Ma l'Europa non è a fianco di Bush

Quel che cambia dopo il voto Onu sull'Irak. Il dopo guerra e il fallimento della politica Usa. Modificati gli scenari europei. L'asse Chirac-Schröder e la virata di Blair. L'Italia e la sua subalternità poste in un angolo.
La guerra contro l’Iraq aveva drammaticamente diviso l’Unione europea. Il dopo-guerra con il fallimento della politica dell’amministrazione Bush, l’impantanamento delle forze d’occupazione, la difficoltà di uscirne, malgrado il ricorso ritardato all’ONU, stanno modificando gli scenari dell’Unione europea. Al consiglio europeo dei giorni scorsi si è verificata una novità insieme di sostanza e profondamente simbolica. Il cancelliere Schröder, impegnato a Berlino in un importante dibattito al Bundestag, ha chiesto al presidente Chirac di rappresentarlo nella seconda giornata del consiglio dei capi di Stato e di governo. Non era mai accaduto in passato. E’ il segnale simbolico dell’unità di intenti tra Francia e Germania, che rilancia con il duo Chirac-Schröder, come ha scritto “Le Monde”, le vecchie coppie che furono in passato al centro della costruzione europea: De Gaulle- Adenauer; Giscard- Schmidt, Mitterand- Kohl. Ma oltre alla novità simbolica vi è un fatto di sostanza. Nella fase più acuta del conflitto diplomatico sulla guerra, l’amministrazione Bush aveva puntato con forza a dividere la Francia, considerata l’anima nera dell’Unione europea, dalla Germania. Il tentativo è risultato fallimentare, e Bush deve prenderne atto. Il voto unanime sulla risoluzione dell’Onu sull’Iraq, dove gli Stati Uniti sono riusciti ad evitare l’astensione di Francia, Germania e Russia è stata presentato come un successo dell’amministrazione americana, ma si tratta di una foglia di fico che non ha mutato la sostanza del dissenso sulla guerra e sulla strategia americana del dopo-guerra. Francia e Germania si sono affrettate a chiarire in un comunicato congiunto che non presteranno né aiuti militari né finanziari, fin quando il comando rimarrà nelle mani degli americani e non saranno fissati i tempi del passaggio dell’autorità politica a un governo di transizione iracheno. Ma la novità maggiore è costituita dalla virata di Tony Blair. Dopo il vertice triangolare di Berlino del 20 settembre, tra Schröder, Chirac e Blair, nelle ultime settimane è venuta rafforzandosi quella che è stata considerata un’inattesa “cordiale intesa” fra Germania, Francia e Gran Bretagna. Un’intesa sul punto più sensibile dei rapporti atlantici: la costituzione di una forza di difesa europea autonoma dalla Nato. La proposta era nata da un primo accordo fra Germania, Francia, Belgio e Lussemburgo nella primavera scorsa nel pieno de conflitto diplomatico con gli Stati Uniti. La novità che ha sorpreso e allarmato l’amministrazione Bush sta nell’adesione al progetto di Tony Blair. I termini di questa “cooperazione rafforzata” non sono definiti, ma la svolta è evidente e l’ambasciatore americano presso la Nato, Nicholas Burns, ha definito l’iniziativa, senza mezzi termini, una “minaccia contro l’Alleanza atlantica”. Si chiude così – ha scritto la stampa inglese- la vicenda della “lettera degli otto paesi”, fra i quali Gran Bretagna, Spagna, Polonia e, dulcis in fundo, Italia a favore dell’invasione americana in Iraq, in opposizione allo schieramento guidato da Francia e Germania contrario alla guerra. E si appanna il tentativo dell’amministrazione Bush di fare dei paesi dell’est, che si accingono a entrare nell’Unione, un cavallo di Troia della strategia americana all’interno dell'Unione europea. Il ricorso all’Onu, reso necessario dall’impossibilità di governare la transizione irachena del dopo-Saddam e l’insospettata virata di Blair, il maggiore alleato atlantico, verso una strategia europea autonoma, dimostrano le difficoltà dell’unilateralismo come dottrina che accetta solo alleati subalterni, del tipo trovato nel governo Berlusconi. In realtà, la svolta del premier britannico è il risultato del cambiamento verificatosi, dopo i disastri della guerra, sulla scena politica inglese. Blair, messo alle corde dall’opinione pubblica inglese e nel partito, per la sua adesione quasi religiosa alla linea americana, ha dovuto compiere una svolta verso l’Europa continentale. Il consolidamento dell’intesa franco-tedesca e l’avvicinamento della Gran Bretagna sono passaggi politici che prospettano un nuovo orizzonte europeo, nuovi intrecci, una correzione nei rapporti dell’Unione con la superpotenza americana. Passaggi che avvengono senza l’Italia, con un governo frastornato, che annuncia di cercare soluzioni tecniche ai problemi ancora aperti sul futuro della costituzione europea nell’ambito della conferenza intergovernativa, ma che è privato di qualsiasi ruolo nella ridefinizione dei contenuti strategici dell’Unione. Siamo di fronte a uno dei capolavori del governo Berlusconi. Il nostro paese aveva faticato non poco a ottenere la fiducia dei principali partner dell’Unione nella fase di costruzione dell’euro. L’operazione era riuscita pienamente per l’ostinata coerenza dei governi di centro-sinistra. Oggi ci ritroviamo in un angolo. Ironia della politica, le “cooperazioni rafforzate” che, nel vertice di Nizza, erano state fortemente volute dal governo italiano, come possibilità di costruire politiche più avanzate all’interno dell’Unione, oggi sono al centro dei rapporti tra Francia, Germania e Gran Bretagna, con l’Italia fuori della porta. La sciagurata scelta del governo Berlusconi di mettersi al servizio della Casa Bianca ha mandato all’aria la triade continentale formata da Francia, Germania e Italia che si era costituita nella seconda parte degli anni 90 sotto i governi di centro-sinistra, fino ai vertici di Lisbona e Nizza. Negli attuali frangenti della politica italiana, altre vicende di carattere interno, dalla finanziaria alle pensioni, alla scomposizione della maggioranza di governo hanno preso il sopravvento. Ma la sinistra non può trascurare la vicenda europea, i danni gravi arrecati dal governo Berlusconi all’Italia e all’Europa, la necessità di ricominciare a tessere una tela di rapporti europei, a partire da Francia e Germania. La condizione per uno sviluppo dell’Unione sta in parte nella funzionalità delle istituzioni, di cui si sta occupando la conferenza intergovernativa. Ma, in misura non minore, nelle politiche concrete che animano le istituzioni e che toccano la vita quotidiana dei popoli europei. Le elezioni per il parlamento europeo si avvicinano. Ed è questo il terreno sul quale il governo Berlusconi, se sopravvivrà oltre il semestre europeo, difficilmente riuscirà a difendere la sua politica subalterna e antieuropea. E sulla quale lo schieramento d’opposizione potrà far valere le sue posizioni su un modello di Europa non subalterna.
Sabato, 18. Ottobre 2003
 

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