L'Italia nelle classifiche internazionali

In tutto il mondo è ormai invalso l'uso - di chiara impronta anglosassone - di "dare i numeri": stilare cioè graduatorie annuali che classificano i paesi secondo il loro grado di competitività economica, democraticità, libertà d'informazione, innovazione tecnologica, corruzione percepita ecc. Ai grandi "classificatori" intergovernativi (Nazioni Unite, Ocse, Commissione Europea) si sono aggiunte più di recente istituzioni private come Transparency International o il World Economic Forum, cui il prestigio guadagnato sul campo consente di stilare graduatorie giudicate attendibili, ovviamente nei rispettivi campi d'azione.

Nell'un caso come nell'altro, sempre di punteggi si tratta; e i punteggi sono passibili di semplificazioni riduttive al limite dell'aberrazione. Ma analizzando tutte insieme le classificazioni di un dato paese, si ottiene una veduta prospettica assai significativa: che non sempre fotografa la realtà, ma certamente fotografa la percezione - quindi l'immagine - che di quel paese hanno gli osservatori internazionali.
Cerchiamo di sfoltire la selva di graduatorie, limitandoci a quelle di maggior rilevanza e attendibilità statistica.
 
COMPETITIVITA' GLOBALE
Sul livello di competitività dei singoli paesi sfornano studi annuali l'Ocse, la Banca Mondiale, il World Economic Forum e anche organi di stampa specializzati, come l'Economist (a cura della sua Intelligence Unit) e il Wall Street Journal.
 
World Economic Forum
Il suo Rapporto annuale, pubblicato a settembre, viene letto con attenzione perché si basa su un sistema sofisticato di indici (elaborati nel 2001 da Jeffrey Sachs e John McArthur) e di interviste a più di 10.000 imprenditori. I tre indici di base sono la situazione macroeconomica, la qualità delle pubbliche istituzioni e il livello di accesso alle tecnologie; ciascun indice prende in conto fattori come la pressione fiscale, l'efficienza della macchina tributaria e più in generale della burocrazia, l'accesso al credito, la modernità delle infrastrutture, la tutela dell'ambiente, il livello di corruzione e di criminalità. Tra i 117 paesi esaminati dal Rapporto 2005 l'Italia risulta al 47° posto nell'indice macroeconomico, al 46° come qualità delle istituzioni e al 44° nell'indice tecnologico (nella UE solo la Polonia sta dietro di noi). Nel 2001 l'Italia era 26°, dove è piazzata ora la Spagna.

Il W.E.F. diffonde a marzo un ulteriore Rapporto, dedicato specificamente alle Tecnologie dell'Informazione, con una classifica dei paesi secondo un "Indice del grado di Preparazione alla Rete". L'indice viene calcolato su vari parametri: investimenti in R & S, collaborazione tra università e imprese, disponibilità di scienziati, qualità dell'educazione matematica e scientifica, numero di pc per abitante, tempo di avviamento di un'impresa, peso delle normative e del fisco ecc. Su 115 Paesi esaminati nel Rapporto 2006 l'Italia risulta 42°, mentre nel 2002 era al 25° posto. Il parametro più negativo è quello di "assorbimento di tecnologie da parte delle imprese", dove l'Italia viene relegata al 91° posto sui 115 paesi esaminati.
 
Institute for Management Development
E' un istituto indipendente nato all'ombra della prestigiosa Università di Losanna e specializzato da mezzo secolo in consulenza manageriale. In collaborazione con 58 centri di analisi del mondo intero, pubblica dal 1989 un World Competitiveness Yearbook calcolato combinando 4 fattori di competitività (performance economica, efficienza di governo, efficienza di  impresa, qualità delle infrastrutture) e basato su 312 criteri analitici. Gli ultimi Yearbooks registrano un calo costante della posizione italiana su 61 paesi esaminati: 34° nel 2002, 41° nel 2003, 51° nel 2004, 53° nel 2005. NelloYearbook 2006 uscito a maggio l'Italia è scesa al 56° posto, perdendo 22 posti in un quinquennio. Il Rapporto spiega questo pessimo risultato col fatto di addizionare la stagnazione del PIL ad una serie di dati già negativi (debito pubblico, deficit, burocrazia ecc.): "L'Italia è l'unico paese in graduatoria con crescita zero nel 2005".
    
