Manovra, non c'è tre senza quattro

Man mano che emergono i buchi della finanza pubblica, che peraltro gli osservatori non parziali avevano da tempo denunciato, vengono aggiunte nuove correzioni. Che però, probabilmente, ancora non bastano

Nel giro di un mese Tremonti ha aggiunto manovre finanziarie facendo lievitare l'intervento complessivo sui 27 miliardi, in pratica quasi raddoppiando la cifra di cui parlava il suo ex amico Siniscalco nel Dpef. Anche questo, se vogliamo, è un record, che però ridimensiona il "veni, vidi, vici" di settembre. Che cosa è cambiato in questo breve periodo? Quale buco il suo predecessore aveva subdolamente creato?

In realtà la situazione era già sotto gli occhi di tutti quelli che si dilettano di bilancio pubblico italiano; un tendenziale troppo ottimistico, e quindi un deficit sottovalutato; e per la verità i giornali ed i siti specializzati ne avevano parlato a sufficienza; forse il vice-presidente del Consiglio era distratto. Ma del resto le previsioni ottimistiche non sono una novità; Tremonti e il suo direttore generale, poi quest'ultimo da solo, ed ora di nuovo Tremonti non hanno fatto altro dall'inizio della legislatura; gli scostamenti tra previsioni ufficiali e consuntivi, negli anni 2002-2004, ammontano a ben 2,6 punti di PIL, malgrado le varie una tantum, vendi e riaffitta, condona a destra e a manca.


Il punto cruciale è che Tremonti ha cercato in un primo momento di confezionare una finanziaria che non si presentasse, almeno a prima vista, con il grado di finanza creativa che aveva caratterizzato le precedenti. Il taglio della spesa era distribuito "equamente" tra ministeri centrali ed enti locali; il taglio dei contributi veniva incontro al grido di dolore delle imprese. Questa impostazione agli organismi internazionali (dalla CE al FMI) piace: tagliare la spesa e le entrate (e più la prima delle seconde) è il "mantra" ripetuto in tutti i modi possibili. Non importa che in passato i tagli ai ministeri non avessero funzionato o al massimo avessero spostato da un anno all'altro la spesa; non importa che un governo che si riempie la bocca di federalismo voglia imporre agli enti locali non un saldo finanziario, ma blocchi ad alcune spese (del resto Tremonti aveva parlato di un nuovo colbertismo da rilanciare). Quello che conta è il risultato: la riduzione del peso dello Stato nell'economia.


Il problema però è che il governo aveva preso degli impegni con la Commissione, come prima applicazione del nuovo Patto di Stabilità, che prevedono un deficit sotto il 4% nel 2006 e sotto il 3% nel 2007, nonché un uso limitato delle una tantum (dismissioni immobiliari). Nel momento in cui Tremonti ha percepito che la Commissione dubitava che i deficit 2005 e 2006 sarebbero stati coerenti con gli impegni, ha deciso di non ricevere il cazziatone e di giocare d'anticipo. Peraltro le ulteriori manovre consistono in provvedimenti tipicamente una tantum: blocchi di tesoreria a spese di investimento (le ferrovie quindi hanno lo stanziamento di competenza ma non lo possono spendere: è risparmio forzoso che va ovviamente al 2007), anticipi di prelievi (la Banca d'Italia verserà di più come imposte ma di meno come utili, ma intanto si anticipa un'entrata; idem per le imprese). E meno male che non sono usciti fuori "vendi e riaffitta" o condoni (però un condono per l'agricoltura è già annunziato nel maxi-emendamento). Non è comunque detto che questo sia l'ultimo aggiustamento; una finanziaria quater o un ritocco di inizio 2006 non è da escludersi.

Venerdì, 4. Novembre 2005
 

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