Persone o tecnologie, la scelta del dopo-virus

La pandemia ha impresso una netta accelerazione a tendenze già in atto, come il lavoro a domicilio via computer. Questo pone però il problema di disegnare un nuovo modello di società, decidendo quale direzione prevalente dare agli investimenti per lo sviluppo. Un modello che bisognerebbe definire chiaramente prima di impiegare le risorse disponibili

La task force di Colao ha presentato il suo piano per il rilancio dell’economia italiana. Un progetto Paese articolato in sei aree – Imprese e lavoro, Infrastrutture e ambiente, Turismo, arte e cultura, Pubblica amministrazione, Istruzione e ricerca, Individui e famiglie – ciascuna delle quali contiene numerose proposte e iniziative. Molte condivisibili, altre più discutibili, qualcuna da chiarire ulteriormente. Anche sulla base del piano Colao il premier Conte, che ha convocato in pompa magna gli Stati generali dell’economia, prenderà poi le decisioni concrete per far ripartire il sistema Italia dopo la tremenda pandemia del Covid-19.

Non vogliamo qui entrare nel merito del piano né della discussione sugli Stati generali dell’economia voluti da Conte, che su queste iniziative si gioca gran parte del suo futuro politico. Vogliamo semplicemente osservare che forse a molti è sfuggita la vera scelta di fondo che, in Italia ma anche in Europa e nel mondo, i governi sono chiamati a fare in questo frangente storico.

Partiamo da un dato di fatto. Il lungo periodo del lockdown ha cambiato molte cose. Soprattutto nel modo di lavorare: le tecnologie digitali hanno consentito di svolgere molte attività da casa e non dagli uffici, impedendo un crollo dell’economia ancora più drammatico di quello avvenuto. Anche il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nelle sue Considerazioni finali, ha sottolineato con soddisfazione la tenuta durante la pandemia delle infrastrutture digitali in un Paese che, sotto questo punto di vista, è agli ultimi posti in Europa. Dal canto suo, il segretario della Cgil, Maurizio Landini, ha rilevato come sia ormai urgente affrontare il tema di come regolare il lavoro da casa, visto che – epidemia o no - è questa la modalità destinata ad affermarsi. Il messaggio conseguente, unanimemente condiviso, è che ora si debbano rafforzare le tecnologie digitali, che stanno assumendo un ruolo sempre più importante nel sistema economico-sociale del XXI secolo.

Tutto questo è oggettivamente ineccepibile. Le tecnologie digitali vanno rafforzate, non si discute. Ma in che misura? E qui veniamo alla difficoltà di fare delle scelte, considerando il vincolo delle risorse esistenti. Partiamo anche qua dall’attualità. Su due temi cruciali per il presente e il futuro della nostra società: la sanità e la scuola.

Dobbiamo investire nella telemedicina o nella sanità territoriale? Ciò significa che nel primo caso dovremmo sviluppare le App, a cominciare da quelle per il tracciamento dei contagi, per finire ai controlli sempre più stringenti sulla salute delle persone. Informazioni molto sensibili, dunque. Nel secondo caso, dovremo invece assumere nuovi medici e operatori sanitari, irrobustendo la rete della medicina di base, che, essendo stata abbandonata da anni, è miseramente crollata di fronte all’onda d’urto del coronavirus, costringendo migliaia di cittadini privi di assistenza alla drastica scelta se curarsi da soli a casa o cercare disperatamente di farsi ricoverare all’ospedale.

Seconda domanda. Dobbiamo investire nella scuola a distanza o in quella tradizionale? Nel primo caso, consigliato da chi evidenzia i rischi di contagio dovuti alle aule sovraffollate, dobbiamo investire nelle piattaforme digitali, che consentono a chi dispone di tablet o computer di seguire la didattica online. Nel secondo caso invece dovremmo dimezzare le classi e assumere nuovi insegnanti, garantendo magari un presidio medico/infermieristico in ogni scuola.

Alla fine, come ha scritto Naomi Klein in un articolo su L’Espresso del 7 giugno, la scelta è tra investire nelle tecnologie o nelle persone. Non è detto che una scelta escluda completamente l’altra. Si tratta però di allocare correttamente le risorse in base a un modello economico di riferimento, a un progetto di società. Compiti che spettano per eccellenza alla politica.

Tutto ciò non ha implicazioni soltanto sul piano tecnologico o occupazionale, ma a sua volta rimanda al grande tema dei nostri tempi: quello della disuguaglianza. La comunità di Sant’Egidio ha rilevato come il 61% dei ragazzi delle periferie romane non abbia potuto svolgere lezioni online durante la pandemia perché sprovvista di strumenti tecnologici o connessioni adeguate.  Basta questo per evidenziare che effetto “spiazzante” abbia l’acceso o meno alle tecnologie informatiche.

E’ evidente che siamo di fronte a una svolta epocale. Che era già in atto prima del virus, essendo alimentata dalla guerra tecnologica tra Stati Uniti e Cina, e che con l’epidemia ha assunto una rilevanza maggiore. C’è però il pericolo che, di fronte all’esigenza di far ripartire in fretta l’economia, certe scelte siano fatte sull’onda dell’emergenza, senza un adeguato dibattito pubblico.

Tornando all’Italia, quali scelte sarà in grado di fare il governo Conte? E, a monte, quale modello economico-sociale ha in testa? Gli Stati generali dell’economia potrebbero essere l’occasione per alimentare quel dibattito pubblico che finora è mancato e di cui tanto si sente il bisogno.

Giovedì, 11. Giugno 2020
 

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