Banca Mondiale
Il Rapporto "Doing Business", pubblicato a settembre, analizza non la situazione macroeconomica, ma unicamente il clima favorevole agli investimenti: tempi e costi per avviare un'impresa, ottenere licenze, registrare contratti, efficienza fiscale, accesso al credito, flessibilità del mercato del lavoro, protezione degli investimenti in generale. Dei 155 paesi esaminati nel 2005 l'Italia è collocata al 70° posto (ultima tra i paesi industrializzati), perdendo una trentina di punti rispetto all'anno precedente.
 
Business International
E' l'istituto italiano che da 16 anni elabora sotto la guida della "Economist Intelligence Unit" lo studio sulla Competitività del Sistema Italia per misurare il clima favorevole all'attività imprenditoriale. Il Rapporto, pubblicato ad ottobre, si basa su 10 indicatori: stabilità politica, ambiente macroeconomico, opportunità di mercato, politiche antitrust, politiche per investimenti esteri, commercio estero, fiscalità, mercato finanziario, mercato del lavoro, infrastrutture. Vengono esaminati soltanto i 60 paesi economicamente più rilevanti del mondo. Dal 2001 al 2005 l'Italia è retrocessa di otto posti: oggi è 31° e  tra i paesi della UE solo Grecia e Polonia stanno più indietro.
 
Heritage Foundation-Wall Street Journal
Questi due templi della destra americana pubblicano ad ogni fine d'anno un "Index of Economic Freedom", assegnando un punteggio da 5 a 1 (da minima a massima libertà economica). Nel Rapporto 2005 l'Italia fa un capitombolo di 19 posti, scalando dalla 23° posizione (nel 2004) alla 42° nel 2005. Curiosamente, stavolta siamo in compagnia della Francia (44°). Il giudizio sull'Italia espresso nel Rapporto dei liberisti di New York non è lusinghiero: "L'elezione di Berlusconi era parsa offrire all'Italia una opportunità di realizzare importanti riforme economiche, ma è stato fatto ben poco".
 
Factbook 2006 dell'OCSE
Il voluminoso Rapporto uscito a fine marzo è una miniera di dati economici, sociologici, fiscali, demografici, ambientali in grado di offrire uno spaccato esauriente della competitività globale dei 30 paesi Ocse. Impossibile da riassumere qui, l'impressione che se ne ricava è che l'Italia ha conquistato negli ultimi anni primati poco invidiabili:
28° nel tasso di aumento annuo del PIL (a causa del continuo abbassamento della produttività);
22° per potere d'acquisto salariale (16.242 $ annui, ossia tra Spagna e Portogallo);
19° per investimenti nella "economia della conoscenza" (calcolata sommando le spese per ricerca più istruzione superiore più software);
18° per incidenza delle tecnologie informatiche sul valore aggiunto della produzione sia manifatturiera sia dei servizi;
28° come percentuale di laureati nella fascia tra i 25 e 34 anni (solo 12,5% rispetto a paesi come Canada e Giappone dove i laureati in quella fascia superano il 50%);
in coda ai paesi Ocse per autosufficienza energetica (cioè come produzione di energia primaria al netto dell'energia importata);
29° per "pesantezza" del cuneo fiscale (cioè il carico tributario e contributivo che grava in % sul lavoro, che in Italia è pari al 52,9%);
2° per tasso d'invecchiamento, calcolando la quota di ultra65enni sul totale della  forza lavoro (anche perché l'Italia gode di una speranza di vita di ben 80 anni - e questo è finalmente un dato positivo).
 
European Innovation Scoreboard
E' lo strumento sviluppato dalla Commissione UE dopo il varo della Strategia di Lisbona (2000) per valutare comparativamente la performance degli Stati membri in materia di innovazione. La valutazione risulta dall'incrocio di 5 indicatori: condizioni strutturali, investimenti in R&S, capacità innovativa nelle imprese, valore aggiunto nei settori innovativi, numero di brevetti in rapporto alla popolazione. Lo Scoreboard pubblicato nel 2006 colloca l'Italia sotto la media europea, al 12° posto dell'Unione a 25. Spiega il Rapporto: "L'Italia è risultato uno dei paesi meno performanti dell'Europa a 15. E' particolarmente debole quanto a condizioni strutturali del sistema scolastico (21° su 25) e quanto a capacità innovativa delle imprese (20° su 25) a causa della scarsa cooperazione tra piccole e medie imprese."
  
