Le risposte che ancora non ci sono

C'è una parentela abbastanza stretta tra le questioni che si pongono su scala nazionale e quelle su cui ci si dovrà misurare per vincere il confronto elettorale a Roma. C'è una domanda di chiarezza, di concretezza, di affidabilità, a cui il centrosinistra continua a sottrarsi

Alle primarie del centro sinistra per Roma hanno votato 100.078 persone: l'obiettivo di partecipazione è stato centrato. E' stato eletto Ignazio Marino, leader di statura nazionale, persona stimata, non collocabile negli schieramenti classici, non proveniente dall'apparato di partito. Sembra che il Pd e il centro sinistra possano dunque guardare con ottimismo al voto di maggio.

 

Eppure, se si ascoltano gli umori del popolo di centrosinistra, si avverte una preoccupazione molto diffusa. “Se dalle urne uscisse un risultato analogo a quello delle politiche, con tre schieramenti pressoché equivalenti – si sente dire – dovremmo sperare in un ballottaggio Marino-Alemanno: se il confronto dovesse avvenire con il candidato grillino ci sarebbe da temere. Parma insegna …

 

Dunque non tutti i conti tornano. Qualcosa non va. Pesa inevitabilmente la delusione patita il 25 febbraio, anche se è improbabile che quel risultato possa ripetersi tale e quale. L'evoluzione del quadro politico nazionale ha subito un'accelerazione potente e le prossime settimane non saranno meno dense di avvenimenti e di cambiamenti. Non sappiamo che segno avranno, ma perché non credere che il Pd e il centro sinistra possano esserne protagonisti, recuperando così il consenso perduto?

 

Invece serpeggia il timore di non farcela. La leadership di Bersani è indebolita, l'unità interna sembra incrinarsi. Anche l'elettorato appare smarrito: a ben guardare, lo stesso risultato di partecipazione alle primarie, corrisponde, sì, all'obiettivo, ma deve essere letto con molta cautela. L'asticella era stata fissata molto in basso (e già questo era un segnale): appena al 60% rispetto alle primarie per Palazzo Chigi. E stavolta votavano tutti, senza alcun filtro, a partire dai sedici anni. Significa che si era messo in preventivo che i buoi scappati dalla stalla tra le primarie e il voto (7-8 punti almeno, secondo gli analisti, cioè un terzo degli elettori potenziali) non fossero recuperabili. La previsione, ultra-prudente, si è rivelata realistica e, se non altro, la situazione non si è ulteriormente aggravata. Ma ci si può accontentare?

 

Il fatto è che – dobbiamo prenderne atto – non è stata compiuta alcuna analisi approfondita (e condivisa) dei motivi che hanno allontanato un pezzo così consistente di elettorato dopo le primarie. E se non è chiaro dove si è sbagliato è difficile evitare di ricadere nell'errore. Analisi e commenti non sono mancati, ma in genere provenivano da osservatori esterni,. Hanno insistito soprattutto su due fattori: non aver indicato agli elettori concrete proposte, in positivo, che dessero il senso degli obiettivi che la coalizione si sarebbe posta una volta al governo, per migliorare la condizione dei cittadini chiamati al voto; non aver convinto gli elettori che la promessa di un cambiamento di rotta, su cui si è imperniata la campagna elettorale, sarebbe stata accompagnata anche da un rinnovamento delle persone che di quel cambiamento sarebbero state protagoniste.

