Paghe al Sud e bufale da economisti

Una indagine sulle retribuzioni smentisce la tesi di Andrea Ichino e Tito Boeri, secondo cui un lavoratore del Nord guadagnerebbe meno, in termini reali, di uno del Mezzogiorno. Dalla rilevazione risulta che nelle regioni meridionali c’è un gap salariale elevato: nella provincia di Ragusa si guadagna in media quasi il 40% in meno che in quella di Milano

Tra le notizie di fine 2019 fa un certo effetto constatare che esiste un vero e proprio abisso tra la realtà rilevata grazie alle fonti d’informazioni ufficiali e ciò che - con tenacia degna di migliori cause, gratuita superficialità e grave strumentalizzazione politica - alcuni noti “esperti” continuano a sostenere.

Questa volta, contribuisce a “smontare” le certezze degli Ichino (Pietro e Andrea) e dell’ex presidente dell’Inps, il JP Geography Index[1] di fine anno, attraverso l'elaborazione dei dati trimestrali sulle forze di lavoro. [2]

Per dimostrare, con palese evidenza, la grande discordanza tra le affermazioni dei suddetti “esperti” e quanto, invece, rilevato attraverso i dati ufficiali, è sufficiente riportare quanto dichiarava, ancora nel marzo del 2018[3], Tito Boeri: “I salari sono troppo bassi al Nord e troppo alti al Sud. Mentre i differenziali di produttività raggiungono il 30 per cento (a favore del Nord), le differenze dei salari nominali, a parità di qualifica e nello stesso settore, sono nell’ordine di appena il 5 per cento”.

Con altrettanta certezza e determinazione, Andrea Ichino[4]sosteneva:” Un lavoratore del Nord guadagna, in termini reali, il 12 per cento in meno di uno del Sud”.

Infatti, a suo parere: “Un bancario con 5 anni di anzianità, se lavora a Milano, percepisce uno stipendio nominale più alto del 7,5 per cento di quello di un collega di Ragusa, ma, in termini reali, il milanese è “sotto” del 27,3 per cento rispetto al ragusano”.

La realtà, però, avrebbe smentito - in modo addirittura clamoroso - il giovane Ichino.

Infatti, il report del JP Geography Index - attraverso la classifica redatta dall’Osservatorio JobPricing, pubblicato a dicembre 2016 - rilevava che, mentre la retribuzione media di un lavoratore della provincia di Milano aveva raggiunto i 34.330 euro, quella di uno della provincia di Ragusa si era fermata a 23.962 euro (quasi il 40 per cento in meno).

Non meno determinate - e, direi, lapidarie - le dichiarazioni di Pietro Ichino[5].

A suo parere, infatti: “Rappresenta una grave ingiustizia un sistema che prevede di retribuire un professore del Nord con lo stesso stipendio di uno del Sud. Ignorando la notevole differenza del costo della vita tra le regioni, si compie una palese ingiustizia”.

Appare superfluo sottolineare che le considerazioni espresse dai fratelli Ichino e da Tito Boeri tendevano - senza, peraltro, l’ausilio di alcun riscontro statistico a loro supporto - ad avvalorare la tesi secondo la quale, nel nostro paese, si renderebbe indispensabile giungere alla definizione di salari differenziati su base regionale.

Cioè a retribuzioni parametrate al diverso costo della vita tra le regioni[6], se non, addirittura, le province.

Per fortuna, ricorrendo a quanto evidenziato dai dati ufficiali - accessibili a tutti; anche a coloro che, per i motivi più reconditi, preferiscono ignorarli o, addirittura, farne un uso distorto - si può rilevare che, ad esempio, per quanto attiene alla “balla” secondo la quale tra Nord e Sud esisterebbe un differenziale di produttività pari, addirittura, al 30 per cento, dall’elaborazione dei dati Istat[7] sui risultati economici delle imprese a livello territoriale - di cui al Report del 13 giugno 2018 - si evince che, se è vero che la produttività nel Mezzogiorno è inferiore di 26 punti percentuali rispetto alla media italiana, le retribuzioni presentano un divario di circa 20 punti.

Contemporaneamente, però, è altrettanto vero che il rapporto tra salari e valore aggiunto prodotto (una misura del costo del lavoro per unità di prodotto) nel Mezzogiorno è molto simile a quello delle altre ripartizioni territoriali; la differenza è, infatti, pari ad appena 1,5 punti percentuali.

Ciò significa, in estrema sintesi, che nel Sud l’incidenza del costo del lavoro, a causa delle minori retribuzioni, è sostanzialmente in linea con il resto del paese.

Quindi - secondo l’autorevole parere di Vittorio Daniele - contrariamente a quanto sostenuto da Boeri, Ichino ed altri: “La differenza Nord-Sud nella produttività del lavoro è pressoché integralmente compensata da quella dei salari”.