A.T.Kearney / Foreign Policy Magazine
E' da un quinquennio che questo Istituto privato di studi macroeconomici elabora ogni anno un Globalization Index assai interessante: esso misura il grado di integrazione economica, politica, sociale e tecnologica col resto del mondo dei 62 paesi considerati come i principali mercati mondiali. L'indice si calcola sulla base di 16 parametri, alcuni ovvi come i flussi commerciali, investimenti esteri, utenti di internet ecc., ma altri politicamente più rilevanti come l'adesione a trattati internazionali, l'impegno negli organismi multilaterali, la presenza nei contingenti di peacekeeping. Nel 2001 l'Italia era 13° (su 50 Paesi esaminati), nel 2005 è scesa al 27° posto (su 62). Anche la Spagna l'ha sorpassata nell'ultimo triennio.   
 
AIUTO PUBBLICO ALLO SVILUPPO
Dal Palazzo di Vetro di New York al Palais des Nations di Ginevra; dai corridoi del Berlaymont, dove si è reinsediata la Commissione Europea, al Chateau de la Muette, sede dell'OCSE: unanime è lo sconcerto verso il disimpegno manifestato dall'Italia nell'ultimo quinquennio a titolo di Aiuto Pubblico allo Sviluppo. Uno sconcerto tanto più cocente in quanto tutti rammentano gli annunci e le promesse di raggiungere rapidamente non lo 0,35% bensì lo 0,70% del PIL, reiterate dal premier italiano in tutti i fori internazionali: dal G8 di Genova al G8 di Gleneagles, dal vertice FAO del 2001 al Consiglio Europeo di Barcellona del 2002, da Johannesburg a Monterrey, fino all'ultima Assemblea generale dell'ONU (dove si è ribadito l'impegno di centrare entro il 2015 gli otto Obbiettivi del Millennio).
 
Rapporto dell'UNDP
L'ormai famoso Rapporto annuale dell'UNDP sullo Sviluppo Umano, nell'ultima edizione uscita a settembre 2005 alla vigilia dell'Assemblea Generale, colloca l'Italia agli ultimi posti tra i paesi donatori: 0,15% del PIL. Si legge nel Rapporto che "l'Italia è scesa della metà di quanto donava nel 1992" (ovviamente in termini reali). Inoltre è fortemente criticato il sistema di "tied aid", ossia l'aiuto vincolato all'acquisto di beni e servizi forniti dal paese donatore, che l'Italia utilizza spesso fino al 70% del totale dei suoi contributi.
 
Rapporto OCSE
L'ultimo Rapporto OCSE (aprile 2006) sugli aiuti erogati dai 22 paesi membri del Comitato di Assistenza allo Sviluppo pubblica quella che parrebbe a prima vista una felice sorpresa per l'Italia. Infatti il nostro paese sembra aver quasi raddoppiato il suo APS in percentuale, salendo dallo 0,15% allo 0,29% del PIL. Si tratta in realtà di un artificio contabile, ottenuto sommando quote sostanziose di cancellazione del debito ai contributi effettivamente erogati nel 2005 (che sono diminuiti persino rispetto al 2004). E infatti il Rapporto sollecita l'Italia ad accrescere sostanzialmente l'APS entro questo anno, al fine di conseguire l'obbiettivo minimo dello 0,33% del PIL, concordato nel 2002 per il 2006.

CORRUZIONE  PERCEPITA
Dal 1995 Transparency International, un autorevole organismo non governativo con sede a Berlino e con 99 "national chapters" sparsi per il mondo, si è specializzato e accreditato come "verificatore" della corruzione nei vari paesi del mondo. Ha elaborato un Indice della Corruzione Percepita (Index of Perceived Corruption), che "misura" non tanto la corruzione esistente in un dato paese quanto la percezione che ne ha la comunità internazionale. Pubblica inoltre un Barometro che "misura" i successi e gli insuccessi dei governi nella lotta alla corruzione. 
 
