Non perdere le elezioni prima del voto

Esperienze anche recentissime hanno mostrato che nessun risultato è scontato. Una ragione in più per evitare ulteriori confusioni, ventilando "grandi coalizioni" con l'effetto di rafforzare l'impresentabile Berlusconi

L’aspetto più sconcertante della stagione elettorale che si è aperta è probabilmente il clima di assuefazione che improvvisamente si respira. Le forze politiche sembravano condividere l’idea che non si potesse tornare a votare con una legge elettorale unanimemente definita una porcata. Ma con quella andremo a votare. Nel centrosinistra Veltroni ha confermato la scelta di una corsa solitaria del PD nella speranza di convincere gli elettori che effettivamente siamo di fronte a un superamento del vecchio scenario nel quale scompostamente si agitavano micropartiti personali in un caleidoscopio di piccoli e grandi ricatti intrecciati. E’ una scelta comprensibile e, per alcuni versi, apprezzabile, se a sinistra sarà di stimolo a un accorpamento di forze sparse in grado di superare una litigiosa e masochistica competitivtà.  Ma in presenza di un legge che garantisce un premio di maggioranza alla lista che vince raccogliendo partiti, frammenti politici e avventurieri di ogni risma con un solo uomo al comando, cresce l’assuefazione all’idea di un’irresistibile vittoria della destra.

 

Alle spalle vi è probabilmente l’errore di aver patrocinato la convinzione che il bipolarismo è la migliore forma di democrazia. Il che potrebbe essere anche vero in tutti quei paesi dove esistono una destra e una sinistra, con tradizioni talvolta secolari, che si alternano senza mettere a repentaglio i valori fondamentali della vita civile. In Gran Bretagna, in Francia, in Germania destre e sinistre, variamente denominate, si alternano creando un'evidente insoddisfazione in chi perde, ma non un trauma per la vita democratica del paese. In Italia, questa tradizione semplicemente non esiste. La destra non è quella del rigore economico e di un liberismo più o meno spinto, col quale si può legittimamente concordare o dissentire. Il suo capo supremo ha inondato il Parlamento di leggi ad personam, e difeso con le unghie e con i denti uno strapotere mediatico che nessun paese democratico potrebbe tollerare. In queste circostanze l’idea del bipolarismo si è dimostrata nel corso di  tre lustri un’astrazione ingegneristica senza fondamenti politici e culturali. Il risultato è la quinta ridiscesa in campo, come candidato alla guida del paese, di Berlusconi, mentre si dà per scontata la sua vittoria elettorale. L’editoriale dell’Economist di questa settimana si chiude lapidariamente con due parole:”Povera Italia”.

 

E’ un giudizio dal quale si fa fatica a dissentire e che corrisponde a un profondo senso di frustrazione. Eppure ci sembra che debba essere combattuta l’idea che i giochi sono fatti e bisogna scongiurare il rischio di una paralizzante rassegnazione. Le campagne elettorali non sempre finiscono come cominciano. In Germania Angela Merkel partì nei confronti di Schroeder con almeno dieci punti di vantaggio e vinse alla fine solo per qualche decimo di punto. In America sembrava che la nomination di Hillary Clinton dovesse essere solo una passeggiata e ora è diventata una dura corsa ostacoli che può anche perdere nei confronti di Barack Obama, partito senza l’appoggio dell’establishment e senza risorse.

 

Ma ammesso che il Cavaliere vinca, sarà alla testa di una coalizione in cui si agiteranno nano-partiti, transfughi e possibili pentiti, ben lontana dal garantire la famosa “governabilità”, e per di più sotto la minaccia, nella primavera del 2009, del referendum elettorale appena rinviato. Quelli che si usano definire i poteri forti e una parte della grande stampa sembrano esserne consapevoli. E, non fidandosi di quella che, in caso di vittoria del Cavaliere risuscitato (anche per gli errori del centrosinistra), si presenta come una maggioranza sfilacciata e non in grado di governare, promuovono l’idea di una campagna elettorale soft, combattuta tra autentici gentiluomini, e con programmi elettorali più o meno bipartisan, che potrebbero preludere a una trionfale “grande coalizione”.

 

Sarebbe un modo sbagliato di predisporsi alla campagna elettorale. Un modo per rafforzare il cavaliere nella sua nuova resistibile ascesa. La situazione si presenta compromessa, ma questa non è una buona ragione per renderla ulteriormente confusa. E se la vittoria di Berlusconi è considerata scontata, non si deve dimenticare che si muove alla testa di un’armata brancaleone in un paese in grandi difficoltà e senza uno straccio di programma. La fine precoce della legislatura è per molte ragioni una jattura per il paese, ma la vecchia massima ci dice che non tutti i guai vengono per nuocere. O, quanto meno, che non c’è ragione per creare ulteriore  confusione, svilendo l’importanza della posta in palio e garantendo all’avversario più chances di quante in realtà non abbia.

Mercoledì, 6. Febbraio 2008
 

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