Lustrum horribile - Cinque anni alla Farnesina

Un diplomatico di carriera ripercorre e analizza la politica estera del governo Berlusconi, i giudizi degli altri paesi e le conseguenze per l'Italia e conclude con alcune proposte. Una lettura per l'estate da fare a puntate
Diplomatico, già ambasciatore a Mogadiscio e a Beirut, Giuseppe Cassini ha scritto questa dettagliata analisi dei cinque anni di politica estera sotto il governo Berlusconi. Dopo il prologo, l'indice con i link per raggiungere le varie parti del saggio.
 
A Robin Cook
araldo sfortunato di una "diplomazia etica"
e alle altre coscienze critiche
scomparse durante questo "lustrum horribile"
Norberto Bobbio
Indro Montanelli
Cesare Garboli
Folco Maraini
Mario Luzi
Gilles Martinet
Tiziano Terzani
Giovanni Raboni
Paolo Sylos Labini
Alessandro Galante Garrone
Era la meglio gioventù dell'Italia risorta dalle ceneri della guerra.
Oggi non può contemplare l'alba del nuovo riscatto.
 
                                   PROLOGO  SUL  DECLINO

"Fu a Roma il 15 ottobre del 1764, mentre giravo tra le rovine del Campidoglio dove frati scalzi cantavano i Vespri nel tempio di Giove, che mi venne in mente di scrivere un libro sul destino e la caduta della Città Eterna" - così raccontava Edward Gibbon come era sorta in lui l'idea di comporre l'immortale "Storia del declino e caduta dell'Impero Romano".

E' stato a Roma all'inizio del 2006, girando tra le gigantografie inneggianti a L'ITALIA FORTE IN EUROPA E RISPETTATA NEL MONDO, che alcuni di noi diplomatici hanno sentito l'urgenza di ragionare in maniera documentata sul declino di credibilità, d'immagine e d'influenza del paese e su come arrestarlo.
 
Qui non si tratta di alimentare la "cultura del declino", un esercizio autodistruttivo che pure ammalia qualcuno a sinistra. Il paese è già sotto analisi da parte di studiosi come Roberto Petrini ("Il declino dell'Italia" ed. Laterza), Marc Lazar ("L'Italie à la dérive" ed. Perrin), David Lane ("Berlusconi's Shadow" ed. Penguin Books), Tito Boeri ed altri ("Oltre il declino" ed. Il Mulino) (1).

Ciò che appare poco documentato in tutte le analisi sviluppate finora è la reale collocazione dell'Italia nel contesto internazionale. Un problema poco sentito dall'italiano medio, che ovviamente non legge Hobbes o Jared Diamond ("How societies choose to fail or succeed") né percepisce la durezza della legge darwiniana sui destini degli Stati in un mondo globalizzato. Anche per un motivo semplice da intuire: di quel 20% di italiani che si spingono oltre frontiera, solo una piccola frazione viaggia per fini altri che turismo o lavoro; e di questa frazione neppure l'1% legge un giornale straniero.
 
Due operazioni, allora. La prima e più dolorosa: scandagliare la profondità della crisi d'influenza e d'immagine, svelando la "impostura mediatica" perpetrata ai danni dei milioni di nostri concittadini ignari di dove il loro paese si collochi - non nel mondo schermato dalle TV nazionali ma in quello reale. E' un compito che spetta anzitutto a noi diplomatici, perché noi siamo tra i pochi italiani a saper vedere il paese anche con "occhi stranieri".
 
Seconda operazione: una volta documentata la realtà, lanciare tramite la Farnesina (2)alcune proposte per contribuire a bloccare il processo degenerativo, risalire la china, recuperare stima (degli altri) e forza (in se stessi), perché in un mondo globalizzato chi non recupera viene abbandonato per strada.

Dalla serie A alla serie B
Il Novecento, sanguinoso "secolo breve" che ci siamo lasciati alle spalle, ha visto l'Italia collocarsi per qualche decennio in serie A e poi discendere in serie B nel contesto internazionale. Infatti, le foto storiche della Conferenza di Versailles nel 1919 mostrano i Quattro Grandi usciti vincitori dalla Guerra Mondiale: uno di loro è Vittorio Emanuele Orlando. Il nostro paese - cofondatore tra l'altro della Società delle Nazioni - sedeva a pieno titolo nel consesso ristretto delle grandi potenze.

Ma la nostra era una democrazia dai piedi d'argilla e poco dopo scelse di rifugiarsi nel fascismo. Trascorsi trent'anni, nel 1946, i filmati della Conferenza di Parigi mostrano De Gasperi entrare nel salone dove lo attendono i nuovi vincitori e dove risuona la sua celebre frase d'esordio, a nome di un paese in ginocchio: "Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me". Il fascismo ci aveva trascinati dalla serie A agli ultimi posti della serie B. Il paese scampa alla serie C grazie al Piano Marshall, all'ingresso nella Nato, alla condivisione entusiasta del progetto europeo. La successiva entrata nel G7, a metà degli anni Settanta, avalla il suo rango di media potenza.

