Qualche idea per la crescita

E’ per lo meno controverso che una riforma del mercato del lavoro possa dare una spinta all’economia. Ma esistono invece strumenti tradizionali, sperimentati più volte in altri tempi e paesi, con esiti positivi. Senza trascurare poi il problema del credito alle imprese

La sostanziale simpatia con la quale il governo Monti è stato accolto dalla pubblica opinione, da alcuni partiti, anche di sinistra, e dalle forze sociali è stata indubbiamente dovuta al confronto con il governo precedente ed anche, per dirla alla Modugno, al suo "incedere elegante". Negli ultimi tempi, però, qualche nota stonata ha turbato la celeste armonia del cosiddetto governo del Presidente. Si è trattato talora di compulsive iterazioni di comportamenti precedenti: l'enfasi della politica degli annunci, con qualche notazione bambinesca, come se fosse necessario un linguaggio da scuole dell'infanzia per identificare talune scelte, come "Cresci-Italia" o "Salva-Italia" (nel caso qualcuno dubitasse dell'identità della Nazione da crescere o salvare).

    

Del pari criticabile il malvezzo dei cosiddetti "provvedimenti copertina": si tratta della presentazione in Consiglio dei ministri di provvedimenti di cui i vari ministri vedono soltanto la copertina, con titoli e sottotitoli, perché manca l'"articolato". In altre parole il disegno di legge vero e proprio non c'è. E' questo il caso della riforma del lavoro.

 

Qualche intervento, infine, non sembra sfuggire all'accusa di incongruenza, pur essendo etichettato come strumento per la crescita. I tamburi che battono il ritmo della politica economica nella giungla liberista ripetono il messaggio che "lo sviluppo non si crea per legge". Pur avendo sottolineato la sostanziale validità di questa tesi, il governo Monti ha legiferato in materia di  mercato del lavoro, argomentando contraddittoriamente che tale normativa era indispensabile per promuovere la crescita. Peraltro, secondo molti commentatori, non si tratterebbe di strumento particolarmente efficace. Combattere il precariato aumentando di qualche punto il costo del lavoro a tempo determinato potrebbe risultare addirittura controproducente, con rivalsa sul livello dei salari. Non vorremmo insistere nei dibattiti sull'art. 18 se non per segnalare che per evitare il licenziamento per motivi economici un lavoratore dovrebbe accusarsi di furto per trasformare la motivazione in disciplinare.....  Occorre fare chiarezza. Se l'azienda, lo stabilimento o anche il reparto cessano di funzionare, il reintegro non può avere luogo, perché ad impossibilia nemo tenetur. Il problema nasce quando il vero motivo consiste nella rotazione di personale da più a meno costoso. Donde la necessità di un giudice-arbitro. A parte queste singolarità, la monetizzazione di un illecito a favore della parte più debole rappresenta un balzo nel passato e cioè un ritorno al diritto longobardo e all'editto di Rotari.

 

In generale si ha l'impressione che questo governo, tutt'altro che privo di meriti nel recupero della stabilità finanziaria, applichi con troppa rigidità direttive di politica economica derivanti dai sistemi di equazioni tipici dell'impostazione neoclassica; equazioni mutuate dalla matematica applicata alla meccanica, mentre gli organismi viventi (come quelli umani) hanno reazioni agli impulsi che appartengono alla biologia. Non a caso Crozza, con una folgorante intuizione tipica del comico di razza, ha rappresentato il nostro presidente del Consiglio come un robot, che è la massima espressione attuale dei progressi dell'elettromeccanica.

 

A nostro avviso questi provvedimenti avranno scarso impatto sulla crescita, non agiranno come specchietto per le allodole di fronte ai falchi della finanza internazionale e rischiano di creare tensioni nel settore più delicato dell'apparato produttivo e cioè nelle forze lavoro più qualificate. Riteniamo, invece, che gli stimoli allo sviluppo debbano ricercarsi in due strumenti tradizionali, sperimentati più volte in altri tempi e paesi, con positive ripercussioni anche psicologiche: l'orientamento a fini produttivi del flusso del credito e la leva della detassazione massiccia per le nuove imprese.

    

Sulla necessità di accrescere il flusso del credito alle imprese, soprattutto medio-piccole, sono state scritte cose giuste e inesattezze colossali. Certa stampa ha creato un'immagine di "banchieri" alla Grosz, con pancia prominente e tuba a sette riflessi, che avidamente ingoiano liquidità dalla Bce e per una perversa propensione al profitto non rischioso non la trasferiscono alle imprese, sino a farle fallire fra sadiche risate. Nulla di più lontano dalla realtà. I "banchieri", spesso ex mercanti, che rischiavano capitali propri investendoli nelle aziende e talora prestandoli a qualche sovrano, sono scomparsi da sei secoli. Anche i Rotschild, sul finire dell'800, prestavano più capitali di terzi che capitali propri. Gli attuali protagonisti possono più correttamente essere definiti "manager bancari". Essi gestiscono i risparmi dei depositanti, nei cui confronti debbono rispondere in caso di assunzione di rischi non protetti. D'altro canto l'inizio della grande crisi attuale e della successiva recessione viene unanimemente attribuito ad un eccesso di finanziamenti a rischio.

    

Le erogazioni della Bce, dunque, dovrebbero correttamente essere utilizzate in primo luogo per rafforzare la solidità patrimoniale delle banche e per sostenere i debiti pubblici dei paesi in difficoltà, tenendo sotto controllo quei tassi di interesse che pur rappresentano un costo per le imprese e/o una componente della pressione fiscale sui contribuenti.

    

Va comunque trovata una soluzione al credit crunch. Essa potrebbe consistere in un accorto allargamento dei consorzi fidi, che rappresentando un'assicurazione solidaristica fra imprese dovrebbero costituire una robusta garanzia di filtraggio di quelle ritenute in grado di sopravvivere. Tenendo conto inoltre della situazione congiunturale si potrebbe intervenire con una garanzia di secondo livello di origine statale, come quella praticata nei confronti dell'assicurazione crediti alle esportazioni.

    

Una seconda leva allo sviluppo potrebbe consistere nella esenzione tributaria anche totale ed estesa ai contributi per un congruo numero di anni per le nuove imprese. Per evitare il rischio di concorrenza sleale nei confronti di quelle esistenti, i beneficiari dovrebbero possedere certi requisiti (settori di punta, impegno alla qualificazione del personale, attività di ricerca o di notevole rilevanza sociale, sensibili effetti indotti). Queste iniziative se correttamente impostate e condotte non comportano aggravi per l'erario perché i costi fiscali sono compensati dalla tassazione personale sui nuovi assunti e dalle imposte indirette sull'accresciuto volume di produzione e di scambi.

 

Vorremmo concludere queste note con un plauso alla campagna asiatica del governo Monti, da noi auspicata in un articolo di qualche tempo fa. Forse gli impegni che vincolano il nostro paese alla Ue e soprattutto all'Alleanza Atlantica potrebbero porre limiti ai potenziali investimenti nei settori che comprendono tecnologie di tipo militare (Finmeccanica, Ansaldo, Alenia, etc.) o che toccano delicati equilibri interni (automobili). Non sappiamo se il presidente del Consiglio eserciterà in questo ultimo caso quel decisionismo un po' pettoruto che ha mostrato nei confronti di pensionati e lavoratori. Siamo curiosi di vedere se di fronte al dolcevita ed al cipiglio di Marchionne avrà il coraggio di promuovere un Cresci-Cina.

Mercoledì, 28. Marzo 2012
 

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