Procedura d’infrazione al buon senso

Per giudicare una manovra di finanza pubblica è fondamentale tener conto dei moltiplicatori, ossia dell’effetto sull’economia che può dare una spinta maggiore della spesa effettuata (e in questo caso il provvedimento è corretto e riduce il rapporto debito/Pil) o minore (e se è così il debito aumenterà senza stimolare a sufficienza la crescita). Esaminiamo da questo punto di vista i provvedimenti presi o annunciati

Tenete in mente questa percentuale: 0,76. Il Comitato economico finanziario ha approvato la proposta della Commissione Europea di avviare la procedura d’infrazione verso l’Italia per il debito. Quello che è chiaro è che all’establishment europeo non piace il governo Lega-5S e la politica di bilancio varata l’anno scorso, e neppure quella che dovrebbe essere varata quest’anno. In particolare non piace quota 100 in materia di pensioni, e anche il reddito di cittadinanza, pur non negando la necessità di fare qualcosa di più di quanto era stato avviato alla fine della scorsa legislatura, viene considerato eccessivamente generoso. Non piace poi neppure una flat tax cui non corrisponda un corrispondente taglio di spesa pubblica. Valutazioni che trovano anche da noi molti sostenitori.

Nel momento in cui però la Commissione chiede un aumento dell’avanzo primario, è il caso di ricordarsi della percentuale sopra citata, che riguarda l’effetto moltiplicativo delle manovre di finanza pubblica. Perché un taglio di spesa pubblica (o un aumento d’imposta) determini una diminuzione del rapporto debito-PIL, è necessario che l’effetto moltiplicativo (negativo) sia inferiore a 0,76. Cioè un miliardo di taglio alla spesa sociale può provocare sì una riduzione del PIL, ma per meno di 760 milioni. Altrimenti pur essendoci un aumento del saldo primario, il rapporto debito-PIL aumenterà.

Ma attenzione, perché potrebbe accadere anche il caso opposto; cioè il caso di un aumento della spesa pubblica che abbia un effetto moltiplicativo (positivo) maggiore di 0,76. In questo caso avviene il fenomeno opposto: il saldo primario diminuisce ma anche il rapporto debito-PIL diminuisce. Il denominatore cresce di più del denominatore.

Quali sono le spese che hanno un basso moltiplicatore, e che quindi potrebbero essere tagliate? Delle due varate dal governo, è molto probabile che si tratti di quota 100. Mentre invece il reddito di cittadinanza, anche se  non verrà speso integralmente, e anche se la spesa per consumi ha un contenuto di importazioni elevato, dovrebbe avere un moltiplicatore più elevato di 0,76. Sicuramente anche l’aumento dell’IVA ha un effetto moltiplicativo più elevato della suddetta percentuale. Dunque gli effetti sarebbero controproducenti. Invece una riduzione di molti sgravi fiscali sulle imprese, quelli non legati alla realizzazione di investimenti, avrebbe probabilmente un basso valore moltiplicativo (negativo).

Per quanto riguarda la flat tax, per quel poco e vago che se ne sa, la misura si dovrebbe limitare ai redditi familiari fino a 50.000 euro. In realtà le famiglie con redditi fino a circa 20.000 non avrebbero nessun aumento del reddito disponibile, tanto che per loro è previsto la possibilità di rimanere con la vecchia Irpef. Solo la parte superiore (fino ai 50.000) avrebbero dei guadagni, ma non è detto che la percentuale di aumento dei consumi permetta di avere un moltiplicatore maggiore di 0,76.

Per quanto riguarda invece il caso di spese pubbliche che facciano diminuire il rapporto debito-PIL, è ben noto che quelle d’investimento hanno un moltiplicatore certamente più elevato di 0,76, sia perché l’effetto d’impatto è pieno, e sia perché il contenuto di importazioni è relativamente basso; nel caso della difesa del territorio, ristrutturazioni sismiche e simili, si tratta praticamente di opere con solo valore aggiunto interno. 

Che cosa vorrebbe la Commissione (e tutti i governi europei)? Per iniziare l’annullamento di quota 100 e un ridimensionamento del reddito di cittadinanza. Poi l’aumento dell’Iva da utilizzare per una riduzione del prelievo sul lavoro (sia contributi che imposte). E’ evidente che il governo non può concedere nulla, anche se personalmente Tria vedrebbe bene lo spostamento dall’imposizione dei redditi ai consumi. Ma ipotizzando per un attimo che una simile manovra venisse portata avanti, quale sarebbe l’effetto economico? Molto probabilmente negativo. Ci troveremmo in un certo senso in una situazione simile a quella dell’inizio 2012; allora la manovra di Monti fece scendere lo spread, ma l’andamento negativo del PIL (e quindi l’aumento del rapporto debito-PIL) fece ripartire lo spread fino al famoso “whatever it takes” di Draghi.

Che cosa offrono Conte e Tria? Per l’anno in corso un risparmio di 4 miliardi in più derivanti da un minor tiraggio, rispetto alle previsioni, delle due misure varate dal governo; nonché una promessa sul fatto che a settembre non verrà annullato l’aumento dell’Iva e al contempo varata una qualche versione della flat tax (senza tagli alla spesa). Non tutte e due le cose insieme, sperando che sul fronte del commercio internazionale le cose volgano al meglio.

Tra breve vedremo come si svilupperà il rapporto con la Commissione. L’impressione è che il governo si muova, che ciò sia voluto o meno,  con la tattica “poliziotto buono – poliziotto cattivo” (non è difficile attribuire i ruoli). Che questa sia la tattica migliore è discutibile; i circa 190 punti di spread con la Spagna, e i credit default swap, ci dicono che i mercati finanziari stimano in circa 100 punti il rischio di Italexit. Intanto gli investimenti privati sono al palo e per quelli pubblici è probabile che l’anno in corso continuerà la diminuzione già avvenuta nel 2018.

Lunedì, 17. Giugno 2019
 

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