Non si vince col partito dei distinguo

I possibili scenari del dopo-Monti, gli schieramenti e le coalizioni ipotizzabili. Ma con una certezza di fondo: ben vengano l’articolazione e la libertà di pensiero, ma agli elettori bisogna proporre qualche ipotesi di soluzione, non solo dei distinguo dalle posizioni altrui

Questo governo “strano”, che passa per tecnico perché non ha una maggioranza politica, ma fa politica con una maggioranza parlamentare senza precedenti, ha una data di scadenza: la fine della legislatura, di qui a un anno appena. A questo termine guarda con ansia chi ritiene che si stia attraversando una fase di “sospensione” della politica, se non della democrazia. Dopo il “fine corsa”, si dovrà ripristinare il “normale” funzionamento delle istituzioni.

 

Si moltiplicano tuttavia le voci che mettono in guardia sul dopo: niente sarà più come prima. Effettivamente, il quadro politico che abbiamo conosciuto fino all’autunno scorso è morto e sepolto. Dei tre poli che ne erano il perno almeno due sono alla affannosa ricerca di uno scenario alternativo ma il tempo stringe, al netto della campagna elettorale (e del semestre bianco) si riduce a pochi mesi. Così stando le cose, possiamo limitarci a pensare che sia in corso una “sospensione” e non quella che in linguaggio chimico-fisico si definisce una “catastrofe”, punto di discontinuità, o rottura, lungo una funzione?

 

Dei tre poli quello di centro (che resta terzo nei sondaggi) è l’unico che sembra non avere dubbi. Dopo Monti non c’è che … Monti. Ma il dubbio in realtà serpeggia. Le speranze di incassare, alla prova elettorale, un consenso paragonabile a quello che oggi accompagna Monti, sono del tutto prive di fondamento. Tolto l’elettorato di destra e di sinistra che appoggia Monti “per alcune delle cose che fa, anche se non fa le cose che faremmo noi” il consenso non si discosterebbe da quello che i sondaggi, da sei mesi in qua, attribuiscono a Udc, Fli e Api, il 15% o poco più.

 

Se nessuno dei due schieramenti può farcela da solo, puntano a fare da ago della bilancia, perno del sistema. Ma l’insegna del negozio non può essere solo “il compromesso per il compromesso”. Se fin qui il “centro” non è riuscito a far capire al paese su quali idee forza ritiene di chiamare le altre formazioni a una mediazione, se tutto si riduce a invocare una “fase costituente” per superare l’emergenza, si prospetta una mediazione forzata, che non ha bisogno di sensali, ammesso che sia possibile. Mentre se non lo è - e non si è depositari di una proposta autonoma e convincente - si deve solo scegliere da che parte stare. Il potere di interdizione in questo caso va a farsi benedire. Dilemma scomodo, che solo in una ipotesi di grande coalizione non si pone. Ecco perché il terzo polo gioca tutte le sue carte su quello scenario e ripete ossessivamente che la larga coalizione deve durare oltre il 2013. Come rispondono i due poli maggiori?

 

Il polo di centro-destra, che ha governato l’Italia per nove degli ultimi undici anni, è andato in frantumi. Berlusconi, secondo Bossi, è Mussolini redivivo e andrebbe condannato a morte, ha tradito il Nord in cambio di un ignobile salvacondotto dai processi. Se tra Lega e PdL la rottura è a questo livello, all’interno del Pdl le divisioni sono non meno profonde, persa la capacità di unificare l’elettorato di riferimento. Se per alcuni leader “Monti sta portando avanti egregiamente il nostro programma”, altri, sostenuti dalla stampa militante, danno voce alla pancia della fetta più larga dell’elettorato (senza contare i leghisti): “Stato di polizia”, “regno del terrore”.

 

In questa situazione è possibile che il centro-destra tenti di tornare indietro (senza Berlusconi come candidato leader). Significherebbe però attestarsi, insieme alla Lega, su una prospettiva di opposizione, a cui quella pancia, sempre affamata, non è più disposta. Il tempo delle “traversate del deserto” è alle spalle e non attira affatto. E’ dunque opinione corrente che finiscano per scegliere un abbraccio con Casini che prefiguri una destra moderata.

 

E’ una prospettiva che spaventa assai la cosiddetta “sinistra di governo”. Quella che non intende lasciare Monti alla destra. Ma è realizzabile? La destra in versione pulita non ha mai avuto la maggioranza in questo paese. Senza divagare troppo con un excursus storico, basta ricordare che la Dc per mantenersi nel solco della destra liberale ha avuto bisogno di rimestare con la destra eversiva e di ricorrere al “lavoro sporco” degli alleati sul versante occidentale della guerra fredda. E che, caduta la Dc, Berlusconi ha dovuto  sdoganare l’eversione anticostituzionale della destra radicale.

 

Questo scenario presuppone dunque che la parte “presentabile”, chiuso il capitolo Monti, trovi il modo di pagare i prezzi necessari per ricompattare l’elettorato che ha sorretto per qualche lustro l’avventura berlusconiana. Avrà dunque un peso, a determinarne la realizzabilità, il fatto che questa prospettiva non spaventi solo la sinistra ma il “mondo libero” e soprattutto i mercati. Lo zoccolo duro dello spread oltre i due-tre anni dipende, a detta di tutti gli analisti, dal semplice fatto che questo scenario, tragico per il paese, è ancora possibile, se non probabile.

 

Domandiamoci allora: se il primo scenario (“grosse koalition”, grande inciucio) piace al centro ma molto meno a centro-destra e centro-sinistra; se quello dell’accordo destra-centro (ritorno del figliol prodigo Casini) assomiglia molto a un berlusconismo senza Berlusconi che potrebbe far rimpiangere il bunga-bunga e spaventa i mercati, c’è uno scenario realistico che possa vedere la sinistra in un ruolo di governo, determinante?

