Più tardi in pensione, a chi conviene

Se si calcola l'incidenza di tasse e contributi, il settore privato non ha nessuna convenienza all'allungamento della vita lavorativa, al contrario del sistema nel suo insieme. Eppure è la Confindustria a insistere su questo punto, mentre il governo nicchia. Sul perché si può fare un'ipotesi

Mentre il Parlamento, nei sempre più rari intervalli di operosità, dibatte (poco) e approva (fiducioso) provvedimenti concernenti vicende personali, opportunità di riciclo di oscuri capitali anonimi, nonchè il riacquisto di beni mafiosi sequestrati ed infine una liberalizzazione della gestione di acque e rifiuti che ne offre il controllo ad un pugno di multinazionali italiane ed estere, il problema pensionistico sta ridiventando importante.

 

Voci insistenti si sono levate al riguardo. Si è risposto che maiora premunt. Si è visto di che "maiora" si tratti. Secondo i dirigenti degli enti previdenziali l'equilibrio dei conti sarebbe assicurato dal flusso dei contributi degli immigrati regolarizzati, dai successi nella lotta all'evasione contributiva, e dalle periodiche revisioni dei coefficienti che correlano l'aumento della speranza di vita all'età pensionistica, anche se non completamente e con sfasamenti temporali. Su questa "sicurezza" getta qualche dubbio il fatto che il 35% del bilancio Inps sia integrato dalla fiscalità generale; ma occorre tener conto delle pensioni sociali e degli adeguamenti al minimo, che non hanno copertura contributiva.

 

Vi è però un altro fenomeno, relativo all'entità delle pensioni future, le cui avvisaglie erano state avvertite dal precedente governo e le cui soluzioni debbono essere tempestivamente preordinate, proprio per le colossali dimensioni della barca previdenziale. Si tratta del rischio di creare tra pochi decenni una generazione di "nuovi poveri", con effetti sociali devastanti. A ciò potrebbe portare il cocktail infernale del sistema contributivo, mescolato con una trentina di tipologie di contratti a tempo determinato, con frequenti pause lavorative, part-time, false partite Iva che mascherano sotto salari di fatto e shakerato con la jobless recovery di cui si parla. Il risultato finale potrebbe tradursi in livelli pensionistici al di sotto degli indici di povertà relativa.

 

In altro scritto avevamo osservato che, in estrema sintesi, la sostenibilità del sistema, in termini più generali, consiste in un equilibrio virtuoso tra gli oneri a carico degli occupati (contributi e fiscalità generale) e benefici a favore dei non occupati (bambini, studenti, disoccupati, anziani). Un ruolo sussidiario, ma talora decisivo, è quello delle famiglie. Le soluzioni alternative sono tre: a) aumentare il numero e/o il reddito degli occupati; b) accrescere gli oneri a loro carico; c) diminuire i benefici per i non occupati. La soluzione più ragionevole, se attuabile, è la prima e nello specifico previdenziale, consisterebbe nell'allungamento dell'età lavorativa.

 

Per riaccendere le luci su queste problematiche, può essere utile immaginare la presenza di due dramatis personae: Emma Marcegaglia, che rappresenta l'intero mondo imprenditoriale, e l'on. Giulio Tremonti, uno e trino, perchè incarna il datore di lavoro pubblico, il percettore di imposte ed erogatore di spese, nonché il titolare del controllo gestionale del sistema previdenziale pubblico. Il mondo del lavoro autonomo potrebbe teoricamente autogestirsi; ma le soluzioni con valenza attuariale risultano applicabili anche ad esso.

 

Esaminiamo ora con esempi realistici, gli effetti su ciascuno dei due protagonisti di una riduzione o aumento dell'età pensionabile. I dati si intendono riferiti ad un lavoratore a livello medio-alto, ma non apicale.

Nel caso di pensione anticipata, la Marcegaglia risparmia 94.000 euro l'anno, cifra da cui vanno detratti i costi di un nuovo assunto, che sono decisamente inferiori (circa 44.000 euro). Naturalmente vi sarà una differenza di redditività tra il pensionato ed il nuovo assunto, ed è anche possibile che i ruoli professionali siano diversi; ma quest'analisi non è opportuna in questa sede. Il vantaggio per il settore privato è dunque di 50.000 euro. Tremonti perde 42.000 euro di imposte e contributi che pagava il lavoratore collocato in pensione, parzialmente compensati dalle imposte e contributi pagati dal neo-assunto (circa 16.000 euro) ed affronta il costo ulteriore di una pensione netta (detratte le imposte perchè partita di giro) di circa 41.000 euro l'anno. Appare ictu oculi che il sistema subisce una perdita secca, anche se esclusivamente a carico di Tremonti. Ciò è intuitivo, perchè il numero dei beneficiari di flussi di reddito (da lavoro o da pensione) si è raddoppiato. Solo il settore privato ne trae vantaggio.

 

Nell'ipotesi alternativa di un aumento dell'età pensionabile, la Marcegaglia perde la differenza fra costo il del lavoro di fine carriera e quello iniziale (circa 40.000 euro), mentre Tremonti guadagna il risparmio di pensione (41.000 euro netti) nonchè la differenza fra gli oneri fiscali e contributivi di un salario alto rispetto ad uno più basso (circa 25.000 euro). I calcoli si modificano nel caso di un pubblico dipendente. Infatti il costo del lavoratore apicale è a carico della Pubblica Amministrazione nel caso di pensione posticipata. In altre parole, paradossalmente, mandare in pensione anticipata Bertolaso forse conviene.

 

Comunque la Pubblica amministrazione dovrebbe essere favorevole ad un sensibile allungamento dell'età pensionabile, per ridurre il  numero delle pensioni erogate, anche se ciò comporterebbe un aggravio nel monte stipendi di dipendenti pubblici. Potrebbe anzi utilizzare la manovra per redistribuire i vantaggi conseguiti a fini perequativi sulle nuove pensioni.

 

Rimane un interrogativo finale. Perché - stando almeno alle dichiarazioni e non ai comportamenti effettivi delle aziende - la Marcegaglia appare favorevole ad un'ulteriore revisione del sistema pensionistico, allungando i tempi di uscita, che pure per il settore privato sono costosi? Ritengo si tratti di un'impostazione preveggente. La dirigenza confindustriale auspica da un lato un minor onere contributivo sul costo del lavoro, e dall'altro paventa il fatto che gravi squilibri sociali spingano ad accrescere il peso della fiscalità generale, anche a carico delle stesse imprese.

 

Risulta quindi confermata una tendenza che si sta manifestando nella un po' caotica gestione della prima parte della legislatura: il mondo imprenditoriale sembra dar prova sempre più di una visione strategica della politica economica (e, forse, di politica tout court); mentre la maggioranza, supinamente legata a vicende personali o di gruppi finanziari di non completamente specchiata trasparenza, sta adottando nei confronti della scottante tematica della riforma previdenziale, l'atteggiamento dell'asino di Buridano. Temiamo, però, che il ruolo dell'asino finisca per essere attribuito ai futuri pensionati.
Domenica, 29. Novembre 2009
 

SOCIAL

 

CONTATTI