Pensioni, i problemi noti di cui nessuno parla

Altro che "scalone" da 57 a 60 anni: c'è quello (ma in futuro...) da 57 a 65. Perché non si possono unificare i contributi versati, neanche all'interno dell'Inps? Qualcuno ricorda che è stata abolita l'integrazione al minimo? Eccetera, eccetera
Il memorandum convenuto tra governo e Cgil-Cisl-Uil agli inizi di ottobre ha avuto il pregio di separare dalla finanziaria il tema pensioni. Esso  ha un titolo molto impegnativo: "Obiettivi e linee di una revisione del sistema previdenziale." Il testo è conforme al titolo. Tuttavia è in corso un gran daffare per minimizzare la portata del confronto che si è dichiarato di voler concludere entro il mese di marzo. Minimizzano  i dirigenti sindacali  e anche i governanti. Se ne potrebbe ricavare che le cose tutto sommato vanno bene così, salvo qualche ritocco da fare.
 
Per certi versi è fondata la necessità di rivalutare la riforma del 1995 contro i ricorrenti tentativi di demonizzarla praticati anche da chi a suo tempo la ha condivisa. Con il passaggio al sistema di calcolo contributivo si sono eliminate ingiustizie insopportabili, si è dato luogo ad un impianto giusto che lega l'importo della pensione a tutta la vita lavorativa-contibutiva e riduce in misura sostenibile il livello di copertura (o tasso di sostituzione come si  dice adesso). E' del sindacato pensionati della Cgil il seguente giudizio: "Intorno ai 62 anni di età il sistema contributivo garantisce una sostanziale parità di trattamento con il retributivo, mentre in età superiori può rendere addirittura di più." (Rassegna sindacale n. 20 del 2006). E' un giudizio coincidente con quello del nucleo di valutazione della spesa previdenziale (vedi dossier pubblicato su La Repubblica del 4 gennaio).
 
E' pure diffusa l'opinione che per i giovani di oggi sia ben difficile farsi una pensione decente. Ma la colpa non è del sistema pensionistico: è di un mercato del lavoro che rende sempre più improbabile una carriera stabile e continua. La precarietà ha ovviamente  anche questi effetti. Ma pure questo non è un fenomeno tutto nuovo: anche nel sistema retributivo non ho mai visto stagionali, braccianti, edili, colf, precari di allora con pensioni ricche. Le pensioni ricche sono sempre state per coloro che avevano occupazioni stabili e ben pagate; con qualcuno che ha potuto fare il furbo ancorando il calcolo all'ultima retribuzione essendo sicuro che era la più alta della carriera. Ma non è andata così per tutti; c'è anche chi è rimasto fregato.
 
Del resto se analizziamo i redditi dei pensionati in essere, calcolando anche le doppie e triple pensioni in godimento, abbiamo oltre quattro milioni di persone che non arrivano a 500 euro e altri tre milioni e mezzo tra 500 e 800. Ulteriori due milioni tra 800 e mille. Due milioni di soggetti stanno sulla media di 200 euro al mese. Questo è lo stato dell'arte al 31 dicembre 2005. Si tratta di cifre lorde pagate 13 volte l'anno.
 
I trattamenti migliori riguardano le solite categorie soprattutto provenienti dai Fondi speciali: trasporti 18.000 euro lordi l'anno, telefonici 23.000, elettrici 22.000, volo 37.000, esattoriali 20.000, gasisti 18.000, ferrovieri 18.000, ex Inpdai 44.000, Inpdap 18.000. Resta evidente come i guai dell'Inps derivino soprattutto dai Fondi speciali confluiti mantenendo le condizioni di vantaggio preesistenti pagate a spese di Cipputi. Il quale Cipputi resta ad una media di neppure 9.500 euro l'anno di pensione.
 
E' quindi fondata la rivendicazione di una rivalutazione delle pensioni. Ma attenzione: per quanto sia giusto rivalutare le pensioni basse che sono in molti casi quelle a più alta componente assistenziale, non si può dare uno schiaffone a coloro che hanno pensioni ugualmente o appena meno basse pur avendo lavorato e versato contributi per periodi non brevi. A queste persone bisogna dare di più se no si scassa il sistema.
 
Più in generale è proprio dal punto di vista dell'interesse dei lavoratori che è ragionevole mettere mano ad alcuni cambiamenti. Non è minimizzando che si fa il loro interesse.
 