Cade qui il discorso sulla cosiddetta “foto di Vasto”. Chiariamo subito, per non indulgere a una finzione cui pure alcuni fanno finta di credere, che uno schieramento di sinistra che tagli i ponti con il centro non sarebbe autosufficiente. La questione che si pone riguarda dunque NON l’apertura al centro ma la capacità della sinistra di elaborare una proposta che, in quanto convincente e credibile per gli elettori, possa attrarre anche un centro “ago della bilancia” (se parliamo di schieramenti politici) ovvero un elettorato centrista, moderato ma aperto verso le proposte della sinistra.

 

La condizione perché ciò accada è che la sinistra abbia una proposta (è tautologico) e che trasmetta la percezione della convinzione di potercela fare: è difficile convincere la maggioranza degli elettori se per primi non si è convinti. Ma qui sorgono i guai.

Serpeggia infatti una tentazione che allontana ogni sforzo di elaborare, condividere e lanciare una proposta politica per il futuro dell’Italia. C'è chi coltiva l’idea che si possa arrivare al governo semplicemente riprendendo da dove eravamo rimasti, con la differenza non secondaria dell'uscita di scena di Berlusconi, avendo sopportato per un po’ la parentesi Monti al solo scopo di raffreddare lo spread.

 

Senza grandi sforzi (anzi, scendendo il meno possibile nel concreto delle scelte, spesso scomode) si può puntare, anziché alla maggioranza dell’elettorato, a una maggioranza parlamentare. Alla Camera, si intende (se si vota col Porcellum) per poi accordarsi col Terzo Polo al Senato. Ora, anche volendo trascurare il fatto che questa soluzione passa per un patto scellerato a favore del Porcellum, durerebbe fintanto che il Terzo Polo decide di farlo durare. E’ infatti del tutto evidente che una soluzione costruita ex post, senza un retroterra programmatico, porterebbe inevitabilmente il Terzo Polo (ago della bilancia) nella condizione ideale per condizionare la sinistra e dunque portato a caratterizzarsi, anziché sui temi su cui è più facile un accordo, su quelli che darebbero maggiore visibilità, quelli più identitari per una sensibilità moderata, perfino “confessionali”. Film già visto, senza lieto fine.

 

Purtroppo una parte ancora troppo ampia del gruppo dirigente del Pd non sembra avere la cognizione del perché l’elettorato non si lascia trascinare, perché le primarie continuano a far segnare debacle clamorose dei candidati di apparato. Non c’è tema rilevante dell’agenda politica del Paese che non veda il Partito esprimere posizioni molto diverse: ben venga l’articolazione e la libertà di pensiero, ma ci sarà pure qualche punto di riferimento, qualche idea-forza! Dalle interminabili discussioni interne, puntualmente filtrano sui media questioni di schieramento, di alleanze, bandiere vecchie e nuove, esercizi accademici su ipotesi che non scaldano i cuori. Per una sinistra con l'ambizione di governare (c’è ancora?) è invece il momento di sforzarsi di presentare agli elettori qualche ipotesi di soluzione, non solo dei distinguo dalle proposte altrui. E’ questo che il potenziale elettore di sinistra va disperatamente cercando. Perciò rifiuta in modo sistematico i candidati che identifica con gli apparati e con il “politicismo”. Quelli che non si misurano con la concretezza dei problemi. Ci si dovrebbe pensare. Se ne stanno preoccupando i partiti?

 

Le idee ci sono. Partecipo a incontri di vario genere, nelle sedi più diverse, ricchi di stimoli e di spunti. Ma non si coagulano, non fanno proposta politica. Qualche esempio? Ne cito qualcuno, in tema di lavoro, solo per capirci. Democrazia economica: dare voce in capitolo ai lavoratori nella gestione delle imprese. Non sono fantasie, c’è l’esempio della Germania (per le grandi imprese), perché non sperimentare, non sfidare i capitani di industria, diventati tutti paladini della “responsabilità sociale delle imprese”: quale maggiore responsabilità sociale di quella nei confronti di chi ci lavora tutti i santi giorni (e notti)?

 

Aiutare a fare impresa (soprattutto chi trova chiuse le porte del mercato del lavoro, giovani, donne, stranieri). Perché non mettere a frutto l'esperienza di chi ha creato il tessuto della piccola impresa, che l'Italia vanta come suo punto di forza, in modo che la trasmettano a chi ha splendide idee e voglia di fare ma non sa da dove cominciare e non trova il credito necessario? Politica industriale e qualità del lavoro. E' finita l'era del mercato che risolve tutto, perché non ripensare radicalmente la politica industriale sostenendo le imprese in modo mirato, verso i settori (sostenere chi sceglie la sostenibilità) ma anche verso la qualità, la civiltà delle condizioni di lavoro, tramite una certificazione di qualità del rapporto di lavoro?

 

Ancora, andando oltre il tema “lavoro e impresa”: si parla di opere pubbliche (un grande programma di piccole opere e un piccolo programma, ben selezionato, di grandi opere), di sociale (una sussidiarietà che non sia il veicolo per sussidiare la rete delle clientele), di informazione e comunicazione, di etica pubblica, di solidarietà internazionale, di energia, di ambiente, di economia verde e blu. Mi fermo per non rischiare di omettere temi importanti su cui, come per questi che ho elencato, nessuno si aspetta risposte dalla “parentesi Monti”. Ma senza risposte su questi temi, come si potrà davvero salvare l'Italia?

Giovedì, 8. Marzo 2012
 

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