Le infrastrutture riducono la disuguaglianza

Uno studio Deloitte e Luiss esamina la dotazione per provincia e ne emergono risultati preziosi per le politiche: in media la disuguaglianza si riduce dove ce ne sono di più, ma quelle più avanzate (credito, reti telematiche) fanno aumentare le differenze, mettendo in rilievo che c’è un altro fattore fondamentale: quello dell’istruzione

Da molto tempo si parla di rilanciare la crescita attraverso gli investimenti pubblici e privati in infrastrutture, ma con scarsi risultati. In particolare gli investimenti pubblici in Italia sono costantemente diminuiti negli ultimi anni, scendendo in rapporto al Pil dal 2,9% nel 2007 al 2,1% nel 2016. Ancora non è noto il dato del 2017, ma è difficile aspettarsi un risultato significativamente migliore rispetto al 2016. Nelle ultime leggi di bilancio, compresa quella per il 2018, è stato stanziato un certo ammontare di risorse destinato alle infrastrutture, che però finora non si è tradotto in investimenti effettivi (vedi mio articolo “Governi incapaci non fanno crescita”). L’effetto positivo degli investimenti in infrastrutture sulla crescita è comunque testimoniato da così numerose analisi empiriche che non c’è bisogno di rimarcarlo.

Più recenti studi hanno messo in evidenza l’impatto della dotazione infrastrutturale anche sulla distribuzione del reddito, sottolineando come una maggiore/migliore dotazione infrastrutturale riduca la disuguaglianza di reddito. La spiegazione è intuitiva: un miglioramento nelle infrastrutture dovrebbe conferire maggiori opportunità soprattutto agli strati più poveri della popolazione e alle piccole imprese, che non hanno accesso ad alternative di vario genere. Scavando però in profondità, l’analisi si arricchisce ulteriormente, fornendo materia di riflessione per i policy maker. In particolare, un recentissimo studio di Deloitte e Luiss “Infrastrutture e disuguaglianza: il caso delle province italiane” mette a raffronto la dotazione infrastrutturale delle province italiane con l’indice di disuguaglianza di Gini delle stesse province negli anni 2001 e 2015. I dati sulle infrastrutture - suddivisi in dieci componenti, di cui sette economiche (strade, ferrovie, porti, aeroporti, reti energetiche, reti telefoniche/ambientali, reti bancarie/servizi alle imprese) e tre sociali (strutture per l’istruzione, strutture culturali e ricreative, strutture sanitarie), - provengono dall’Istituto Tagliacarne, quelli sulla distribuzione reddituale dal Ministero dell’Economia attraverso le dichiarazioni dei redditi.

Che cosa emerge? Innanzitutto la mappa delle province italiane si presenta molto disomogenea per quanto riguarda sia le infrastrutture sia la distribuzione del reddito. In generale, le province del Centro-Nord stanno meglio per entrambi gli indicatori, ossia hanno una dotazione infrastrutturale maggiore e un minor grado di disuguaglianza. Tuttavia differenze significative si colgono anche all’interno di ciascuna macroarea. Inoltre il confronto temporale mostra come, da un lato, la dotazione infrastrutturale non presenti nel suo insieme grandi cambiamenti dal 2001 al 2015 e come, dall’altro, l’evoluzione dell’indice di Gini tenda leggermente a migliorare in termini di distribuzione del reddito (minore disuguaglianza) dal 2001 al 2010 per poi peggiorare nei cinque anni successivi. Tali tendenze non sorprendono, in quanto rispecchiano l’andamento dell’economia e della società italiane negli ultimi quindici anni.

Più interessante è andare a verificare la correlazione tra i due fenomeni. Anche qui il primo risultato dell’analisi è in linea con le attese: globalmente considerata, la disuguaglianza di reddito diminuisce per effetto di un miglioramento infrastrutturale della provincia (va sottolineato che le analisi condotte non lasciano dubbi sul nesso di causalità: sono le infrastrutture ad avere un impatto sulla disuguaglianza e non viceversa). Meno ovvie altre conclusioni cui giunge la verifica empirica. Suddividendo la dotazione infrastrutturale nelle sue dieci componenti, si vede infatti come nel loro insieme siano le infrastrutture economiche a determinare il risultato complessivo, mentre le infrastrutture sociali hanno nel complesso un effetto opposto sulla disuguaglianza, tendendo ad aumentarla.

Scavando ulteriormente e prendendo una ad una le dieci componenti emergono altre differenziazioni. Tra le infrastrutture economiche, quelle di trasporto (strade, ferrovie, porti, aeroporti) concorrono tutte e quattro a far diminuire la disuguaglianza, così come le reti energetico-ambientali,  mentre al contrario le reti telefoniche/telematiche e quelle bancarie tendono a far aumentare le distanze di reddito. Qual è la spiegazione? Se le infrastrutture più tradizionali, come quelle di trasporto ed energetiche, aprono maggiori opportunità ai cittadini meno abbienti e alle piccole imprese, per contro le reti tecnologiche e l’accesso a una vasta gamma di servizi finanziari “premiano” i soggetti più qualificati rispetto a quelli scarsamente qualificati. A nostro avviso qui si può vedere, dal punto di vista di un osservatorio infrastrutturale, una spaccatura nel nostro sistema economico e sociale prodotta dalle nuove tecnologie, con effetti sulle disuguaglianze. La stessa spaccatura può essere determinata dalle differenze culturali. Anche all’interno delle tre infrastrutture sociali, infatti, gli impatti sulla distribuzione del reddito non sono uniformi. Mentre infatti la presenza di maggiori strutture scolastiche va, sia pur debolmente, nella direzione di diminuire le disuguaglianze, il contrario vale per le strutture culturali e, in misura minore, anche per quelle sanitarie. Tende evidentemente a crearsi qui uno “scalino” dovuto alla capacità (la capability à la Amartya Sen) soltanto di una parte della società di fruire di determinati servizi.

Quali dunque le conclusioni di politica economica? In generale aumentare e – aggiungiamo noi – migliorare anche qualitativamente la dotazione infrastrutturale del territorio fa bene non solo per la crescita, ma anche per ridurre le disuguaglianze di reddito. Un motivo in più per investire, e farlo bene. Il policy maker deve tuttavia essere consapevole che non tutte le infrastrutture agiscono nello stesso modo sulla distribuzione del reddito. Le infrastrutture di trasporto sembrano avere un effetto più “democratico” in termini sociali rispetto a quelle tecnologiche, finanziarie e culturali. Ma ciò non significa che quest’ultime non vadano portate avanti e rafforzate. Il problema si sposta a monte, nel creare la capacità concreta anche in quella parte della società a rischio di esclusione di accedere pienamente ai servizi tecnologici, finanziari e culturali più avanzati. E’ quindi un problema di education o di formazione nel senso più ampio del termine, che va affrontato con i dovuti strumenti di policy, non certo rinunciando agli investimenti infrastrutturali.

Venerdì, 9. Febbraio 2018
 

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