Le mosse di B. e le priorità del centro sinistra

Non si può negare la capacità di stupire di Berlusconi. Più straordinario è il fatto che l’opposizione si lasci ancora stupire. Il centro sinistra ha oggi due precise e ineludibili responsabilità
Non si può negare la capacità di stupire di Berlusconi. Più straordinario è il fatto che l'opposizione si lasci ancora stupire. Si riteneva che l'imbroglio della nuova legge elettorale fosse troppo scoperto per passare il vaglio della decenza parlamentare. Una supposizione illusoria. Nessuno ha mai fermato Berlusconi, quando si è trattato degli interessi personali e dei suoi sodali. Sergio Romano sul "Corriere"si chiede come sia stato possibile che tanta immaginazione ed energia, dimostrate in circostanze come questa della legge elettorale, non siano state applicate a riforme di cui il paese aveva bisogno. La domanda è ovviamente retorica. Noi non siamo di fronte a un normale governo di destra, come ce ne sono tanti in Europa. Non abbiamo avuto la ventura di incontrare un Kohl o un Villepin.
 
La legge elettorale maggioritaria all'italiana, concepita per garantire la governabilità, è diventata nelle mani del centrodestra uno strumento di sovversione. La democrazia esige il bilanciamento tra le istituzioni: il governo, il Parlamento, il potere giudiziario. Berlusconi ha reso impotente il secondo e fatto oggetto di persecuzione il terzo. A sinistra si è lungamente almanaccato se si dovesse parlare di "regime", o si dovesse utilizzare una normale dialettica politica con la ricerca delle possibili mediazioni. Dibattito fuorviante al cospetto dell'inarrestabile stravolgimento dei rapporti di equilibrio fra le istituzioni che sono la garanzia specifica di un regime democratico.
 
Criticare la logica della riforma elettorale, impudicamente costruita su misura, con geometria variabile da un giorno all'altro -  mescolando proporzionalità, sbarramenti ad hoc, liste chiuse, premi di maggioranza - si è dimostrato un esercizio ingenuo, se non inutile. La ragione sta puramente nella convenienza specifica e circostanziata della coalizione di maggioranza. Il centrodestra ha perduto tutte le prove elettorali degli ultimi anni. E tra le cause di queste sconfitte c'è stata la perdita di credibilità del leader unico. Un crescente numero di elettori di centrodestra si è astenuto, quando non ha votato contro. Col proporzionale, facendo correre i singoli partiti con i rispettivi leader, Berlusconi riduce la presa sulla coalizione, promette a Fini la leadership di governo e a Casini quella possibile di un partito unico, riservandosi, per quanto lo riguarda, un modesto trasferimento da Arcore al Quirinale.
 
Pura immaginazione priva di fondamento? E' del tutto possibile. Ma per una parte di elettori del centrodestra, delusa  da cinque anni di promesse mancate o semplicemente indecisa, è anche l'indicazione di una novità, di una scommessa nella quale tutti i soci possono tornare a vincere. Insomma, come abbiamo scritto in altre occasioni su EL, la vittoria possibile del centro-sinistra si celebra a risultati ottenuti, non si può dare per scontata con lunghi mesi di anticipo, soprattutto quando l'avversario può manovrare senza tener in conto né le regole istituzionali, né la decenza politica.
 
Il centro-sinistra ha oggi due responsabilità cui non può sottrarsi: la leadership e il programma. Non può fare a meno di presentare linee programmatiche chiare e mobilitanti. Finora ha prevalso il (comprensibile) timore che ogni proposta programmatica avanzata da una parte dello schieramento potesse incontrare, se non una aperta controproposta, quanto meno le riserve o la presa di distanza di un'altra parte. E' sembrato più prudente prendere tempo, rinviare. Oggi non è più possibile inoltrarsi nella campagna elettorale, fidando solo sulla critica allo stato comatoso in cui Berlusconi a ridotto il paese e sulla minaccia per le istituzioni democratiche. Il centro sinistra deve entrare nel dibattito sulle cose da fare.
 
Non è sufficiente affermare che dovrà porre riparo al disastro della finanza pubblica: questo sarà necessario ma non basta per mobilitare la parte dell'elettorato più incerta e disorientata. Ci sono temi che meritano idee e parole chiare. Facciamo alcuni esempi.
 
La guerra in Iraq è stata perduta da Bush, come la maggioranza degli americani apertamente ammette, mentre Berlusconi mantiene l'Italia in uno stato di vergognosa impotenza e asservimento. Il Mezzogiorno ha visto crescere a dismisura le famiglie che vivono in povertà - come spiega nel suo articolo Pierre Carniti. Il lavoro è diventato talmente incerto nella sua precarietà da gettare nello scoramento non solo i giovani, ma da creare anche difficoltà (a volte consapevolmente, a volte no) nelle stesse imprese, che non possono vivere e svilupparsi con una forza lavoro instabile, incerta sul proprio ruolo e sul proprio futuro. La politica dell'innovazione e della formazione, della scuola e dell'Università, inesistenti o ridotte allo sfascio, esige idee e progetti. Il welfare è stato ridotto a un'inesauribile "controriforma" delle pensioni, mentre è messo a rischio il sistema sanitario, e non esiste quel sistema di ammortizzatori sociali che in tutti gli altri paesi dell'Unione affianca la crescente mobilità del lavoro.
 
Il paese non chiede miracoli - nessuno è più disposto a credervi dopo anni di illusionismo. Ma non ci si può nemmeno limitare a promettere di riparare i danni. Si suppone che un governo debba durare cinque anni. Deve dire quali sono i suoi itinerari, il suo programma a lungo termine, le differenze che contano per milioni di cittadini rispetto allo schieramento avversario.
 
La seconda questione riguarda la leadership. Concluse le primarie, è necessario decidere come ridare smalto e credibilità alla candidatura di Prodi, nella nuova  prospettiva elettorale che privilegia l'identità dei singoli partiti a danno delle coalizioni. Il persistere di un clima di incertezza rischia di fare di Prodi un'anatra zoppa. Esattamente quello su cui il cavaliere puntava, scompigliando spregiudicatamente le carte.
Sabato, 15. Ottobre 2005
 

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