Al riguardo, reputo superfluo riportare anche il parere di altri autorevolissimi docenti universitari[8], che, sostanzialmente, ribadiscono quanto già ampiamente dimostrato dalla corretta elaborazione dei dati Istat: “Le differenze territoriali nella produttività e nei salari riflettono quelle nelle strutture produttive” e, inoltre “Le comparazioni territoriali andrebbero sempre fatte tra le stesse industrie; quelle su dati aggregati hanno, quindi, scarso significato”.

Tornando al Report del 2019 sulle zone d’Italia nelle quali si guadagna di più, la graduatoria regionale vede al primo posto la Lombardia con una retribuzione annua lorda (RAL) di 31.472 euro.

Seguono il Trentino Alto Adige con una RAL di 31.136 euro e il Lazio che, superando l’Emilia Romagna (30.305 euro), si attesta a terzo posto con 30.353 euro.

La figura 1 che segue, rappresenta la classifica regionale per il 2019.

Naturalmente, fa un certo effetto rilevare che, tra le prime 10 posizioni della speciale classifica appaiono solo due regioni del Centro-Sud: Lazio e Toscana.

Dalla stessa si rileva, ad esempio, che, alla fine del corrente anno, la Basilicata, ultima con un RAL pari a euro 24.495 - corrispondente ad appena il 77,8 per cento di quella della Lombardia - ha perso una posizione rispetto alla classifica dello scorso anno.

Il Piemonte e la Sicilia, retrocedendo di due posizioni, rispetto al 2018, hanno registrato le peggiori performance.

Il Lazio, al contrario, ha guadagnato due posizioni.

Figura 1

 

Segue la classifica relativa alle prime 20 posizioni delle province.

In questa graduatoria Milano, con una RAL di 33.948 euro, consolida - con 2.000 euro in più sulla seconda classificata e quasi 4.600 rispetto alla media nazionale - la posizione dell’anno precedente. 

Con una RAL pari a 29.877 euro la provincia di Vicenza chiude, al ventesimo posto, la prima delle tre fasce in cui sono collocate le province.

È interessante rilevare il vero e proprio exploit di Salerno che, con una RAL pari a 27.519 euro, in un solo anno, guadagna ben 15 posizioni e si colloca in 55° posizione.

Sorte opposta, è quella della provincia di Viterbo che, dal 75° posto del 2018, precipita alla 90° posizione.

A parte quella di Roma, che si classifica all’ottavo posto, le prime 20 province della graduatoria sono tutte del Nord.

La prima del Centro-Italia, collocata al 21° posto, è quella di Firenze.

Sono tutte al Sud le province con le retribuzioni medie più basse.

Chiude la classifica la provincia di Nuoro.

Figura 2

 

Naturalmente, in ossequio ad una corretta informazione e nel rispetto di chiunque si approssimi alla lettura di queste note, va evidenziato che i suddetti valori si riferiscono a retribuzioni “medie” ottenute dall’insieme delle retribuzioni di dirigenti, quadri, impiegati ed operai (del solo settore privato); trattasi, quindi, di valori aggregati.

Ciò nonostante, è sin troppo semplice rilevare che i valori espressi - tanto a livello regionale, quanto provinciale - concorrono a smentire una vera e propria leggenda metropolitana: quella secondo la quale, in virtù del minore costo della vita nelle regioni del Mezzogiorno, i lavoratori del Nord e del Centro finiscono per godere di retribuzioni reali addirittura inferiori a quelle dei loro colleghi del Sud!

Valga, come esempio per tutti, la “storiella” del bancario milanese che, secondo Andrea Ichino, percepirebbe, rispetto a un suo collega ragusano, una retribuzione che - in termini reali - sconterebbe un meno 27,3. Una colossale “bufala”.



Note

[1]È la classifica della retribuzione media rilevata nelle regioni e nelle province italiane. La graduatoria viene stilata tenendo presente la sede di lavoro del dipendente. Per ogni regione e per ciascuna delle 107 province italiane viene indicata la RAL (Retribuzione media lorda), il suo valore rispetto alla media nazionale (su base 100) e quello dell’anno precedente; nonché il numero di posizioni guadagnate o perse (indicato con “Delta”).

[2]Fonte: ISTAT

[3]Fonte: La voce.info, “Racconto le due Italia”, del 16/3/2018.

[4]“Divari territoriali e contrattazione”, c/o Festival dell’Economia di Trento, del 3 giugno 2016.

[5]Fonte: La voce.info. “Il lato perverso della contrattazione”, del 24 aprile 2019.

[6]Si tratterebbe, in sostanza, di un ritorno al passato attraverso la riproposizione delle famigerate “gabbie salariali” che, introdotte a partire dal gennaio 1946, furono totalmente abolite attraverso un Accordo Interconfederale del marzo 1969.

[7]“Produttività e retribuzioni: i divari Nord-Sud”, di Vittorio Daniele, in “Rivista economica del Mezzogiorno, nr. 2/2019”

[8]“I salari del Sud non sono troppo alti, checché se ne dica”, di Francesco Aiello, Vittorio Daniele e Carmelo Petraglia; del 15 maggio 2018.

Martedì, 7. Gennaio 2020
 

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