Oggi è molto agitata la questione dello scalone che scatta a gennaio 2008, ma con un grande abbaglio collettivo: il vero grande scalone non è quello riguardante  le pensioni di anzianità con 35 anni che passano da 57 a 60 anni, ma quello dei maschi  del nuovo regime contributivo che passano da 57 a 65 (le donne a 60). Perché non se ne parla? Perché l'effetto non è immediato? Oppure perchè tutto sommato… Tutto sommato gli interessati alle pensioni di anzianità in discussione sono un gruppo ristretto di persone che hanno avuto la fortuna di un lavoro stabile. Per la grande massa dei lavoratori la regola vigente è 60 per le donne e 65 per gli uomini.
 
Vero tuttavia che il nodo dell'età è davvero molto rilevante ed è materia che fa scattare la gente. Ma davvero c'è una corsa e un desiderio delle persone ad andare in pensione prima del tempo?
 
Io penso che ciò non sia vero se non per chi fa un lavoro sgradevole, gravoso, appunto usurante; ma non immagino schiere di 57enni desiderosi di passare il loro tempo ai giardinetti. La verità è che il diritto alla pensione di anzianità è una polizza assicurativa contro il pericolo di rimanere senza lavoro prima di avere maturato il diritto alla pensione. Oppure è considerato una buona opportunità per chi progetta di svolgere comunque un lavoro magari in nero. Da notare che la condizione più ottimale per i soggetti (ma ci vuole il padrone disponibile) sarebbe la pensione di anzianità con 40 anni associata alla continuazione di un lavoro regolare: si cumulano pensione e retribuzione e si matura un supplemento di pensione per quando si smetterà definitivamente di lavorare.
 
Se sono fondate queste considerazioni ci si potrebbe limitare a ripristinare il pensionamento di anzianità a 57 anni limitatamente a chi perde involontariamente il lavoro senza inventarsi incentivi che non hanno motivo di essere o disincentivi che lasciano comunque dello scontento. E' generosa e teoricamente fondata la tesi dei lavori usuranti, ma l'aria che tira tende a dire che "il lavoro" in quanto tale sarebbe usurante, mentre è chiaro che se non si procede ad una selezione seria non se ne può fare niente oppure sarà un trucco.
 
Al tempo stesso bisogna tornare alla flessibilità per il regime contributivo. Se si adeguano i coefficienti come previsto dalla legge si può tornare a 57 anni e magari allungare il range della scala fino a 70. Se stiamo in regime contributivo non disturba nessuno il fatto che una persona prenda la pensione a 57 anni perchè, appunto, prende il maturato con i suoi contributi e in ragione della sua attesa di vita, non come adesso che pesca solidarietà dagli altri compresi i silenti che una pensione non l'avranno mai. E non disturba che continui a lavorare a part time o a tempo pieno. Verserà altri contributi che gli serviranno a rimpinguare la pensione quando si ritirerà del tutto.
 
Con tale regime è giusto ripristinare il diritto di opzione al contributivo per quelli del regime retributivo che avevano 18 anni di contributi nel 1995. Questo diritto era previsto dalla legge 335, ma poi si è scoperto che una platea ristretta di soggetti con redditi alti ci avrebbe guadagnato (avere redditi alti è sempre meglio). Si è abolita la possibilità per tutti. E' stata una ingiustizia. Bastava porre il limite secondo il quale il calcolo contributivo non poteva comunque superare quello retributivo.
 
Una tale misura risolverebbe il problema di persone che si trovano disoccupare a 57 anni magari con 25-30-35 anni di contributi versati e che sono obbligate ad aspettare i 65 se uomini o 60 se donne. Certo avrebbero una pensione bassa, ma sarebbe una possibilità, una opzione nelle loro mani senza oneri per la collettività.
 
Questo ragionamento evoca una questione non risolta, ma che pare oramai si sia rinunciato persino ai tentativi di affrontare. La questione di chi perde il lavoro oltre i 50 anni e che difficilmente riesce a reinserirsi. Su questo c'è la grande contraddizione del mondo imprenditoriale: sollecitano l'allungamento dell'età pensionabile ma sbattono fuori la gente prima che la raggiungano. I tentativi fatti in passato di governare la mobilità da posto di lavoro a posto di lavoro hanno fatto fiasco, ma non è una buona ragione per non riprovarci. E' alle viste un negoziato generale con Confindustria e dintorni? Sarebbe un tema rilevante abbinato ad un ragionamento sui servizi all'impiego che immagini di imparare da esperienze come quella inglese, dove le persone vengono accompagnate per mano nella formazione e nella ricerca di un nuovo lavoro.
 
