Si racconta che un vecchio corrispondente della Pravda a Roma, trovando sorprendenti e imprevedibili gli eventi della politica italiana, era solito dire che a Mosca la politica si svolgeva entro i recinti segreti del Pcus ma, ciò nonostante, tutto appariva chiaro, mentre a Roma la politica si svolgeva alla luce del sole, ma era difficile interpretarla e capire dove effettivamente stesse andando.
Credo che nellultimo anno qualsiasi corrispondente straniero si sia trovato in questa condizione. Era difficile prevedere, sulla base di una ragionevole analisi della politica italiana, che Matteo Renzi, battuto nelle primarie di novembre del 2012, nel breve giro di un anno si sarebbe impadronito del Partito democratico e avrebbe sostituito Letta, suo compagno di partito, alla testa del governo.
Si può dire che Renzi, la cui considerazione maggiore derivava dalla sua giovane età, si è nei fatti dimostrato un politico dotato di intelligenza, tempismo, abilità tattica e di quella dote essenziale nella società della comunicazione che è il carisma. Qualità che erano state evidentemente sottovalutate.
Ma nella politica, come nella vita ordinaria delle persone, queste qualità non bastano a raggiungere il successo se le circostanze quelle che il grande fiorentino Niccolò definiva fortuna non vi giocano un ruolo essenziale. In effetti, le circostanze hanno manifestamente assistito il cammino del sindaco di Firenze. Il Partito democratico che Renzi voleva conquistare si era ridotto a un castello privo di difese, col ponte levatoio abbassato, pronto per essere attraversato senza incontrare ostacoli significativi.
I democratici avevano dovuto registrare prima un frustrante risultato elettorale sotto la guida di Bersani, poi lumiliazione delle larghe intese con Berlusconi, pluricondannato in diversi gradi di giudizio, e prossimo all interdizione dai pubblici uffici. Renzi aveva ormai la strada spianata per la conquista di un partito rimasto senza bussola, e alla disperata ricerca di un capo venuto da fuori.
La candidatura alla premiership, e poi la sua imprevista accelerazione, è stata favorita o, se si vuole, resa necessaria, dalla evanescenza del governo Letta, ridotto a promettere, e poi a enfatizzare, la ripresa fantasma della crescita in aperta contraddizione col senso comune e con le statistiche attestate su unimpalpabile crescita dello 0,1 per cento.
Così, la sfortuna dellItalia, il paese con la più lunga recessione del dopo-crisi in Europa, esclusa la Grecia, si è trasformata nella machiavelliana fortunadi Renzi: linsieme delle circostanze che hanno contribuito alla destabilizzazione del Pd e del governo Letta, rendendo irresistibile lascesa del nuovo leader.
Per attenerci al principio dellimprevedibilità della politica italiana, conviene prudentemente astenerci dallavanzare profezie su quello che accadrà nei prossimi mesi o addirittura anni, se dovesse arrivare a compimento il progetto di un governo di legislatura. Ma la prudenza non impedisce di guardare al presente e al futuro prossimo con un doveroso disincanto.
La nuova pattuglia di Renzi si troverà a navigare nelle stesse acque che hanno portato al naufragio il governo Letta, ma con una variante non secondaria. Prima il compito della riforma elettorale e costituzionale era assunto da Renzi come segretario del partito, mentre il governo era delegato a Letta. Ora Renzi dovrà contemporaneamente gestire una doppia maggioranza: con Berlusconi le riforme istituzionali e con Alfano lattività di governo. Due maggioranze che, in entrambi i casi, si trovano su sponde opposte.
Per Berlusconi è vitale la riforma elettorale. Il centrodestra è in frantumi, e solo la riforma ultramaggioritaria, fiore allocchiello di Renzi, gli può riconsegnare unincontrastata leadership del centrodestra. Nel caso dovesse vincere le elezioni circostanza forse improbabile, ma non fuori dalle possibilità avremmo un signore ineleggibile e interdetto dai pubblici uffici e, tuttavia, in grado, col suo rinnovato esercito di parlamentari da lui nominati, di designare non solo il capo del governo, ma anche il presidente della Repubblica. Lapoteosi della governabilità per quelli che la pongono al disopra di un normale principio di rappresentanza, come lo conosciamo nelle democrazie occidentali.
