Un dato comune del dibattito politico preelettorale è lassenza dellEuropa. La cosa è particolarmente sorprendente poiché siamo nel mezzo di quella che negli Stati Uniti viene considerata la crisi finanziaria più grave dopo
La crisi dei mutui ipotecari in America, che è allorigine di una crisi finanziaria generale, non si è estesa automaticamente allEuropa perché diverse sono le condizioni che regolano la concessione dei mutui immobiliari, e si spera che il sistema bancario europeo possa evitare la deriva americana. Ma alcune banche tedesche hanno pesantemente risentito della crisi, e
La crisi americana ha per lEuropa conseguenze più vaste sul piano delleconomia reale: insieme con la contrazione della crescita si riducono consumi e investimenti con inevitabili conseguenze sulloccupazione e i salari, già colpiti dalla ridotta crescita degli anni scorsi. Ma ciò che stupisce non è questo, quanto il comportamento delle istituzioni europee. Per un verso, la olimpica inerzia della Banca centrale europea che tiene ostinatamente fermi i tassi di interesse al 4 per cento mentre
Al contrario, le contromisure adottate da Ben Bernanke, il presidente della Fed, succeduto ad Alan Greenspan, sono state radicali e per molti versi eterodosse. In pochi mesi ha ridotto del 60 per cento il tasso di rifinanziamento portandolo al 2,25 per cento, in pratica un tasso reale ampiamente negativo. Ha offerto liquidità illimitata alle banche e alle istituzioni finanziarie in difficoltà, accettando come garanzia titoli cartolarizzati sui mutui che il mercato respinge. Ha salvato dalla bancarotta
Riuscirà il presidente della Fed ad arrestare la deriva americana e le sue conseguenze sul resto del mondo? Paul Samuelson, il decano degli economisti americani, grande testimone delle crisi del XX secolo, avanza dei dubbi: le manovre monetarie e fiscali messe in atto non sono, a suo avviso, sufficienti, e lamministrazione Bush non è in grado di attuare, in termini aggiornati, scelte radicali del tipo attuato nel New Deal, come
NellUnione europea le cose si pongono in termini rovesciati. Per Jean-Claude Trichet, presidente delle Banca centrale europea, il problema non è la minaccia recessiva, ma linflazione che col 3,2 per cento in questi primi mesi dellanno si è allontanata dalla soglia mistica del 2 per cento, che rappresenta il target della Bce. Tutti sanno che la crescita dellinflazione non deriva da un aumento dei consumi, ma dalla crescita dei prezzi a livello mondiale dei prodotti energetici e alimentari. Linflazione è peraltro almeno un punto più bassa di quella americana, mentre
Un dislivello così alto e repentino mette in difficoltà le esportazioni e lindustria europea, aggiungendo alla riduzione dei consumi interni la compressione delle esportazioni.
I commentatori economici difficilmente attaccano i banchieri centrali di Francoforte per i quali vige la regola di una reverente cautela quando se ne commenta la politica. Ma, in questa fase, la musica è cambiata. Da Deaglio sulla Stampa a Scalfari su Repubblica il comportamento della Bce è stato considerato inspiegabile, quando non apertamente insensato. E, riferendosi a chi si scandalizza dellattivismo della Fed Fabrizio Galimberti ha scritto su Il sole 24 ore: Il pronto soccorso della Fed fomenta lazzardo morale? I rimborsi fiscali di Bush scassano il bilancio? Forse: ma almeno lAmerica non sta alla finestra, prende rischi e mette sul tavolo una politica economica.
Arriviamo così al cuore del problema: il coordinamento della politica economica europea. Perché questo coordinamento non esiste? La domanda si ripropone da anni con insistenza, ma non trova risposte soddisfacenti. Forse, a questo punto, vale la pena di chiederci se la domanda è posta correttamente. E proprio vero che lUnione europea - e in particolare lUnione monetaria - è priva di un coordinamento della politica economica? La risposta è meno certa di quanto convenzionalmente si ritenga.
Vediamo perché. La politica monetaria è governata da una Banca centrale che dispone di poteri sopranazionali perfino superiori a quelli normalmente attributi alle banche centrali dei grandi paesi industriali, dalla Banca dInghilterra, alla Banca centrale giapponese, alla Federal Reserve americana. Quanto alla politica di bilancio, laltra gamba del coordinamento della politica economica, è rigorosamente regolata dal Patto di stabilità e crescita. Sulla base del Patto che definisce un quadro di riferimento vincolante delle politiche di bilancio degli stati membri,
Riassumendo, la politica monetaria e quella di bilancio, i due assi della politica macroeconomica, sono nelle mani di unautorità statutariamente indipendente comè
Nella costruzione delleuro e delle scelte istituzionali che ne furono assunte come premesse, lopinione dominante era che bisognava bandire la politica dal funzionamento economico dellUnione. Linterferenza dei governi era considerata dannosa. Il potere dei governi nazionali doveva essere devoluto a Autorità indipendenti o comunque vincolato a un apparato di regole predeterminato e sottratto alla discrezionalità politica. Alla logica delle istituzioni politiche che praticano il confronto delle idee e la mediazione degli interessi politici si sostituì il potere delle tecnocrazie orgogliosamente autoreferenziali.
