Pacta sunt evitanda

L'Europa discute una modifica del Patto di stabilità per permettere il rilancio dell'economia, che però non potrebbe riguardare l'Italia, il cui debito è troppo alto. Berlusconi, invece, vorrebbe poterlo aumentare ancora per i suoi tagli fiscali a fini elettorali

L'ultima trovata del signor B. è che, per far fronte alla riduzione delle tasse, bisogna puntare sulla modifica del Patto di stabilità. In altri termini, chiedere all'Europa di consentire all'Italia di accrescere il disavanzo e, conseguentemente, il debito pubblico, che è già tra i più alti del mondo. Una licenza  che l'Unione europea non può consentire ma che, in ogni caso, nessun governante di buon senso si proporrebbe. Forse con l'eccezione di Bush che è però a capo di un impero, e non di una provincia che, senza l'ancoraggio dell'euro, avrebbe rischiato di finire come l'Argentina.
 
Nell'attuale confuso dibattito sul Patto di stabilità, vale la pena di tener presente alcuni punti.

Quando nel 1998 fu deciso il passaggio alla moneta unita unica, se i criteri di Maastricht fossero stati interpretati rigorosamente l'Italia non sarebbe entrata nell'euro. Il governo di centro-sinistra, con l'appoggio dei sindacati, aveva messo sotto controllo l'inflazione  e portato entro il parametro del tre per cento il disavanzo pubblico. Ma il debito rimaneva a livelli incompatibili, poco sotto il 120 per cento del PIL, contro il parametro del 60 per cento previsto dal trattato di Maastricht.

All'Italia, in sostanza, venne accordata una dilazione di un certo numero di anni per risanare la finanza pubblica, riportando il debito sulle medie europee. Al tempo stesso, l'ingresso nell'euro garantiva all'Italia di fruire dei bassi tassi d'interesse dell'euro e di poter accelerare sotto quest'aspetto il rientro del debito. Quando Berlusconi attacca l'euro dimentica che, senza la sua copertura, i mercati finanziari avrebbero imposto all'Italia, guidata dalla politica avventuristica di Tremonti, tassi d'interesse rovinosi per l'Italia. Basta ricordare che, con un debito che rimane superiore al cento per cento del prodotto interno lordo, ogni punto d'interesse vale 25 mila miliardi di vecchie lire. L'ultimo paese a potersi lamentare del Patto è, da questo punto di vista, l'Italia. E la sua maggiore o minore flessibilità non libera l'Italia dalla necessità di ridurre il debito pubblico.
 
Quando il Patto di stabilità e di crescita fu adottato, l'Unione europea era in pieno sviluppo e l'occupazione aumentava con ritmo sostenuto. Una volta rovesciata la congiuntura, il Patto è diventato un vincolo privo di fondamento per i paesi con un debito pubblico vicino allo standard del 60 per cento del PIL fissato a Maastricht. Aver irrigidito il Patto, senza le necessarie distinzioni fra un paese e l'altro, ha contribuito alla stagnazione dell'eurozona. Una condizione che ora minaccia di aggravarsi col deprezzamento del dollaro che riduce la competitività delle esportazioni europee non solo verso gli stati Uniti, ma verso la Cina e i paesi asiatici la cui valuta è legata alla moneta americana.

In questo quadro, la revisione del Patto in direzione di una politica economica flessibile e di rilancio è indispensabile. La sinistra ha fatto male a difendere il Patto con la sua irragionevole rigidità, anche quando era diventato controproducente. Ora la revisione di cui si discute nell'Unione dovrebbe avere un carattere radicale: vale a dire consentire ampi margini di manovra di bilancio ai paesi il cui debito è prossimo al parametro di Maastricht o, in ogni caso, suscettibile di rientrarvi a breve-medio termine. E' questo il caso della Germania e della Francia.

Apparentemente questo criterio penalizza l'Italia. Ma non è così per due ragioni. La prima è che, con o senza il Patto, l'Italia non può fare a meno di frenare il disavanzo per ridurre gradualmente il debito e il servizio degli interessi che oggi grava pesantemente sul bilancio pubblico. La seconda è che, in assenza della locomotiva americana, la crescita della zona euro dipende in larga misura dalla Germania e dalla Francia. Una politica di bilancio espansiva in questi due paesi, favorita da un deciso allentamento del Patto, diventa un traino importante per l'economia italiana che ha in questi paesi i maggiori mercati di sbocco per le esportazioni.

La riforma, anche in profondità, del Patto è perciò ragionevole e necessaria per l'Europa che rischia di essere schiacciata dalla politica del dollaro, così com'è, al tempo stesso benefica per l'Italia. Ma la mossa di Berlusconi, che ne chiede la modifica per essere libero da ogni vincolo per ridurre le tasse aumentando il debito, gioca contro la riforma. Rafforza, infatti, il convincimento dei più riottosi che la revisione del Patto sarebbe utilizzata per alimentare una politica fuori controllo. Così il signor B. con la sua inesausta demagogia continua a danneggiare l'Italia e i suoi rapporti con l'Europa, che, sia pure con alterne vicende, ha avuto nel corso di molti decenni nel triangolo franco- tedesco- italiano il suo maggior punto di forza.

Lunedì, 6. Dicembre 2004
 

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