L'indice è ottenuto, più che da sondaggi, da innumerevoli contatti con osservatori e testimoni qualificati (giornalisti, uomini d'affari, economisti, sociologi…) interrogati in tutto il mondo grazie alla rete capillare dei "national chapters" e di diverse Ong internazionali. Il risultato viene poi "compresso" in una scala da 10 (minimo di corruzione percepita) a 0 (massimo di corruzione percepita).

Nel 2001 l'Italia risultava 29° in graduatoria. L'ultima classifica, elaborata nell'ottobre del 2005, confina l'Italia al 40° posto (con punteggio 5) su 159 paesi esaminati. Nell'Unione Europea solo la Grecia e alcuni paesi dell'Est vengono percepiti con un grado di corruzione superiore a quella italiana. Per l'Italia il danno è ben più grave di quanto generalmente si ammetta. Un cattivo piazzamento, infatti, manda un segnale negativo agli investitori, ai creditori, ai turisti, agli importatori. Anche se è impossibile misurare in maniera scientifica il livello di corruzione in un paese, è evidente che i paesi meglio classificati godono di una "rendita di posizione", mentre quelli peggio classificati soffrono di un "pregiudizio negativo". Gli stereotipi sono duri a morire e i successi che un governo raggiunge nella lotta alla corruzione tardano ad essere percepiti dagli osservatori internazionali.

Transparency International mette in rilievo nel Rapporto che "la corruzione è una delle cause maggiori della povertà e un ostacolo allo sviluppo", tant'è vero che i Paesi Meno Avanzati nelle statistiche Onu stanno quasi tutti nella fascia bassa della classifica sulla corruzione: "sono due flagelli che si alimentano a vicenda".

LIBERTA' DEMOCRATICHE ED ALTRO
                
Freedom House

E' l'autorevole associazione che dalla sua sede di New York vigila sugli attentati alle libertà democratiche nel mondo e pubblica ogni ottobre un Rapporto che analizza il livello delle libertà politiche, civili, economiche e di stampa in circa 150 paesi. L'Italia è scesa in questi ultimi anni al 30° posto, che nella graduatoria dei membri UE significa trovarsi al 21° posto su 25. Inoltre, il Rapporto pubblica un Indice sulla Libertà di Stampa che divide i paesi in 3 categorie: quelli 'liberi' (sono 30 e coincidono praticamente con l'area Ocse), quelli 'parzialmente liberi' e quelli 'non liberi'. Ovviamente l'Italia era sempre inserita nella prima fascia, ora è nella categoria 'parzialmente liberi' al 79° posto. "E' la prima volta che un paese occidentale, Turchia a parte, è classificato come partly free" scrive il Rapporto.
 
Reporters sans Frontières
Anche la famosa associazione nata a tutela del libero giornalismo pubblica un Rapporto annuale. L'ultimo è del 2006 e presenta una graduatoria di 150 paesi in base al livello di libertà della stampa. L'Italia figura al 42° posto. Scrive il Rapporto: "L'indipendenza dei media italiani soffre di una situazione unica in Europa: il capo del governo possiede le 3 principali reti private e controlla indirettamente le 3 reti pubbliche".
 
Unione Interparlamentare
Pur non avendo il compito di elaborare graduatorie, quest'anno si è presa la briga - in vista della festa dell'8 marzo - di classificare i 187 paesi dell'Onu in base al numero delle donne presenti nei rispettivi Parlamenti. L'Italia è classificata all'89° posto. In testa si trovano - oltre ai soliti scandinavi - anche Spagna, Olanda, Cuba e Ruanda. Anche il World Economic Forum ha elaborato un Gender Gap Index che analizza il nesso tra pari opportunità e potenziale di crescita di un paese: ne risulta che le società che discriminano la donna faticano di più a risalire la china della competitività.
 