In questo quadro, il problema non è, come spesso si ripete, lindipendenza, criticata o esaltata, della Bce, ma la mancanza di una controparte politica. Nel quadro delleuro poteva esserlo lEurogruppo composto dai ministri delleconomia e delle finanze dei paesi alleuro, ma non lo è stato. Jean-Claude Junker, primo ministro del Lussemburgo, presidente dellEurogruppo, non è mai riuscito a interloquire col presidente della Bce, essendone semmai il portavoce nei confronti dei governi.
Molte volte è stato suggerito un cambiamento dello statuto della Bce: obiettivo difficilmente realizzabile. Jacques Delors disse una volta: Non tutti i tedeschi credono in Dio, ma tutti credono nella Bundesbank. E
Il problema è quello di una controparte politica come succede in tutto il mondo democratico. Il progetto costituzionale, sia pure con intenti confusi, provava a dare allUnione europea una dimensione politica. Ma è stato bocciato, e nessuno intende rimettere mano a complesse riforme istituzionali, capaci solo di paralizzare lUnione. Ma il trattato di Lisbona, in corso di ratifica tra i 27 paesi dellUnione, raccogliendone alcuni punti importanti può offrire una via duscita. Mi riferisco allistituzione di un presidente a tempo pieno del Consiglio europeo, nominato dai capi di Stato e di governo, con un mandato di due anni e mezzo prolungabile a cinque. E un cambiamento il cui significato rimane tutto da definire, ma potenzialmente dirompente. Si può intendere un presidente come figura decorativa, che convoca le riunioni del Consiglio, e si limita a amministrare lordine del giorno, generalmente preconfezionato dalla tecnocrazia di Bruxelles. In questo caso, potrebbe trattarsi di una figura incolore e di scarso peso, e tutto rimarrebbe come prima.
Ma può verificarsi il contrario. In questi mesi è stata fatta lipotesi di chiamare a questo incarico Tony Blair. Qualsiasi cosa se ne pensi, lex premier britannico gode di un vasto prestigio internazionale: può parlare autorevolmente, a nome dellUnione europea, col prossimo presidente (si spera democratico) degli Stati Uniti, come con Wen Jiabao o Dmitry Medvedev. Naturalmente non mancano le obiezioni. Blair ha diviso lUnione sullIraq e ha una concezione dellEuropa sociale piuttosto anglosassone, per non citare che due aspetti.
Altri hanno messo in campo la candidatura di Angela Merkel che associa a uninnegabile personale prestigio la tradizione europeista di un paese fondatore della Comunità. Ma può darsi che si tratti di una candidatura indisponibile, essendo il 2009 lanno delle elezioni tedesche e la cancelliera potrebbe ambire a essere rieletta. Ma, quali che siano le soluzioni queste o altre egualmente significative - il fatto che si discuta di una leadership europea riconosciuta, politicamente rappresentativa degli Stati che compongono lUnione, è di per sé una grande novità. Se la scelta che sarà compiuta entro la fine dellanno andrà in questa direzione, associandosi a quella dellAlto rappresentante per la politica estera, lUnione europea potrà acquisire un nuovo volto nello scenario internazionale. La stessa cosa potrebbe verificarsi allinterno dellUnione. Il coordinamento delle politiche economiche cesserebbe di essere il riflesso meccanico di norme affidate a una burocrazia irresponsabile e autoreferenziale, per collocarsi allinterno di un processo di confronto delle idee e di mediazione politica in grado di dare trasparenza e forza alle scelte dellUnione europea. Ci avvicineremmo al modello di federazione di Stati nazionali auspicato da Delors, stabilendo un nuovo equilibrio trasparente e più efficiente fra le istituzioni europee e gli Stati che compongono lUnione.
Altri cambiamenti, per molti versi, sono già in atto, anche se in modo latente. Francia, Germania e Gran Bretagna tre paesi che da soli rappresentano il 40 per cento dei cittadini dellUnione - si pongono già come un club elitario, se non proprio un direttorio, in grado di indirizzare le scelte dellUnione. Dove si possa collocare lItalia rimane per ora una domanda senza risposta. Discuterne sarebbe quanto meno utile, e forse obbligato.