Risulta evidente quanto sia rilevante una lotta alla precarietà e al lavoro nero abbinata ad una riforma degli ammortizzatori sociali tale non solo da assicurare un reddito decente nei periodi di non lavoro, ma anche una copertura figurativa ai fini della pensione. Ciò va abbinato ad una norma che preveda la totalizzazione gratuita dei contributi versati in qualsiasi istituto o cassa. Oggi siamo al punto che all'interno dello stesso Inps non si possono mettere insieme i contributi versati come dipendente e come CoCoCo se non avendo raggiunto in ambedue i fondi il diritto al minimo. Il dibattito in corso ammette che a questo soggetto si dia la contribuzione figurativa, ma non che possa sommare in un unico conto i soldi che ha versato. E' una norma che deve valere per tutte le casse. Se uno tenta la carriera di libero professionista, non ha successo e quindi trova poi un lavoro dipendente, perché deve avere regalato i contributi alla cassa pensioni della professione? Per pagare la pensione ricca di quelli che hanno sfondato? E' una ingiustizia da eliminare anche se le casse strilleranno.
 
E' lo stesso tipo di infamia con la quale trattiamo gli immigrati. Prima della Bossi-Fini, quando tornavano al paesello, potevano rivolgersi all'Inps e ritirare quanto versato. In taluni paesi poveri questo gruzzolo permetteva di avviare un'attività. L'Inca-Cgil lo ha visto direttamente in Senegal e Marocco dove ha patrocinato migliaia di pratiche del genere. Ai fini dello sviluppo di questi paesi mi sento di sostenere che funziona di più questo canale piuttosto che gli stanziamenti della Cooperazione allo sviluppo. La Bossi-Fini ha abolito questa possibilità promettendo una improbabile pensione a 65 anni per popolazioni che mediamente non arrivano a 60. E' una situazione che favorisce il sommerso.
 
Si ripropone la questione del trattamento minimo. La riforma del 1995 lo aveva eliminato, anzi aveva rovesciato il concetto. Non più se la tua pensione a calcolo è bassa ti erogo una prestazione assistenziale fino a raggiungere il minimo; bensì non ti do la pensione se il tuo calcolo non raggiunge una cifra pari almeno a 1,2 volte l'importo dell'assegno sociale (da gennaio 2007: 389,36 euro mensili). Con alcuni volonterosi già nel 1995 avevamo sollevato il problema suggerendo perlomeno di abbassare l'asticella a 0,8. Adesso è evidente che va riaffrontata la questione. Circolano diverse idee: dare vita ad un "piede" fisso di 350 euro mensili pagato con il fisco da sommare alla pensione contributiva, ma ovviamente ridotta rispetto allo standard attuale; garantire un minimo fisso ogni anno di contributi versati; fino a istituire di nuovo forme di integrazione al minimo da definire se non ci si arriva con la pensione a calcolo. Ognuna delle idee in circolazione ha pregi e controindicazioni. Si discutano seriamente. Ciò che non può passare è un atteggiamento snob che rinvia questo problema all'infinito.
 
E' ragionevole che questo tema vada insieme a quello della riorganizzazione di tutte le prestazioni assistenziali e anche di tutti gli interventi che si fanno per sostenere le imprese sotto forma di sconti sui contributi. Ciò a cominciare dall'agricoltura che seguita ad essere un pozzo senza fondo. Anche su questo vanno messi i piedi per terra smettendola con alcuni messaggi moralisteggianti privi di qualsiasi concretezza. Ciò soprattutto alla luce del fatto che il fenomeno della non autosufficienza di persone anziane è inevitabilmente in crescita; molte famiglie - circa un milione, ma c'è chi sostiene siano molte di più - lo hanno risolto con la badante immigrata spesso in nero e riuscendo con fatica ad ottenere l'indennità di accompagnamento; nella Legge finanziaria per il 2007 si è stanziata una cifra appena simbolica.
 
Sembra che i conti dello Stato vadano molto meglio del previsto. Non mi sbilancio a dire che può starci una manovra correttiva a rovescio rispetto alla finanziaria appena approvata, ma non sarebbe una corbelleria. Di certo si scatenerà la corsa alla spartizione del bottino. Sarebbe assurdo che non si affrontassero problemi quali ammortizzatori sociali e non autosufficienza per i quali ci vogliono miliardi di euro, con somme a due cifre.
Lunedì, 12. Febbraio 2007
 

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