Quando la tassa è incostituzionale

La struttura dell’imposta personale sui redditi è abbastanza in linea con quanto stabilisce la nostra Carta fondamentale (seppure con un paio di sbavature). Vi sono però decine di altri tributi che non rispettano i quei criteri

Quando la polvere degli eventi internazionali e delle compravendite parlamentari si sarà depositata potrebbe profilarsi all'orizzonte una - manco a ripeterlo - "epocale" riforma fiscale. Attuazione non proprio fulminea di dichiarazioni programmatiche di diciassette anni fa. Nel frattempo il Pd - nel silenzio tombale dei paludati commentatori di quei giornali che, come abbiamo detto e ripetuto, lamentano ogni giorno l'assenza di un progetto alternativo delle opposizioni - ha approvato uno schema di riforma tributaria abbastanza dettagliato. Su queste due bozze di programma ritorneremo fra breve. Prima però vorremmo coinvolgere i nostri lettori, non solo come tali, ma anche in qualità di contribuenti (suppongo fedeli, per amore o per forza) in un gioco tutt'altro che futile, consistente nel rispondere alla seguente domanda: abbiamo un sistema fiscale incostituzionale?

    

L'art. 53 della Costituzione è largamente noto nella sua formulazione letterale: "Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività". Queste poche righe sono il punto di arrivo di una lunghissima elaborazione dottrinaria partita prima del fatale 1789 per addentrarsi nei dibattiti di fine '800 che videro in primo piano i socialisti della cattedra tedeschi e il pensiero sociale cattolico. Questo dibattito finì per trovare una sistemazione pressoché definitiva (prima delle sterzate thatcheriane, delle asprezze della Scuola di Chicago e del berlusconismo d'accatto) nell'alveo dello stesso pensiero liberale o, almeno, nella sua espressione formale più conosciuta che è il marginalismo. Infatti, se si assume che per un individuo l'utilità di una unità di denaro vada diminuendo man mano che le sue disponibilità si accrescono (come evidenziato dagli importi dei bonifici alle escort) sia il primo che il secondo comma dell'art. 53 trovano perfetta giustificazione. Nasce così l'imposta progressiva.

    

Rimane ancora da riflettere sul significato profondo del primo comma, che può essere letto anche all'incontrario: chi non ha capacità contributiva non deve pagare nulla. E poiché la capacità contributiva sorge al di sopra del minimo vitale, tutti i cittadini che sono a livello di sussistenza o al di sotto non dovrebbero pagare nessun tipo di tributo. Nei Paesi progrediti si calcolano due indicatori: quello di povertà assoluta e quello di povertà relativa (reddito eguale alla metà della media nazionale). Anche in una interpretazione restrittiva la povertà assoluta dovrebbe addirittura richiedere l'imposta negativa (sussidi, servizi gratuiti, etc).

 

Limitatamente all'imposta personale sui redditi, il dettato costituzionale sembrerebbe rispettato, con due rilevanti eccezioni: la mancanza del quoziente familiare (anche se parzialmente compensato dagli assegni familiari) ed il fatto che la progressività ad un certo punto si arresta, creando una sperequazione fra ricchi e ricchissimi. La spiegazione che si dà è che i redditi molto elevati sono anche molto mobili e quindi potrebbero sfuggire al fisco, migrando in altri Paesi. Appare fortissima la sperequazione tra le aliquote che colpiscono i redditi da lavoro o da pensione e quelli sui dividendi da capitale. Ma bisognerebbe tener conto del fatto che i dividendi nascono dagli utili after taxes, e cioè da un reddito di impresa che ha già pagato con una aliquota di circa il 40% o di più.

 Tutto sommato si può affermare che per quanto concerne l'imposta sul reddito sono stati rispettati sia il principio della progressività che quello della capacità contributiva. Inoltre con l'introduzione della no tax area una quota di reddito corrispondente al minimo imponibile viene sottratta ai tributi e conseguentemente milioni di contribuenti risultano esentasse sotto questo profilo.

    

Vi sono però decine di altri tributi che non rispettano i criteri costituzionali. Portano nomi diversi e spesso figurano come il corrispettivo di servizi; ma la natura tributaria discende dalla obbligatorietà. Ne ricordiamo due: il canone TV e la TARSU. Passando poi alle imposte per così dire invisibili, gli elementi di incostituzionalità si accrescono. Alludiamo alla molteplicità di imposte indirette, che incorporate nei prezzi di merci e servizi colpiscono il contribuente anche ben al di sotto delle capacità contributive minime. Occorrerebbe aggiungere infine gli effetti del fenomeno per cui un produttore operante in regime di monopolio trasferisce ai suoi clienti anche l'onere delle proprie imposte dirette. Donde le richieste di liberalizzazioni, richieste alle quali questo governo sembra sordo. La sferzata al cavallo dell'economia, promossa dalle amazzoni del Cavaliere, è già stata obnubilata da altri più personali impegni programmatici. Se qualche cittadino divenisse scettico nei confronti di un governo liberale che non ha un tocco di liberismo lo capiremmo benissimo.

 

Cosa può riservarci il futuro stando ai progetti ancora abbozzati dei due schieramenti? Il Centro-destra dichiara, per bocca di Tremonti, di voler trasferire il peso tributario dalle persone alle cose. In soldoni significa aumentare le imposte indirette e diminuire quelle personali, allontanandosi ancor di più dal dettato costituzionale. L'idea di far pagare meno ai ricchi e più ai poveri è geniale ma non nuova. Infine, lo stesso Tremonti in uno dei suoi volteggi da trapezista intellettuale è incorso in un vero e proprio infortunio, quando ha chiesto e ottenuto che nel calcolo dei parametri per il riequilibrio finanziario nell'area euro si tenga conto della ricchezza privata accanto al debito pubblico, spalancando così un portone all'introduzione di una colossale patrimoniale: proprio l' imposta che il suo presidente aborre.

 

Il Centro-sinistra vuole ridurre la pressione fiscale sul lavoro dipendente, su quello autonomo (è una novità assoluta) e sui redditi d'impresa, compensando l'operazione con una maggiore pressione fiscale sulle rendite finanziarie, sui redditi più alti, con la lotta all'evasione e soprattutto alla elusione (e cioè a quelle norme che consentono detrazioni più o meno veritiere a molte categorie professionali). Prospetta inoltre 34 liberalizzazioni: ciò ridurrebbe il peso di quella traslazione precedentemente ricordata. La Cgil insiste dal canto suo sulla Robin tax, che però deve essere internazionale e il cui gettito è difficile da prevedere, perchè non sappiamo di quanto possa rallentare la speculazione, dato che è correlata alla frequenza degli scambi.

 

In ambedue i progetti qui accennati la quadratura dei conti è a dir poco nebbiosa. Paradossalmente dopo oltre mezzo secolo l'attuazione dei principi costituzionali e non la loro più o meno artificiosa modifica, sembrerebbe coincidere, sotto il profilo dell'equità fiscale, con il fine della massimizzazione del benessere collettivo.

Venerdì, 4. Marzo 2011
 

SOCIAL

 

CONTATTI