Neppure le turbolenze politiche e monetarie tra gli anni Ottanta e Novanta la fanno ridiscendere in classifica. Anzi, i governi succedutisi tra il 1995 e il 2001 attuano politiche monetarie, di bilancio, di riforme strutturali e impegni all'estero che riconfermano l'Italia nel suo rango dignitoso ai piani alti della serie B. Basta dare uno sguardo alla stampa internazionale, agli indicatori macroeconomici, alle pagelle stilate da "certificatori" e "classificatori" internazionali in quegli anni difficili.
 
Dalla serie B alla serie C? 
Classificare gli Stati come fossero squadre di calcio è un esercizio opinabile, ma non del tutto impossibile. Come designare i paesi di serie A? Lo sono certamente i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. Lo sono certo Giappone, India, Brasile e Germania, in quanto potenze economiche o demografiche o comunque geostrategiche nei rispettivi continenti. Lo è forse Israele, per la sua potenza di fuoco (ha più testate nucleari di India o Pakistan), di intelligence ed influenza mediatica nel mondo. Insomma, non più di 10 Stati.

Poi ci sono i paesi posizionati in una confortevole serie B: Argentina, Canada, Messico, Australia, Indonesia, Corea, Iran, Pakistan, Egitto, Arabia Saudita, Turchia, Nigeria, Sudafrica, Spagna, Svezia, Polonia, Ucraina. Possiedono una o più peculiarità (demografica o economica o culturale o energetica…) che giustifica per ciascuno di loro l'appellativo di media potenza. L'Italia è stata dalla ricostruzione post-bellica in poi una di queste, e per giunta ai piani alti della serie.
 
Per sapere se siamo ancora lì, vanno analizzati più fattori congiuntamente: stampa estera, classifiche internazionali, candidature e presenza del paese negli organismi internazionali, giudizi dei governi e dei circoli stranieri che contano, indicatori macroeconomici. Letti separatamente, i risultati di questa ricerca non sono risolutivi; letti insieme, offrono un quadro inequivocabile.

Con due precisazioni di metodo:
1.  Lo studio si limita ad analizzare l'ultimo quinquennio, partendo cioè dal momento (2001) in cui si registra una discontinuità politica e anche culturale rispetto all'Italia degli anni Novanta.
2.  Nessuna informazione contenuta in questo studio proviene da documenti riservati, siano essi di fonte estera o italiana.
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Note
(1)  Significativo l'intervento di Carlo De Benedetti il 30 novembre scorso al convegno della Fondazione Idee: "Italia in declino? Molto di più. Siamo al collasso. Se non fosse per il nostro patrimonio culturale, il mondo potrebbe benissimo fare a meno dell'Italia. E' un Paese irrilevante nella nuova geografia economica globale…E questo governo, pur non essendone la sola causa, ha rappresentato uno straordinario catalizzatore della velocità di questo declino". Più significativa ancora la constatazione di Domenico Siniscalco, che ne ha parlato solo dopo le sue dimissioni da ministro nel settembre del 2005: "Il declino - che c'è, comunque lo misuriamo - non è un'antica tabe, uno choc esogeno. E' una scelta politica frutto di comportamenti incoerenti ".
(2) Ha scritto Gian Giacomo Migone, già presidente della Commissione Esteri del Senato e raro intenditore di questioni internazionali: "Questa eredità incombe anche sulla Farnesina, principale strumento della nostra politica estera. Si tratta di una diplomazia umiliata nella sua dignità e nella sua notevolissima personalità, capace di misurare giorno per giorno la voragine in cui è precipitato il buon nome e l'influenza del Paese che è chiamata a rappresentare" (l'Unità del 19 novembre 2004).
                                                          
                                                       INDICE
 
 
 
Competitività globale       
Aiuto pubblico allo sviluppo
Corruzione percepita 
Libertà democratiche ed altro
 
La ritirata italiana dall'Europa 
La ritirata italiana dal mondo 
La vicenda iraniana
 
Viaggio nelle capitali
Bruxelles 
Parigi 
Londra 
Madrid e Berlino
Mosca 
New Delhi, Tokyo, Astana 
Pechino e Shanghai 
Washington e New York 
New York - Nazioni Unite
Brasilia, Caracas, Buenos Aires 
Cairo, Beirut, Tel Aviv
 
La gestione Ruggiero
La reggenza Berlusconi 
La luogotenenza Frattini 
L'amministrazione Fini
 
Mercoledì, 26. Luglio 2006
 

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