Nature - Science
Sono le due riviste di divulgazione scientifica più prestigiose al mondo. Il 16 marzo "Nature" ha pubblicato uno Special Report per dare spazio ai ricercatori italiani in lotta per salvaguardare il sapere scientifico nel nostro paese. "Saving the Italian Science" - lo dice il titolo stesso - descrive i mali che gli ultimi governi non hanno saputo curare: troppa burocrazia e poca meritocrazia, pochi fondi e troppe pretese di ritorni immediati, troppe nomine politiche di scarso peso scientifico alla testa dei grandi Istituti, svilimento della ricerca pura ad esclusivo vantaggio di quella applicata. La rivista sottolinea che l'Italia, pur essendo ben piazzata (7° nel mondo) in quanto a pubblicazioni scientifiche, spende per R & S solo la metà della media europea. Viene citato un ironico commento di Rubbia: "I fisici hanno sviluppato la teoria del caos, ma ora l'Italia sta facendo un esperimento nel caos".

Pochi giorni dopo anche "Science" critica la riforma in atto del Cnr e riporta che "39 eminenti scienziati italiani hanno scritto una lettera aperta al presidente del Cnr" per denunciare il mancato coinvolgimento della comunità scientifica in questa riforma.
 
Environmental Performance Index
E' un indice messo a punto da eminenti esperti di due grandi università americane appartenenti alla Ivy League (Yale e Columbia) per misurare la performance ambientale di ogni paese calcolata in 6 settori: energia, sanità, qualità dell'aria, risorse idriche, biodiversità, risorse naturali produttive. Il risultato è stato ottenuto incrociando 16 indicatori. Trattandosi di uno studio elaborato di recente e presentato per la prima volta al Forum di Davos 2006, il punteggio assegnato all'Italia non è paragonabile con graduatorie precedenti. L'Italia risulta 21° su 133 Paesi con un punteggio di 79,8 su 100 (accanto a Germania e Spagna). Non male.
 
Forbes
La famosa graduatoria dei personaggi più ricchi del pianeta, che la rivista americana pubblica ogni anno, porta finalmente una buona notizia per l'Italia. A marzo si è saputo che la quota degli italiani è cresciuta da 10 a 14 e che B. li guida ancora in classifica, trovandosi al 37° posto in assoluto. In effetti il suo patrimonio si è quasi triplicato in un decennio. Ha dichiarato Steve Forbes: "La nuova classifica dimostra che l'economia è solida almeno da un biennio". Che Forbes abbia ragione lo conferma anche il bilancio 2005 presentato da Mediaset a marzo: ricavi + 7,5% e utili + 9,8%. E' il miglior utile netto nella storia della società (506 milioni di euro, una "vera macchina di liquidità" l'ha definita Il Sole24Ore). E anche questa performance è una buona notizia, fra tante meno buone.   
Un bilancio
E' il momento di trarre un primo bilancio da questa sfilza di graduatorie.
Facendo una media generale l'Italia risulta aver dimezzato il suo "overall rating" in 5 anni. Che significa? Qui va chiarito se si è trattato di una tendenza strutturale o di un abbassamento congiunturale. Alcune graduatorie sembrano dar ragione alla prima ipotesi, altre alla seconda. Non c'è dubbio però che nessun altro paese esaminato ha subìto bocciature così marcate e ripetute in ogni graduatoria (salvo quella di Forbes). Anche se alcuni indici si prestano a qualche contestazione, è la concordanza dell'insieme dei declassamenti che lascia preoccupati.
 
  Che importanza hanno queste classifiche internazionali? Nessuna, se un paese  ha le dimensioni e la "autoreferenzialità" di una Cina o degli Stati Uniti. Ma se si tratta di paesi che per stare a galla nell'oceano della globalizzazione devono meritare buone pagelle, ogni declassamento li spinge sotto la linea di galleggiamento. E' il caso dell'Italia.
 
Se le pagelle internazionali sono importanti, come reagire alle bocciature? Anzitutto occorre fare i "compiti a casa", ossia migliorare la performance in ogni settore sotto esame. Poi, mostrare meno indifferenza verso gli "istituti classificatori", analizzare i loro metri di giudizio, discutere puntualmente i loro verdetti. Infine, il ministero dovrebbe istruire le proprie Rappresentanze (non solo quella presso l'Ocse) di prendere contatto con gli Istituti in questione e dotarli di solida documentazione sui progressi compiuti dall'Italia in ogni settore sotto esame.
Mercoledì, 26. Luglio 2006
 

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