Missione di pace dentro una guerra

Inutile stupirsi dell'atteggiamento Usa sul caso Calipari: gli americani lo considerano un 'incidente di guerra', dando così una indiretta ma netta conferma che l'Italia non può continuare a giustificare la sua presenza col pretesto della 'missione di pace'

Il contenzioso tra il governo italiano e quello americano sulle circostanze che hanno portato all'uccisione di Nicola Calipari e al ferimento di Giuliana Sgrena e del secondo agente dei nostri Servizi rischia di oscurare il punto centrale dell'intera vicenda. Gli americani difendono la loro versione dei fatti non perché sia in sé ragionevole, ma perché la collocano in uno scenario di guerra nel quale subiscono centinaia di attentati con un macabro interminabile corteo di soldati morti e feriti.

Per gli americani la tragica morte di Calipari è un incidente, di cui non si può imputare la responsabilità ai militari del posto di blocco per la semplice ragione che quella forma di reazione è considerata "normale" nell'attuale situazione irachena.
 
Sotto questo profilo, il contenzioso sulla frazione di secondi intercorsi fra gli avvertimenti luminosi e i colpi partiti dal posto di blocco appare all'opinione pubblica e alla stampa americana, compresa quella contraria all'amministrazione, complessivamente futile. In un quadro di guerra, sembra del tutto naturale che possano verificarsi incidenti di questo genere. Ecco il punto che rischia di essere cancellato nel dibattito politico italiano: in Iraq è in corso una guerra nella quale sono morti più di 1500 militari americani, mentre altre migliaia tornano dal fronte feriti, fisicamente e psichicamente menomati.
 
In Iraq si combatte una guerra non solo basata su motivazioni false (le famigerate armi di distruzione di massa), ma anche formalmente illegittima, come aveva spiegato nel suo parere al governo inglese il procuratore generale, lord Goldsmith. Incaricato di fornire un parere preventivo al governo inglese, Goldsmith era stato esplicito. Si trattava di una guerra "illegittima", che avrebbe avuto bisogno, quanto meno, di  una seconda risoluzione dell'Onu. Blair si è difeso, affermando che una seconda risoluzione era impossibile perché la Francia avrebbe votato contro. Una giustificazione che, paradossalmente, conferma il fatto che si era consapevoli dell'insufficienza di legittimità fornita dalla prima risoluzione dell'Onu. La cosa ci tocca da vicino perché il governo Berlusconi ha sempre legittimato la presenza delle truppe italiane in Iraq sulla base della legittimità fornita dalla prima e unica risoluzione dell'ONU.
 
Rimane il fatto che, per quanto ingiustificata e illegittima, in Iraq è in corso una guerra contro le forze di occupazione e che gli americani ne pagano un  prezzo molto alto. In queste condizioni sarebbe falsamente ingenuo stupirsi del fatto che l'amministrazione americana guardi con disinteresse misto a fastidio alle proteste italiane. E' vero che il contingente italiano è il più numeroso, dopo quello britannico, ed è vero che ha pagato un contributo di sangue all'"alleanza dei volenterosi" a Nassirya. Ma la guerra si combatte ormai a Bagdad e nel triangolo sunnita, e il peso ricade tutto sulle truppe americane. Di fatto il contributo italiano è essenziale dal punto di vista della simbologia politica per non dichiarare il sostanziale isolamento dell'alleanza americano-britannica dopo il ritiro spagnolo e l'annuncio del ritiro polacco. E'comprensibile che l'amministrazione non voglia rompere col governo italiano, ma non intenda ammettere alcuna responsabilità nell'uccisione di Calipari. In realtà, se non fosse per ragioni di convenienza politica, direbbe apertamente che considera sbagliato e inaccettabile che in una situazione di guerra si invii uno dei migliori agenti dei servizi italiani in missione a trattare - con o senza riscatto - con i terroristi.
 
La vera questione non sta nel comportamento del governo americano, ma in quello del governo italiano. E' possibile mantenere in piedi l'ipocrisia secondo la quale in Iraq le nostre  truppe sono impegnate in una "missione di pace"? La reazione americana rispetto all'uccisione di Calipari è in ordine di tempo l'ultima inequivocabile testimonianza che in Iraq si  combatte una guerra senza esclusione di colpi. Con quale faccia il governo italiano può continuare nella finzione della missione di pace?
 
In Gran Bretagna il procuratore generale Goldsmith aveva ammonito il governo Blair che sarebbe stato possibile da quanti si fossero opposti alla guerra, invocando la sua illegittimità, "portare in giudizio…il governo britannico, (singoli) membri del governo o i comandi militari". Cosa che pare si accingano a fare alcune famiglie dei caduti inglesi in Iraq. In Italia, si potrebbe sostenere che si è fatto di peggio, avendo inviato i nostri soldati per una "missione di pace" in un contesto di guerra. Un contesto inequivocabilmente considerato di guerra proprio dagli "alleati" americani che la guerra hanno promosso e di cui, nell'ambito dell'alleanza, pagano il costo più alto in termini di vite umane.
 
In questo quadro il ritiro delle truppe italiane, o comunque la decisione del loro progressivo ritiro, sembra una atto di igiene politica non ulteriormente rinviabile.
 

 

Mercoledì, 4. Maggio 2005
 

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