolare il fatto che questo tributarista prestato alla politica, a cui per lunghi anni è stato affidato il governo dell'economia italiana, abbia una particolare inclinazione ad immergersi nel passato. Per il passaggio della tassazione dalle persone alle cose (peraltro immediatamente contestato dal ministro Paolo Romani e dal presidente della Confcommercio Carlo Sangalli) avevamo ricordato la riforma di Diocleziano ed i sistemi medievali; restiamo dunque in attesa di un balzo intellettuale nel neolitico.

    

Ma anche la mitologia della riduzione del numero di imposte ricorda un vivace dibattito scientifico che si accese negli anni '30 e fu ripreso negli anni '50, coinvolgendo studiosi di fama mondiale, sul tema dell'imposta unica. Sembrava l'uovo di Colombo: che, però - come è noto - se non è sodo si rompe. Il dibattito si estinse sotto la raffica delle argomentazioni dei tributaristi e degli strutturalisti, i quali sostenevano che sistemi economici complessi richiedono, per il perseguimento razionale degli obiettivi di politica fiscale, sistemi tributari altrettanto complessi. E' un problema di logica formale: ritenere che esistano soluzioni semplici a problemi complessi è un assioma alla Bertoldo.

 

Ma dove la scelta risulta antistorica e antisociale è proprio nella riduzione delle aliquote a solo tre. A partire dalla seconda metà dell'800 si fece strada il concetto che l'utilità che un percettore di reddito o un consumatore ricavava da dosi addizionali di reddito o di beni decresceva all'accrescersi delle quantità. Non tedieremo il lettore con la frusta ripetizione delle tesi marginalistiche. Basterà l'elementare constatazione che costa di più ad una famiglia di impiegati in termini di ore lavorate o di rinuncia ad altri bisogni una settimana di vacanza a Riccione di quanto costi ai pochi noti e ai molti ignoti ad altissimo reddito un mese in Costa Smeralda. Orbene: i tre punti di riduzione della prima aliquota (cfr. tabelle citate) comportano un risparmio di 450 euro per un imponibile di 15.000 euro l'anno - e, paradossalmente, meno per i redditi medi - mentre i tre punti di riduzione dell'aliquota massima sul reddito dichiarato da Silvio Berlusconi (40 milioni annui, se fosse soggetto all'Irpef) equivarrebbero a un milione duecentomila euro, e cioè al risparmio di imposta totale per una cittadina di 12.000 abitanti. Occorre inoltre ricordare che negli ultimi anni il fiscal drag ha già assorbito oltre la metà dello sgravio (1,75%).

 

Ne discendono due conclusioni. La prima che l'aliquota massima dovrebbe essere alta, anche se limitata dall'eventuale mobilità della ricchezza (ma potrebbe raggiungere i livelli francesi o svedesi); la seconda, che il sistema che più fedelmente rispecchia il dettato costituzionale della capacità contributiva è quello dell'aliquota "continua", che risulta da una formula matematica. La soluzione semplificata degli scaglioni è più pratica; comunque le aliquote dovrebbero essere numerose e appiattite verso il basso e non verso l'alto. Qualunque automobilista conosce i vantaggi del cambio automatico con variazione continua delle marce.

    

Le probabilità che questa riforma veda la luce sono scarse. Sembra comunque che si ignori o sottovaluti il problema dello sviluppo e dell'occupazione collegato all'insufficienza della domanda interna. La favola del costo zero e della riduzione dei 160 miliardi di incentivi appartiene al mondo dei Puffi. Frattanto il trasferimento degli accertamenti da Equitalia ai Comuni privi di risorse organizzative spiana la strada ad una bella ondata di nuove evasioni.

    

I più recenti fuochi di artificio riservano qualche sorpresa: il barzellettiere supera se stesso, annunciando una "manovrina prodromica" a cui seguirà un'altra "a posteriori" (honny soit qui mal y pense). Dal canto suo Tremonti lascia filtrare la notizia di una severa legge di "tagli alla politica", da attuare però a babbo morto, e cioè per la prossima legislatura, quando forse molti Scilipoti saranno caduti sul campo non proprio dell'onore.

 

Post-scriptum

 
Sull'assenza di una spending review che assicurasse alla manovra finanziaria in discussione alle Camere una struttura qualitativa non classista è stato detto molto, da esperti di diversa estrazione. Il punto cruciale, però, che la speculazione internazionale si accinge a punire consiste nel fatto che il cronoprogramma della manovra, per scelta squisitamente politica, è del tutto sbagliato e la renderà più pesante di quanto necessario. Può essere interessante spiegare questa tesi con un esempio tratto dall'ottica. Supponiamo di dover proiettare su una parete una striscia luminosa la cui lunghezza rappresenti la misura del disavanzo di bilancio da ripianare. Se il proiettore sarà collocato ad una certa distanza occorrerà un angolo di apertura molto minore di quello necessario man mano che ci si avvicina alla parete. Tenendo chiuso l'obiettivo alle distanze maggiori dovremo spalancarlo quando siamo molto vicini. La manovra di cui si discute, con tagli che, essendo strutturali si sommano di anno in anno, comporterebbe, negli ultimi 24 mesi, una sciabolata di ben oltre 51 miliardi, e cioè 3 punti di Pil, mentre avrebbe potuto essere spalmata a 12 miliardi l'anno o poco più per 4 anni. La speculazione internazionale ritiene  che l'accelerazione finale sia o improbabile o pesantemente recessiva.
Lunedì, 27. Giugno 2011
 

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