Ma, ovviamente, Alfano vede la riforma come il fumo negli occhi, perché lo costringerebbe alla scomparsa dalla scena politica o a tornare ingloriosamente, come un Giuda pentito, nelle file dellimmarcescibile cavaliere. Senza dire che dalla sua parte ha larma della rottura del governo, e del ritorno alle urne con la legge proporzionale che residua dalla sentenza della Corte costituzionale. Interessi chiaramente contrapposti fra il capo dellopposizione, partner essenziale delle riforme renziane, e lindispensabile alleato di governo. Indubbiamente, un azzardato esercizio acrobatico per il nuovo capo del governo.
In ogni caso, le riforme istituzionali possono essere allontanate ora che Renzi, sia pure senza essere incoronato dal voto popolare, è alla testa del governo. Ciò che, invece, non tollera rinvii è la triste condizione in cui versa il paese, reduce dalla più lunga recessione della sua storia, con un livello di disoccupazione raddoppiato rispetto allinizio della crisi, e in continuo aumento.
Nelleurozona si discute sempre più apertamente di deflazione, di un rischio Giappone, rimasto per oltre un decennio paralizzato dalla stagnazione La politica monetaria di Draghi, basata sulla riduzione dei tassi, ha dato i frutti che poteva, scongiurando il rischio di un repentino crollo delleuro. La Bce potrebbe fornire credito, oltre che alle banche, anche direttamente alleconomia, come ha fatto e intende continuare a fare, con maggiore forza se necessario, la Federal Reserve sotto la nuova presidenza di Janet Yellen. Ma Draghi non può farlo, o così recita il mantra europeo, per ragioni statutarie e, in ogni caso, per lopposizione della Bundesbank e della Corte costituzionale tedesca e, in definitiva, del governo tedesco.
Lausterità è fallita nelleurozona, creando insieme più disoccupazione e più debito pubblico, e lItalia ne è una chiara testimonianza; e non basta, come sembra sa intenzionato a chiedere il nuovo governo, ottenere da Bruxelles lelemosina di uno zero virgola qualcosa di maggiore disponibilità di bilancio rispetto alla fatidica soglia del tre per cento, Il problema di fondo è nella minaccia derivante dal Fiscal compact,che impone il rientro del debito, oggi al di sopra del 130 per cento, entro il 60 per cento del rapporto col Pil. Un obiettivo privo di senso e autodistruttivo per un paese oscillante fra recessione e ristagno che dovrebbe risparmiare 50 miliardi di euro lanno per rispettare il Patto.
Ciò che un governo sensato dovrebbe fare sarebbe limpiego di una somma di tale ampiezza per ridurre le imposte e rilanciare gli investimenti pubblici in infrastrutture, ricerca, scuola, sostegno allindustria e ai servizi avanzati. Una politica che, rilanciando gli investimenti e agendo da moltiplicatore sui consumi, avrebbe come indubbio risultato una crescita sostenuta e duratura del Pil con un conseguente e automatico miglioramento del rapporto col debito.
Il nuovo governo ha il privilegio di presiedere il semestre europeo a partire da luglio. Quale occasione migliore per proporre un cambiamento radicale della politica delleurozona, creando una vasta alleanza con i paesi mediterranei schiacciati dalla crisi, e con la Francia che, non ostante il tentativo di François Hollande di far rivivere la vecchia partnership con la Germania, rischia di diventare il nuovo capro espiatorio dellausterità dellasse Berlino-Bruxelles.
Abbiamo iniziato dicendo che Renzi ha mostrato la capacità di associare allambizione il coraggio della rottura. Ma si è trattato di unoperazione fin troppo facile, dovendo conquistare un partito affranto in attesa di un salvatore, e di un governo debole e privo di idee. In queste condizioni è stato relativamente semplice mostrare una inflessibile determinazione, fino a maramaldeggiare, nei confronti di avversari più inventati che reali.