 

In molti hanno rilevato che gli otto punti lanciati da Bersani per la costruzione del governo e l'indicazione di due figure largamente apprezzate (nonché di prima nomina) per presiedere Camera e Senato, sarebbero state due mosse chiave per la campagna elettorale … se non fossero giunte dopo il voto. In ogni caso, se ne dovrebbe dedurre che quelle analisi siano arrivate a destinazione ed abbiano convinto. Ma quegli atti non hanno avuto un seguito e sono apparsi come episodi isolati. Il mainstream ha di nuovo preso il sopravvento, il dibattito politico è tornato a concentrarsi sui temi abusati: le alleanze e i conflitti, tra gli schieramenti e negli schieramenti, senza che si raccontasse agli elettori su che cosa ci si poteva unire e su che cosa ci si divideva; la legge elettorale; i candidati alla presidenza della Repubblica. Declinare gli otto punti è stato considerato un esercizio, più ancora che inutile, dannoso, ad altissimo rischio. Si è di conseguenza aperta la strada alla contromossa di Berlusconi: otto disegni di legge (solo annunciati, chissà quando vedranno la luce) per restituire l'Imu e abolire Equitalia, oltre alla consueta lista di riforme, ormai  enunciate solo come titolo (fisco, giustizia, sburocratizzazione, semi-presidenzialismo).

 

Eppure almeno un punto di alto valore simbolico (contenuto peraltro anche nel “contro-elenco” del Cavaliere) poteva essere sviluppato, reso comprensibile e verificabile. Quello sui costi della politica, rimborsi elettorali, emolumenti. Ma si correva il rischio di aprire una dialettica interna con l'area-Renzi. Cosicché i senatori renziani hanno preso la palla al balzo e presentato un disegno di legge con tanto di copyright.

 

Trasferiamoci di nuovo sullo scenario romano. Parliamo di una città che il centro-destra ha abbandonato a se stessa. Di una città che ha subito i danni di una gestione che ha riprodotto, su scala capitolina, il modello di commistione tra politica e affari che ha contrassegnato, al di là di qualunque programma o proclama, la politica del centrodestra dal più piccolo comunello al governo nazionale. Una città che è retrocessa al penultimo posto, prima di Atene, come indice di attrattività per l'insediamento delle maggiori imprese tra tutte le capitali. Che non è in grado di trarre valore da un patrimonio che non ha uguali al mondo, superata come afflusso turistico da Berlino (per tacere delle metropoli, inarrivabili, poste al top, come Parigi o New York). Che ha visto diminuire la popolazione a vantaggio dell'hinterland mentre la cementificazione selvaggia non solo non diminuiva in proporzione ma continuava a ritmi perfino accelerati. Parliamo anche di una città che il centro-destra ha conquistato dopo un lungo predominio del centro-sinistra, che aveva raggiunto vertici di consenso mai visti prima. Un bilancio, anche autocritico, sarebbe stato necessario.

 

Ebbene: idee guida per il futuro? un modello di città? priorità selezionate, enunciate con chiarezza, esigibili? Ad essere onesti, anche se non è mancato uno sforzo propositivo da parte dei candidati, nessuno dei documenti programmatici aveva questo respiro. Il vincitore aveva puntato sulla trasparenza, promessa, e sulla partecipazione, invocata. Non sono mancati spunti, scenari e, immancabilmente, obiettivi da raggiungere: più asili, meno auto; più ICT, meno burocrazia; più case per i giovani, meno nuove costruzioni. “La città che vorremmo” è già un bel racconto. Come realizzarla è però la domanda a cui gli elettori chiederebbero una risposta.

 

C'è dunque una parentela abbastanza stretta tra le questioni che si pongono su scala nazionale e quelle su cui dovrà misurarsi il centrosinistra per vincere il confronto elettorale a Roma. C'è una domanda di chiarezza, di concretezza, di affidabilità, a cui il centrosinistra continua a sottrarsi. I votanti alle primarie hanno scelto, più che tra programmi, tra candidati. Nell'incertezza, mancando riferimenti chiari in termini di impegni concreti, hanno scelto sulla fiducia, su quello che ci si può aspettare dalla persona. Potrebbe bastare, potrebbe avvenire lo stesso quando sarà l'intero corpo elettorale a scegliere. Non sembra però che gli elettori abbiano apprezzato granché messaggi del genere “io speriamo che me la cavo”. Il momento richiede coraggio, è questo che, soprattutto, si richiede da Ignazio Marino. In bocca al lupo.

Sabato, 13. Aprile 2013
 

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