La pietra tombale sulle disquisizioni intorno allarticolo 18 dovrebbe averla messa una indagine tra le aziende italiane. Dovrebbe, ma non è detto, perché si è già più volte dovuto constatare che in questo dibattito i fatti contano poco, anzi, per la verità non contano affatto.
E larticolo 18? Fuori dallorizzonte e dai pensieri degli imprenditori. Una riprova? Tra il 22,5% del campione che invece ha assunto, oltre i tre quarti (il 76,9%) è costituito da imprese con oltre 50 dipendenti, che ricadono quindi nellambito di efficacia dellarticolo 18. Serve altro?
Se servisse, potremmo sempre ricordare un altro dato. Consultando le serie storiche Istat sulloccupazione, si può constatare che che tra il 1997 e il 2008 (anno del massimo storico degli occupati, prima che la crisi dispiegasse i suoi effetti) le unità di lavoro sono aumentate di 2.268.000. Le unità di lavoro, lo ricordiamo, si calcolano aggregando le posizioni lavorative a tempo parziale, principali o secondarie, e indicano dunque il numero teorico di posti di lavoro a tempo pieno equivalente, indipendentemente dal numero degli occupati. E perché partire dal 97? Perché è lanno in cui fu varato il pacchetto Treu (seguito poi dalla legge 30 del 2003, impropriamente detta Biagi), con i contratti di lavoro atipici tutti privi, ovviamente, della copertura dellartcolo 18. Per valutare se abbiano avuto un impatto favorevole sulla creazione di posti di lavoro facciamo il confronto con un periodo di durata analoga partendo dal 1970, anno di approvazione dello Statuto dei lavoratori. Ebbene, tra il 70 e l81 le unità di lavoro sono aumentate di 2.110.000. Quasi la stessa quantità, ma bisogna ricordare che nel periodo più recente ci sono state le regolarizzazioni degli immigrati, che hanno fatto emergere circa 700.000 nuovi lavoratori.
Se ne potrebbe concludere che dopo lentrata in vigore dellarticolo 18 sono nati più posti di lavoro che dopo lintroduzione dei contratti atipici. Naturalmente non avrebbe molto senso considerare una sola variabile economica per spiegare le dinamiche del mercato del lavoro. Ma quello che invece si può affermare con una ragionevole sicurezza è che questa è unulteriore dimostrazione che quella garanzia non ha alcun effetto negativo sulloccupazione e sulle decisioni degli imprenditori di assumere o meno.
E dunque, ripetiamolo ancora una volta. Il divieto di licenziamenti individuali senza giusta causa non è un problema per leconomia e per le imprese: chi lo dice adopera una mistificazione al solo scopo di destrutturare quanto più possibile le garanzie per i lavoratori e sbilanciare i rapporti di forza sempre più a favore della parte datoriale, anche al di là di quanto questa stessa ritenga necessario. Unistanza squisitamente di destra, che non ha altre motivazioni che quelle politico-ideologiche. Ci riflettano bene quegli esponenti del centro-sinistra che si sono lasciati affascinare dallideologia che dagli anni 80 è stata purtroppo dominante.