Riforma del lavoro, il piatto piange

Mentre la recessione avanza su scala mondiale e la Ue continua a insistere con le sue ricette insensate, che il governo Monti applica anche in Italia, ci si impegna in un dibattito surreale che invece di affrontare i problemi di come migliorare la produttività e creare nuovi posti si concentra su come aumentare la flessibilità senza però impegnare risorse per gli ammortizzatori sociali

La recessione avanza su scala mondiale: gli ultimi dati confermano le previsioni formulate mesi or sono. Rallentano i BRICS; la Cina rischia una brusca frenata se esplode la bomba immobiliare; l'Europa è in recessione da tre trimestri, con l'eccezione di Francia e Germania che, peraltro, non svettano con i loro 0,7 o 1%. Almeno sino a metà anno, l'Italia registrerà una contrazione dell'1,3% del Pil.

 

Tutti i grandi economisti mondiali non si sono stancati di ripetere fino alla noia le cause della grande recessione. Benché repetita non iuvant di fronte all'ottusa ortodossia dei modelli prevalenti nella Ue, internamente coesi ma lontani dalla realtà, ricorderemo ancora una volta i punti cardinali di queste analisi. Cessato l'effetto narcotizzante della finanza creativa il gap di domanda globale generato dalla concentrazione dei redditi negli strati sociali superiori è venuto allo scoperto. Potrebbe accadere anche in Cina, pure se nelle fasi iniziali dello slancio del regime capital-comunista centinaia di milioni di persone siano entrate nell'area dei consumi di massa. Il fenomeno di relativo pauperismo dei ceti medio-bassi accompagnato da una persistente dinamica dei consumi di lusso per ceti elevati o parassitari, con conseguente diminuzione della domanda complessiva, è particolarmente accentuato nel nostro Paese secondo le rilevazioni della Banca d'Italia e dell'Istat.

    

Alcuni politologi ritengono queste tendenze economiche correlate alla presenza di governi di destra in Europa e in generale in Occidente. Questa semplificazione ha elementi di verità, ma non può essere accettata senza approfondimenti critici: la storia non si interpreta con il copia e incolla.

 

Resta la constatazione che i sistemi produttivi tendono a collassare di fronte a una domanda globale decrescente. Quanto più il fenomeno si estende a vari Paesi e a vaste aree, tanto più intacca quella dinamica delle esportazioni che in qualche caso aveva bilanciato l'impoverimento del mercato interno. Di fronte a questa situazione, come ha reagito in prima battuta la politica economica italiana, sotto la sferza del duo Merkel-Sarkozy ma in coerenza con quel modello supply side che sembra per ora costituire la piattaforma concettuale dell'attuale presidente del Consiglio? Innanzi tutto per frenare la corsa verso il baratro ha colpito duramente i fattori principali della domanda globale e più in particolare i ceti medio-bassi. Le ventilate ipotesi di patrimoniali o di aumento della progressività delle aliquote superiori sono state rapidamente accantonate. La reintroduzione dell'imposta sulla prima casa, l'aumento dei prezzi dei beni primari attraverso l'incremeno dell'Iva hanno contribuito ad accelerare quel calo dei consumi interni già in atto. La stessa riforma pensionistica che in un contesto di piena occupazione avrebbe accresciuto il reddito disponibile, perchè i salari sono maggiori delle pensioni, ha introdotto elementi di minore equità sociale, perché, a diversità del sistema precedente, il  metodo contributivo non prevede perequazioni fra pensioni alte e basse.

 

In questa situazione di grave carenza di domanda interna, accresciuta dalle manovre di bilancio, di che cosa si stanno occupando in dibattiti, incontri, dichiarazioni più o meno estemporanee, i partiti politici, i ministri tecnici, i sindacati, i giornali , le televisioni, gli opinionisti? Di modificare radicalmente la struttura dell'offerta.... La flebile voce dell'on. Bersani, che invoca la creazione di "un po' di lavoro" (tradotto dal politichese significa stimoli alla domanda globale) sembra proprio quella di uno che grida nel deserto....

    

Si sta rappresentando di fronte a un'opinione pubblica ancora stupefatta dal passaggio da un ceto politico che mangiava con le mani ad un gruppo di ministri in chicchere e piattini una vera e propria commedia degli equivoci. Il maggiore - e fondamentale - è quello sin qui evidenziato. Ma ve ne sono altri, pur minori, ma non meno palesi.

 

In primo luogo l'idea di ridurre il precariato stabilendo percorsi che si concludano con l'assunzione a tempo indeterminato è certamente corretta. Significa ritornare alla filosofia che ispirò, a suo tempo, l'allora ridotta tipologia dei contratti a termine, poi snaturata in malafede cammin facendo. Ma il percorso immaginato non può non comportare aumenti salariali e accresciuti costi del lavoro per le imprese, non fosse altro che per poter garantire quel meccanismo contributivo senza il quale un'intera generazione di giovani, proprio per l'applicazione dei criteri pensionistici introdotti con rapidità napoleonica da questo governo, sarebbe condannata a passare la propria vecchiaia negli slums di Calcutta. In assenza di un balzo tecnologico o di una ripresa della domanda soprattutto il mondo delle imprese minori e dei servizi ha fiutato il rischio e non a caso recalcitra di fronte a queste proposte.

 

Nessuno ha sinora messo in luce - neppure i sindacati -  un aspetto importante e cioè quello del peso relativamente esiguo del costo del lavoro nei settori più dinamici dell'apparato produttivo del Paese: quelli destinati a trainare l'economia fuori dalla fase recessiva. In questi comparti l'incidenza del costo del lavoro sul totale supera appena il 15%; conseguentemente una riduzione o un aumento del 10% del costo della manodopera per unità di prodotto inciderebbe sul complesso delle spese di produzione per meno del 2% (l'equivalente di una oscillazione dei cambi o di un tasso di inflazione molto moderato). E' vero che il costo del lavoro rappresenta quote più alte nei settori delle PMI e dei servizi: ma è proprio in questi comparti che la flessibilità è già al massimo.

    

Il discorso della produttività, che aveva tenuto banco per molto tempo, sembra abbandonato. Forse perchè la produttività pone alla frusta le capacità manageriali, la genialità innovativa, la formazione qualitativa del personale, la specializzazione degli impianti e dei lavoratori, la soluzione dei problemi della logistica interna ed esterna agli stabilimenti. Tutte azioni imputabili alle responsabilità della classe dirigente industriale, non di rado resa esangue da successioni familistiche. In questo quadro le tendenze verso il precariato e la rotazione degli impieghi sono controproducenti. Cosicchè, in contrasto con le opinioni di certi Soloni, gli incrementi di produttività si legano al posto fisso, non necessariamente nella stessa azienda, ma come percorso entro funzioni specializzate, tranne che per i ruoli di "syntetizers" tipicamente manageriali.

    

Di queste tendenze di fondo che pur dovrebbero costituire la struttura portante della stessa supply side non si scoprono che deboli tracce. Si sta pestando acqua in un mortaio giuridico (forse per l'influenza delle qualifiche del ministro Fornero) trascurando il fatto che le tipologie contrattuali sono soltanto la veste formale del ruolo funzionale dell'unità produttiva. In questo contesto il dibattito intorno all'art. 18 appare un avviticchiarsi intorno al dito e non guardare più la luna. Poichè nessuno ha mai affermato che il licenziamento debba avvenire per cause palesemente ingiuste né che in tal caso il lavoratore non debba vedere riconosciuti i propri diritti violati, tra cui quello del reintegro, la materia del contendere sarebbe quella della definizione della giusta causa. Secondo alcuni, sarebbero giustificazione sufficiente i motivi economici: ma allora non si vede perchè non ricorrere alle procedure previste - e largamente attuate - per i licenziamenti collettivi. E' mai possibile che la crisi di una grande azienda si risolva licenziando un solo dipendente? Nelle singole fattispecie non si possono, naturalmente, escludere errori della magistratura in un senso o nell'altro: a ciò servono appunto i vari gradi di giudizio.

    

Fra l'altro l'opinione pubblica ignora che nella P.A. sia a livello centrale che periferico è possibile licenziare per assenteismo sistematico. Ciò è avvenuto in molti casi, come dovrebbe ben sapere Vittorio Sgarbi. Viene dunque il sospetto che questa muleta venga agitata come deterrente per eventuali resistenze a forme contrattuali onerose. Per spiegarci, alla Marchionne: delle quali attendiamo di verificare, nel medio periodo, se e quanto risulteranno efficaci.

 

Centrato ci pare invece il dibattito sulla Cassa Integrazione in deroga e sulla estensione delle tutele all'intera platea dei lavoratori. I costi sarebbero sicuramente molto alti perchè dovrebbero includere quelli per i corsi di riqualificazione e per la ricerca di altre opportunità di lavoro. Non a caso i sindacati si sono chiesti "chi paga....".

    

Alcuni cittadini hanno scritto ai giornali ponendo il problema della utilizzazione part-time di centinaia di migliaia di cassintegrati per lavori di manutenzione urbana. I dubbi sulla realizzabilità di questa proposta nascono dal timore di operazioni poco limpide e dall'esperienza non positiva degli LSU (i “lavori socialmente utili”), che hanno creato i primi precari.

 

Di fronte a prospettive di ristrutturazione industriale che nel corso dell'anno riguarderanno oltre 800.000 lavoratori, senza una politica di sostegno della domanda qualunque previsione di ripresa risulta vanificata. La proiezione al 2017 di un modello di flexicurity alla danese ricorda il dibattito sul sesso degli angeli alla vigilia della caduta di Costantinopoli. Ed in effetti fare una riforma del mercato del lavoro senza rinvigorire le forze che allargano la base occupazionale è come costruire un acquario aspettando che i pesci vi saltino dentro da soli. Lo stesso dibattito su questa riforma assomiglia ad una partita di poker nella quale nessun giocatore vuol mettere la posta. Ma allora, come sanno i pokeristi, si dice che "il piatto piange". E gli italiani pure.....

Domenica, 26. Febbraio 2012
 

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